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Il ruolo decisivo degli organismi tecnico-scientifici ufficiali nella applicazione del principio di precauzione in materia ambientale e sanitaria

Sommario:

1. Premessa

2. Diritto internazionale e comunitario

3. Diritto italiano: il principio di precauzione nel D. Lgs. n. 152/2006

4. Il ruolo fondamentale degli organi tecnico-scientifici nazionali e sopranazionali

5. Caratteristiche di pericolosità dei rifiuti contaminati da idrocarburi: una applicazione concreta del principio stabilito dalla Corte sul ruolo decisivo degli organi tecnico-scientifici ufficiali

1. Premessa

Sempre più frequentemente il principio di precauzione viene richiamato per giustificare normative o provvedimenti amministrativi in materia ambientale.

Appare perciò opportuno tentare di ricostruire il reale significato di questo importante principio giuridico, di derivazione comunitaria.

Esamineremo questo problema tanto in termini generali – con riferimento soprattutto ai contenuti del diritto comunitario – quanto in relazione ad un caso concreto recentemente affrontato dalla giurisprudenza amministrativa.

2. Diritto internazionale e comunitario

Il riconoscimento universale del principio di precauzione è intervenuto in occasione della Conferenza ONU del 1992 di Rio de Janeiro sull’Ambiente e lo Sviluppo. Ed è significativo che proprio in quella sede – insieme con la più solenne proclamazione del principio – siano giunti i primi avvertimenti riguardanti i limiti della sua possibile applicazione e le cautele (precauzioni?) che occorre utilizzare nel maneggiarlo [1].

Con il nuovo millennio, il principio di precauzione (o l’approccio precauzionale, secondo il linguaggio preferito oltre Oceano) ha costituito uno degli aspetti fondamentali di numerosi Accordi internazionali, fra i quali si segnalano:

- il Protocollo di Cartagena del 2000 sulla Biosicurezza;

- la Convenzione di Stoccolma del 2001 sugli Inquinanti Organici Persistenti (POPs), che individua un numero definito e preciso di sostanze considerate a rischio, la cui produzione deve pertanto cessare, e che viene generalmente considerato – tanto dai produttori come dagli ambientalisti – una equilibrata espressione del principio di precauzione;

- la Convenzione di Londra del 2001 sulle vernici antivegetative per imbarcazioni (“Anti-Fouling Systems on Ships”).

Nel diritto comunitario, il principio di precauzione entra ufficialmente nel Trattato – benché non venga da esso espressamente definito – attraverso le modifiche apportate con il Trattato di Maastricht (1992). Ed in tale momento perciò si affianca ai preesistenti principi: “chi inquina paga”, “prevenzione” e “correzione alla fonte”. Con l’opportuna precisazione – in seguito ribadita e precisata dal Trattato di Amsterdam (1997) – secondo la quale le esigenze connesse con la tutela dell’ambiente – e fra esse dunque anche quella della precauzione – devono essere integrate nella definizione e nell’attuazione delle altre politiche comunitarie.

Esaminiamo ora che cosa comporta, e come deve essere applicato, sulla base del diritto comunitario, il principio di precauzione. Il diritto comunitario è apertamente schierato in favore di una sua interpretazione “attiva”. Il documento decisivo, da questo punto di vista, consiste nella Comunicazione 2 febbraio 2000 della Commissione. Essa infatti precisa che:

a) l’applicazione del principio comunque presuppone un rischio (di livello incerto, ma) individuato, vale a dire “una preliminare valutazione scientifica obiettiva”, la quale indichi che “ vi sono ragionevoli motivi di temere ….” [2];

b) quando una determinata azione viene considerata necessaria sulla base del principio di precauzione, essa dovrebbe fra l’altro essere:

- proporzionale al livello prescelto di protezione;

- non discriminatoria nella sua applicazione;

- coerente con misure analoghe già adottate;

- basata su un esame dei potenziali vantaggi ed oneri (possibilmente attraverso un’analisi costi/benefici);

- soggetta a revisione (e dunque provvisoria) alla luce dei nuovi dati scientifici [3];

- in grado di attribuire la responsabilità per la produzione delle prove scientifiche necessarie per una più completa valutazione del rischio.

