x

x

Il "legittimo affidamento" del paziente nell’esito favorevole della prestazione medica: brevi considerazioni sul consenso informato per una nuova possibile configurazione dell’obbligazione medica

Il consenso fornito al professionista dal paziente su una specifica operazione è permeato di un convincimento pluristrutturato, facente leva anche su garanzie implicite del conseguimento di un risultato positivo di tutte quelle prestazioni preliminari, o comunque complementari, all’intervento vero e proprio. Su quest’ultime infatti, in assenza di puntuali indicazioni contrarie del medico, il creditore dell’obbligazione fonderà un “legittimo affidamento” del buon esito delle stesse, venendosi in tal modo a configurare una silenziosa promessa del risultato.

The consent on a specific surgery provided to the doctor by the patient is based on a multi-structured belief, which also draws on implicit guarantees of success of the preliminary or complementary performances. As a matter of fact, without exact specifications from the surgeon, the creditor of the obligation will ground his “legal entrustment” on the positive outcome of those performances. Hence a tacit promise of success occurs.

                                                                                                                                                           ******                                                                                                                                                              

Il diffondersi di una sempre più accentuata sensibilità per le problematiche sottese ai rapporti tra l’esercente la professione medica ed il paziente, conseguente ad una più attenta considerazione per la figura di quest’ultimo, è sfociato in una nuova prospettiva d’approccio a tale tematica da parte di dottrina e giurisprudenza, scaturita dall’esigenza di assicurare una maggiore tutela al destinatario delle prestazioni professionali.

L’elevato livello di discrezionalità riconosciuto al professionista nella scelta delle modalità di adempimento della prestazione, peraltro, era stato da sempre ritenuto meno ampio con riguardo all’ipotesi di prestazione medica, dove il consenso viene considerato condizione di validità della prestazione medesima, e dove tale discrezionalità è destinata ad incontrare un limite invalicabile, rappresentato dal rifiuto del trattamento indesiderato da parte del paziente.

Negli ultimi tempi, pertanto, è venuta progressivamente a maturare, tra i cultori e gli operatori del diritto, l’esigenza di una rivisitazione dei principi applicabili alla materia, sulla base dell’assunto che l’attuale normativa vigente, in tema di contratto d’opera, in particolare a proposito della professione medica, sia divenuta ormai inadeguata, se non anacronistica, rispetto alle profonde trasformazioni che hanno interessato tale attività professionale, soprattutto per effetto dell’inarrestabile progresso scientifico e dell’incedere sempre più rapido dello sviluppo tecnologico, che hanno consentito il conseguimento di risultati inimmaginabili soltanto pochi anni addietro.

In un contesto venuto a mutare così radicalmente, sia sotto il profilo delle modalità di svolgimento dell’attività medica (si pensi, ad esempio, al fatto che quest’ultima è sempre più esercitata nell’ambito di strutture pubbliche o private, assumendo talora carattere di attività imprenditoriale), sia in relazione all’aspetto più squisitamente culturale, coinvolgente il mutato rapporto tra medico e paziente, è venuta sempre più affermandosi la tendenza ad una diversa configurazione dell’obbligazione di tale professione, trasformandola, di fatto, in un’obbligazione di risultato, nell’evidente intento di fornire una tutela più adeguata alla parte considerata “debole” del rapporto contrattuale, e determinando un considerevole ampliamento delle fattispecie in cui il professionista è ritenuto responsabile di inadempimento.

Ciò è avvenuto, ad esempio, nel campo della chirurgia estetica, della odontoiatria e, recentemente, anche con riguardo ad interventi di sterilizzazione, soprattutto in forza degli obblighi di informazione, accessori alla professione sanitaria, che gravano sul medico.

Pur dovendosi porre in rilievo che la giurisprudenza è pervenuta a tale conclusione attraverso il ricorso all’istituto della presunzione semplice e, quindi, con una diversa applicazione del principio dell’onere probatorio - ci si riferisce alla nota pronuncia della Suprema Corte, Sezione III del 21.12.1978, n. 6141, che ha introdotto un diverso regime probatorio a seconda che l’intervento sia di facile o di difficile esecuzione - , senza tuttavia mai abbandonare il tradizionale inquadramento dell’obbligazione del medico tra le obbligazioni di mezzi, non è possibile disconoscere che l’attuale tendenza appaia sempre più orientata ad incidere in modo sostanziale sulla originaria configurazione della stessa, legittimando seriamente i dubbi espressi da autorevoli parti della dottrina in ordine all’avvenuta trasformazione dell’obbligo di prestazione da obbligazione di mezzi ad obbligazione di risultato.