Un punto particolarmente delicato della Comunicazione della Commissione consiste nel riconoscimento, in essa contenuto, del fatto che, pur essendo indispensabile una “valutazione scientifica quanto più completa possibile, … giudicare quale sia un livello di rischio accettabile per la società costituisce una responsabilità eminentemente politica”. Ne consegue – come recentemente osservato con acutezza in un documento di conclusioni dell’Avvocato generale [6] - una “distinzione tra valutazione e gestione dei rischi, la prima spettante alla scienza e la seconda alla politica”, con la conseguente possibilità, in casi estremi, che “una decisione presa a livello comunitario a titolo di gestione del rischio può discostarsi dalle conclusioni a cui è pervenuta la scienza”: ma con la assoluta necessità, in questo caso, che le ragioni politiche della decisione siano “chiare e distinte dalle valutazioni scientifiche”, e con la precisazione che “il margine di discrezionalità lasciato agli Stati membri nel ricorso al principio di precauzione è tanto più ristretto, quanto più essi si allontanano dall’analisi scientifica e si basano sul giudizio politico”.

3. Diritto italiano: il principio di precauzione nel D. Lgs. n. 152/2006

Il nuovo “Codice dell’ambiente” (D. Lgs. n. 152/2006) contiene numerosi, espliciti e articolati riferimenti al principio di precauzione.

Trattandosi di un principio di derivazione comunitaria, è del tutto presumibile che le norme ad esso dedicate resteranno ferme, anche dopo il completamento del programma di revisione del “Codice” che è stato annunciato dal nuovo Governo [5].

L’art. 301 del Decreto legislativo è specificamente dedicato – nell’ambito della Parte sesta (“Norme in materia di tutela risarcitoria contro i danni all’ambiente”) – alla “Attuazione del principio di precauzione”. Il primo comma di esso prevede, in termini generali, che “in applicazione del principio di precauzione di cui all’articolo 174, paragrafo 2, del Trattato Ce, in caso di pericoli, anche solo potenziali, per la salute umana e per l’ambiente, pur se non vi sia certezza scientifica in ordine all’effettività del rischio, deve essere assicurato un alto livello di protezione”. I successivi commi dell’articolo sono tuttavia esplicitamente finalizzati a definire i limiti e le condizioni di applicazione del principio, prevedendo (con indicazioni sostanzialmente corrispondenti ai criteri fissati nella Comunicazione n. 2/2000 della Commissione, esaminata al paragrafo che precede) che:

- “l’applicazione del principio concerne il rischio che comunque possa essere individuato a sèguito di una preliminare valutazione scientifica obiettiva”;

- gli interventi adottabili dal Ministro ai sensi dell’art. 304 del Decreto legislativo (“Azione di prevenzione” [6]) siano:

“a) proporzionali rispetto livello di protezione che s’intende raggiungere;

b) non discriminatori nella loro applicazione e coerenti con misure analoghe già adottate;

c) basati sull’esame dei potenziali vantaggi ed oneri;

d) aggiornabili alla luce di nuovi dati scientifici”.

4. Il ruolo fondamentale degli organi tecnico-scientifici nazionali e sopranazionali

La Corte costituzionale ha anche recentemente valorizzato l’importanza della scienza ed il ruolo degli organi tecnico-scientifici nazionali e internazionali in sede di applicazione del principio di precauzione:

a) chiarendo che in materia di tutela della salute “l’elaborazione di indirizzi fondati sulla verifica dello stato delle conoscenze scientifiche e delle evidenze sperimentali” (elaborazione spettante agli “organi tecnico-scientifici”) prevale sulla “pura discrezionalità politica dello stesso legislatore” [7];

b) ulteriormente precisando – in tempi recentissimi – che l’imposizione di limiti all’esercizio della libertà di iniziativa economica “sulla base dei principi di prevenzione e precauzione nell’interesse dell’ambiente e della salute umana” può legittimamente avvenire soltanto sulla base di “indirizzi fondati sulla verifica dello stato delle conoscenze scientifiche e delle evidenze sperimentali acquisite tramite istituzioni e organismi, di norma nazionali o sopranazionali, a ciò deputati, dato l’essenziale rilievo che, a questi fini, rivestono gli organi tecnico scientifici” [8].

Le indicazioni degli organi tecnico-scientifici ufficiali – ha recentissimamente precisato il Consiglio di Stato [9] – possono essere superate soltanto in presenza di ben precisi e circostanziati “elementi nuovi” tali da rendere non più accettabili gli orientamenti scientifici precedentemente assunti come base per le decisioni politiche o amministrative.