Tale orientamento risulta inevitabilmente fondato sulla comune considerazione che l’attuale stato della scienza consente di prevedere anticipatamente, nella gran parte dei casi, l’esito di un eventuale intervento medico, così come il livello, particolarmente sofisticato, degli strumenti tecnici disponibili nell’epoca moderna non lascia molto spazio, nel campo dell’attività diagnostica, al libero intuito del professionista.

Altro elemento che è possibile rinvenire a monte di tale posizione interpretativa va individuato nel rilievo sempre maggiore attribuito al dovere di informazione gravante sul medico, inteso come obbligo di indicare al paziente i possibili rischi e gli eventuali vantaggi ricollegabili al trattamento da praticare, al fine di consentire a quest’ultimo una scelta il più possibile consapevole. Appare infatti evidente come, proprio attraverso quest’onere di informazione, sembra essersi ormai delineato il processo di trasformazione dell’obbligazione del professionista, esaurendosi il momento più significativo della vicenda contrattuale nella fase preparatoria del c.d. consenso informato, attraverso il quale si concretizza l’obbligo del professionista di prospettare realisticamente le possibilità dell’ottenimento del risultato perseguito, con la conseguenza che "la pur persistente qualificazione dell’obbligazione professionale in termini di ‘mezzi’ non sembra più atta a dissimulare il fatto che la realizzazione del ‘risultato’ sperato entra a far parte del contenuto della prestazione promessa".

Il rilievo svolto circa il fondamentale ruolo assunto dal dovere di informazione è condivisibile; così come è da condividere l’idea di fondo che, attraverso l’adempimento del relativo obbligo, si determina il contenuto del rapporto contrattuale, e che la giurisprudenza, attraverso il detto obbligo di informare, tende, surrettiziamente, a trasformare l’obbligazione, da mezzi in obbligazione di risultato.

E’, altresì, vero che la giurisprudenza cui si fa riferimento concerne ipotesi patologiche, vale dire fattispecie nelle quali è stato accertato l’inadempimento del dovere di informazione; per un’indagine maggiormente obiettiva, risulta, invece, necessario analizzare l’ipotesi fisiologica: se, cioè, anche in caso di corretta informazione, può continuare a dirsi che l’obbligazione del medico sia sostanzialmente divenuta un’obbligazione di risultato.

Da questa diversa prospettiva, infatti, pare che le conclusioni, in ordine alla natura dell’obbligazione del medico, siano destinate a cambiare.

Ed, infatti, proprio ipotizzando una corretta informazione, sembra doversi riconoscere che, nella prevalenza di casi, tra medico e paziente si giunge a stipulare un contratto con un’obbligazione di mezzi, non già di risultato, a carico del professionista.

Il medico - merita ricordare - adempie il proprio dovere di informazione, rendendo edotto il paziente di tutti i rischi relativi allo specifico trattamento sanitario; in questo modo, l’informazione viene a svolgere il proprio ruolo fondamentale, ossia quello di mettere al corrente il creditore dei pericoli di insuccesso, di regressioni o quant’altro.

Se si considera che la maggior parte degli interventi di tipo medico presenta margini di insuccesso o, comunque rischi di difformità tra quanto perseguito dal paziente e quanto in concreto ottenuto, deve concludersi che il contratto di norma stipulato tra il medico e il paziente non può che avere un solo contenuto: il professionista si obbliga ad eseguire correttamente il trattamento sanitario, informando il cliente dei rischi di insuccesso, il che equivale a dire che non si obbliga a conseguire un determinato risultato.

In sintesi, proprio il corretto adempimento del dovere di informazione determina, quasi inevitabilmente, per il maggior numero dei trattamenti sanitari, l’assunzione da parte del professionista ancora una volta di un’obbligazione di mezzi. Si spiega così, forse, la posizione giurisprudenziale che, sia pur spesso contraddittoriamente come sopra evidenziato, continua ad affermare, quasi unanimemente, che il medico non è obbligato a conseguire il risultato della guarigione, gravando sullo stesso una mera obbligazione di mezzi.

E’ necessario tuttavia opporre un’ulteriore osservazione.

Come è noto, le informazioni fornite dal medico, in merito alla prestazione da eseguirsi, sono, sostanzialmente, l’elemento principale sul quale si fonda il consenso o meno del paziente, rispetto ad un determinato intervento da subire, alle modalità dello stesso ed a tutto ciò che le parti, in un rapporto sempre più contrattualisticamente definito, possono liberamente decidere.

Tali informazioni su eventuali rischi o conseguenze dannose, che costituiscono l’essenza prima del “consenso informato”, si traducono per il paziente in una prefigurazione mentale di ciò che può o non può accadere, e sulle quali quest’ultimo, dovendosi presupporre una sua mancanza di scientia del settore, costituirà il proprio affidamento.

Conseguentemente, il consenso fornito al professionista su una specifica operazione sarà intrinsecamente permeato di un convincimento pluristrutturato, facente leva anche su garanzie implicite del conseguimento di un risultato positivo di tutte quelle prestazioni preliminari prodromiche, o comunque complementari, all’intervento vero e proprio. Su quest’ultime infatti, in assenza di puntuali indicazioni contrarie del medico, il creditore fonderà un “legittimo affidamento” del buon esito delle stesse, venendosi in tal modo a configurare una silenziosa promessa del risultato.

Si potrebbe così giungere ad affermare che la singola e fondamentale prestazione, che costituisce l’intervento al quale il sanitario si obbliga, è, in realtà, frammentabile in una summa di più prestazioni, delle quali alcune sottostanno alla disciplina inerente le obbligazioni di mezzi, mentre per le altre sarà applicabile un regime diverso, ossia quello previsto per le obbligazioni di risultato, avendo il silenzio del professionista generato nell’altra parte l’assoluta, per quanto implicita, convinzione del sicuro raggiungimento del risultato.

In questo modo si verrebbe ad assicurare una tutela assai maggiore per il creditore, poiché per il professionista, in caso di evento infausto, per andare esente da responsabilità, non sarebbe sufficiente provare di avere eseguito diligentemente quanto previsto, per esempio, da un determinato protocollo terapeutico, liberandosi, dunque, automaticamente in base al criterio di cui all’art. 1176 cod. civ., potendo il paziente asserire che il proprio aggravamento di condizioni fisiche derivi da una di quelle prestazioni, laterali o accessorie, e per le quali le parti avevano surrettiziamente dato per scontato un risultato necessariamente positivo.

L’obbligazione avente ad oggetto una prestazione professionale medica verrebbe, quindi, ad assumere una natura “ibrida”, essendo costituita per alcune parti da un’obbligazione di mezzi, mentre per altre da un’obbligazione di risultato, con la conseguente applicazione della relativa disciplina a seconda della singola prestazione; si verrebbe a conferire maggior rilievo, quale criterio scriminante o di imputazione di responsabilità, all’effettiva portata del consenso esternato dal creditore, giungendo così a prescindere, in molti casi, da una complessa valutazione del principio di diligenza, ed offrendo alla parte “debole” del rapporto spunti di una tutela effettiva assai più ampi.

Allo stato attuale, deve però necessariamente prendersi atto della costante asserzione della Suprema Corte, che più volte ha ribadito, quasi con puntiglio, che detta obbligazione rimane di mezzi, pur venendo utilizzati, a tal fine, discutibili espedienti dialettici, tendenti, comunque, ad una ibrida configurazione di un’obbligazione di mezzi con "presunzione di colpa", attraverso l’innesto del principio anglosassone res ipsa loquitur. Conclusione, quest’ultima, che ha spinto parte della dottrina ad affermare che, così ragionando, non si fa altro che "aggiungere artificio ad artificio" (Enrico Quadri, Atti del convegno di studio “Il rischio in medicina oggi e la responsabilità professionale”, Milano, 2000) .

Resta dunque aperto il problema circa la natura dell’obbligazione contratta dal professionista, questione tutt’altro che meramente teorica, potendo, invece, l’accoglimento dell’una o dell’altra tesi avere rilevanti conseguenze sul piano concreto; in specie, dall’inquadramento dell’obbligazione del medico come di mezzi o di risultato, possono derivare effetti diversi in ordine alla prova liberatoria gravante sul professionista.

E proprio l’analisi del tipo di prova liberatoria che la giurisprudenza pone a carico dell’esercente la professione sanitaria è passaggio essenziale al fine di comprendere se, secondo il diritto vivente, il contratto d’opera professionale, avente ad oggetto un intervento medico di facile esecuzione, obblighi o meno il professionista al conseguimento del risultato della guarigione. Il consenso fornito al professionista dal paziente su una specifica operazione è permeato di un convincimento pluristrutturato, facente leva anche su garanzie implicite del conseguimento di un risultato positivo di tutte quelle prestazioni preliminari, o comunque complementari, all’intervento vero e proprio. Su quest’ultime infatti, in assenza di puntuali indicazioni contrarie del medico, il creditore dell’obbligazione fonderà un “legittimo affidamento” del buon esito delle stesse, venendosi in tal modo a configurare una silenziosa promessa del risultato.

The consent on a specific surgery provided to the doctor by the patient is based on a multi-structured belief, which also draws on implicit guarantees of success of the preliminary or complementary performances. As a matter of fact, without exact specifications from the surgeon, the creditor of the obligation will ground his “legal entrustment” on the positive outcome of those performances. Hence a tacit promise of success occurs.

                                                                                                                                                           ******                                                                                                                                                              

Il diffondersi di una sempre più accentuata sensibilità per le problematiche sottese ai rapporti tra l’esercente la professione medica ed il paziente, conseguente ad una più attenta considerazione per la figura di quest’ultimo, è sfociato in una nuova prospettiva d’approccio a tale tematica da parte di dottrina e giurisprudenza, scaturita dall’esigenza di assicurare una maggiore tutela al destinatario delle prestazioni professionali.

L’elevato livello di discrezionalità riconosciuto al professionista nella scelta delle modalità di adempimento della prestazione, peraltro, era stato da sempre ritenuto meno ampio con riguardo all’ipotesi di prestazione medica, dove il consenso viene considerato condizione di validità della prestazione medesima, e dove tale discrezionalità è destinata ad incontrare un limite invalicabile, rappresentato dal rifiuto del trattamento indesiderato da parte del paziente.

Negli ultimi tempi, pertanto, è venuta progressivamente a maturare, tra i cultori e gli operatori del diritto, l’esigenza di una rivisitazione dei principi applicabili alla materia, sulla base dell’assunto che l’attuale normativa vigente, in tema di contratto d’opera, in particolare a proposito della professione medica, sia divenuta ormai inadeguata, se non anacronistica, rispetto alle profonde trasformazioni che hanno interessato tale attività professionale, soprattutto per effetto dell’inarrestabile progresso scientifico e dell’incedere sempre più rapido dello sviluppo tecnologico, che hanno consentito il conseguimento di risultati inimmaginabili soltanto pochi anni addietro.

In un contesto venuto a mutare così radicalmente, sia sotto il profilo delle modalità di svolgimento dell’attività medica (si pensi, ad esempio, al fatto che quest’ultima è sempre più esercitata nell’ambito di strutture pubbliche o private, assumendo talora carattere di attività imprenditoriale), sia in relazione all’aspetto più squisitamente culturale, coinvolgente il mutato rapporto tra medico e paziente, è venuta sempre più affermandosi la tendenza ad una diversa configurazione dell’obbligazione di tale professione, trasformandola, di fatto, in un’obbligazione di risultato, nell’evidente intento di fornire una tutela più adeguata alla parte considerata “debole” del rapporto contrattuale, e determinando un considerevole ampliamento delle fattispecie in cui il professionista è ritenuto responsabile di inadempimento.

Ciò è avvenuto, ad esempio, nel campo della chirurgia estetica, della odontoiatria e, recentemente, anche con riguardo ad interventi di sterilizzazione, soprattutto in forza degli obblighi di informazione, accessori alla professione sanitaria, che gravano sul medico.

Pur dovendosi porre in rilievo che la giurisprudenza è pervenuta a tale conclusione attraverso il ricorso all’istituto della presunzione semplice e, quindi, con una diversa applicazione del principio dell’onere probatorio - ci si riferisce alla nota pronuncia della Suprema Corte, Sezione III del 21.12.1978, n. 6141, che ha introdotto un diverso regime probatorio a seconda che l’intervento sia di facile o di difficile esecuzione - , senza tuttavia mai abbandonare il tradizionale inquadramento dell’obbligazione del medico tra le obbligazioni di mezzi, non è possibile disconoscere che l’attuale tendenza appaia sempre più orientata ad incidere in modo sostanziale sulla originaria configurazione della stessa, legittimando seriamente i dubbi espressi da autorevoli parti della dottrina in ordine all’avvenuta trasformazione dell’obbligo di prestazione da obbligazione di mezzi ad obbligazione di risultato.

Tale orientamento risulta inevitabilmente fondato sulla comune considerazione che l’attuale stato della scienza consente di prevedere anticipatamente, nella gran parte dei casi, l’esito di un eventuale intervento medico, così come il livello, particolarmente sofisticato, degli strumenti tecnici disponibili nell’epoca moderna non lascia molto spazio, nel campo dell’attività diagnostica, al libero intuito del professionista.

Altro elemento che è possibile rinvenire a monte di tale posizione interpretativa va individuato nel rilievo sempre maggiore attribuito al dovere di informazione gravante sul medico, inteso come obbligo di indicare al paziente i possibili rischi e gli eventuali vantaggi ricollegabili al trattamento da praticare, al fine di consentire a quest’ultimo una scelta il più possibile consapevole. Appare infatti evidente come, proprio attraverso quest’onere di informazione, sembra essersi ormai delineato il processo di trasformazione dell’obbligazione del professionista, esaurendosi il momento più significativo della vicenda contrattuale nella fase preparatoria del c.d. consenso informato, attraverso il quale si concretizza l’obbligo del professionista di prospettare realisticamente le possibilità dell’ottenimento del risultato perseguito, con la conseguenza che "la pur persistente qualificazione dell’obbligazione professionale in termini di ‘mezzi’ non sembra più atta a dissimulare il fatto che la realizzazione del ‘risultato’ sperato entra a far parte del contenuto della prestazione promessa".

Il rilievo svolto circa il fondamentale ruolo assunto dal dovere di informazione è condivisibile; così come è da condividere l’idea di fondo che, attraverso l’adempimento del relativo obbligo, si determina il contenuto del rapporto contrattuale, e che la giurisprudenza, attraverso il detto obbligo di informare, tende, surrettiziamente, a trasformare l’obbligazione, da mezzi in obbligazione di risultato.

E’, altresì, vero che la giurisprudenza cui si fa riferimento concerne ipotesi patologiche, vale dire fattispecie nelle quali è stato accertato l’inadempimento del dovere di informazione; per un’indagine maggiormente obiettiva, risulta, invece, necessario analizzare l’ipotesi fisiologica: se, cioè, anche in caso di corretta informazione, può continuare a dirsi che l’obbligazione del medico sia sostanzialmente divenuta un’obbligazione di risultato.

Da questa diversa prospettiva, infatti, pare che le conclusioni, in ordine alla natura dell’obbligazione del medico, siano destinate a cambiare.

Ed, infatti, proprio ipotizzando una corretta informazione, sembra doversi riconoscere che, nella prevalenza di casi, tra medico e paziente si giunge a stipulare un contratto con un’obbligazione di mezzi, non già di risultato, a carico del professionista.

Il medico - merita ricordare - adempie il proprio dovere di informazione, rendendo edotto il paziente di tutti i rischi relativi allo specifico trattamento sanitario; in questo modo, l’informazione viene a svolgere il proprio ruolo fondamentale, ossia quello di mettere al corrente il creditore dei pericoli di insuccesso, di regressioni o quant’altro.

Se si considera che la maggior parte degli interventi di tipo medico presenta margini di insuccesso o, comunque rischi di difformità tra quanto perseguito dal paziente e quanto in concreto ottenuto, deve concludersi che il contratto di norma stipulato tra il medico e il paziente non può che avere un solo contenuto: il professionista si obbliga ad eseguire correttamente il trattamento sanitario, informando il cliente dei rischi di insuccesso, il che equivale a dire che non si obbliga a conseguire un determinato risultato.

In sintesi, proprio il corretto adempimento del dovere di informazione determina, quasi inevitabilmente, per il maggior numero dei trattamenti sanitari, l’assunzione da parte del professionista ancora una volta di un’obbligazione di mezzi. Si spiega così, forse, la posizione giurisprudenziale che, sia pur spesso contraddittoriamente come sopra evidenziato, continua ad affermare, quasi unanimemente, che il medico non è obbligato a conseguire il risultato della guarigione, gravando sullo stesso una mera obbligazione di mezzi.

E’ necessario tuttavia opporre un’ulteriore osservazione.

Come è noto, le informazioni fornite dal medico, in merito alla prestazione da eseguirsi, sono, sostanzialmente, l’elemento principale sul quale si fonda il consenso o meno del paziente, rispetto ad un determinato intervento da subire, alle modalità dello stesso ed a tutto ciò che le parti, in un rapporto sempre più contrattualisticamente definito, possono liberamente decidere.

Tali informazioni su eventuali rischi o conseguenze dannose, che costituiscono l’essenza prima del “consenso informato”, si traducono per il paziente in una prefigurazione mentale di ciò che può o non può accadere, e sulle quali quest’ultimo, dovendosi presupporre una sua mancanza di scientia del settore, costituirà il proprio affidamento.

Conseguentemente, il consenso fornito al professionista su una specifica operazione sarà intrinsecamente permeato di un convincimento pluristrutturato, facente leva anche su garanzie implicite del conseguimento di un risultato positivo di tutte quelle prestazioni preliminari prodromiche, o comunque complementari, all’intervento vero e proprio. Su quest’ultime infatti, in assenza di puntuali indicazioni contrarie del medico, il creditore fonderà un “legittimo affidamento” del buon esito delle stesse, venendosi in tal modo a configurare una silenziosa promessa del risultato.

Si potrebbe così giungere ad affermare che la singola e fondamentale prestazione, che costituisce l’intervento al quale il sanitario si obbliga, è, in realtà, frammentabile in una summa di più prestazioni, delle quali alcune sottostanno alla disciplina inerente le obbligazioni di mezzi, mentre per le altre sarà applicabile un regime diverso, ossia quello previsto per le obbligazioni di risultato, avendo il silenzio del professionista generato nell’altra parte l’assoluta, per quanto implicita, convinzione del sicuro raggiungimento del risultato.

In questo modo si verrebbe ad assicurare una tutela assai maggiore per il creditore, poiché per il professionista, in caso di evento infausto, per andare esente da responsabilità, non sarebbe sufficiente provare di avere eseguito diligentemente quanto previsto, per esempio, da un determinato protocollo terapeutico, liberandosi, dunque, automaticamente in base al criterio di cui all’art. 1176 cod. civ., potendo il paziente asserire che il proprio aggravamento di condizioni fisiche derivi da una di quelle prestazioni, laterali o accessorie, e per le quali le parti avevano surrettiziamente dato per scontato un risultato necessariamente positivo.

L’obbligazione avente ad oggetto una prestazione professionale medica verrebbe, quindi, ad assumere una natura “ibrida”, essendo costituita per alcune parti da un’obbligazione di mezzi, mentre per altre da un’obbligazione di risultato, con la conseguente applicazione della relativa disciplina a seconda della singola prestazione; si verrebbe a conferire maggior rilievo, quale criterio scriminante o di imputazione di responsabilità, all’effettiva portata del consenso esternato dal creditore, giungendo così a prescindere, in molti casi, da una complessa valutazione del principio di diligenza, ed offrendo alla parte “debole” del rapporto spunti di una tutela effettiva assai più ampi.

Allo stato attuale, deve però necessariamente prendersi atto della costante asserzione della Suprema Corte, che più volte ha ribadito, quasi con puntiglio, che detta obbligazione rimane di mezzi, pur venendo utilizzati, a tal fine, discutibili espedienti dialettici, tendenti, comunque, ad una ibrida configurazione di un’obbligazione di mezzi con "presunzione di colpa", attraverso l’innesto del principio anglosassone res ipsa loquitur. Conclusione, quest’ultima, che ha spinto parte della dottrina ad affermare che, così ragionando, non si fa altro che "aggiungere artificio ad artificio" (Enrico Quadri, Atti del convegno di studio “Il rischio in medicina oggi e la responsabilità professionale”, Milano, 2000) .

Resta dunque aperto il problema circa la natura dell’obbligazione contratta dal professionista, questione tutt’altro che meramente teorica, potendo, invece, l’accoglimento dell’una o dell’altra tesi avere rilevanti conseguenze sul piano concreto; in specie, dall’inquadramento dell’obbligazione del medico come di mezzi o di risultato, possono derivare effetti diversi in ordine alla prova liberatoria gravante sul professionista.

E proprio l’analisi del tipo di prova liberatoria che la giurisprudenza pone a carico dell’esercente la professione sanitaria è passaggio essenziale al fine di comprendere se, secondo il diritto vivente, il contratto d’opera professionale, avente ad oggetto un intervento medico di facile esecuzione, obblighi o meno il professionista al conseguimento del risultato della guarigione.