5. Caratteristiche di pericolosità dei rifiuti contaminati da idrocarburi: una applicazione concreta del principio stabilito dalla Corte sul ruolo decisivo degli organi tecnico-scientifici ufficiali

Recentemente, una ordinanza del TAR Veneto [10] ha correttamente applicato i principi affermati dalla Corte costituzionale ed esposti nel paragrafo precedente.

Nel caso esaminato dal TAR, un Ente locale aveva classificato come pericolosi determinati rifiuti contaminati da idrocarburi, deliberatamente adottando un criterio di classificazione del tutto difforme da quello suggerito da APAT e dall’Istituto Superiore di Sanità in pareri ufficiali [11]. Nella motivazione, il provvedimento impugnato davanti al TAR richiamava genericamente il principio di precauzione come base legale sufficiente per “superare” in senso rigoristico i pareri resi dagli organi tecnico-scientifici ufficiali dello Stato [12].

Il TAR ha sospeso l’efficacia del provvedimento impugnato sul presupposto che esso aveva inesattamente applicato il principio di precauzione, non tenendo conto dei pareri di Apat e I.S.S.



Luciano Butti è avvocato e professore a contratto di diritto internazionale dell’ambiente presso l’Università di Padova. Sul ruolo del principio di precauzione nel diritto internazionale, comunitario e nazionale dell’ambiente l’Autore rinvia al proprio volume “The Precautionary Principle in Environmental Law” che verrà prossimamente pubblicato in lingua inglese dall’editore Giuffré, nei Quaderni della Rivista giuridica dell’ambiente.

[1] Riporto testualmente il passaggio fondamentale della Dichiarazione di Rio: “In order to protect the environment, the precautionary approach shall be widely applied by States according to their capabilities. Where there are threats of serious and irreversibile damage, lack of full scientific certainty shall not be used as a reason for postponing cost-effective measures to prevent environmental degradation”. Quattro gli aspetti da sottolineare: si parla di “approccio” precauzionale (concetto apparentemente più flessibile rispetto al “principio” di precauzione); si fa riferimento alle concrete possibilità di applicazione della precauzione da parte degli Stati; si sottolinea il carattere “serio e irreversibile” che il paventato danno deve presentare; si evidenzia che le misure di cautela devono essere efficienti dal punto di vista del rapporto costi-benefici. E’ del resto significativo che tale versione assai prudente del principio di precauzione venga puntualmente recepita dai Tribunali internazionali, che ovviamente applicano i Trattati piuttosto che le norme del diritto comunitario. Si considerino per esempio: International Tribunal for the Law of the Sea, Order 3 dicembre 2001, Mox Plant Case, che rifiuta le misure cautelari radicali richieste dal ricorrente, sul presupposto che lo stesso ricorrente non ha potuto provare la sussistenza di “either irreparabile damage … or serious harm” (il Tribunale, peraltro, ordina, applicando criteri di “prudence and caution”, che le parti si scambino informazioni circa il rischio e la sua evoluzione); in termini simili, International Tribunal for the Law of the Sea, Order 8 Ottobre 2003, Malaysia v. Singapore, e International Tribunal for the Law of the Sea, Order 27 August 1999, Southern Bluefin Tuna Cases (con una “separate opinion” del Giudice Treves favorevole ad una applicazione più incisiva del principio di precauzione). Recentissimamente, una posizione non lontana da quella dell’International Tribunal for the Law of the Sea è stata sostenuta dalla International Court of Justice, nel proprio Order 13 Luglio 2006, Argentina v. Uruguay, Case concernine Pulp Mills on the River Uruguay: anche in questo caso, peraltro, va segnalata la “dissenting opinion” del Giudice ad hoc Vinuesa, favorevole ad una applicazione del principio di precauzione anche in presenza di “a reasonable basis of uncertainty” in merito al rischio ambientale.

[2] La giurisprudenza amministrativa italiana ha precisato, in tempi recenti, che il rischio può ritenersi “individuato” quando vi sia la dimostrazione o quanto meno la “plausibile allegazione di un pregiudizio” (TAR Lazio, sezione seconda ter, 18 aprile 2005, n. 6582). Secondo Consiglio di Stato, sezione sesta, 4 aprile 2005, n. 1462, è necessario dimostrare la “possibilità di una alterazione negativa” dell’ambiente.

[3] Sull’importanza della revisione – sulla base di sopravvenuti dati scientifici – delle misure cautelari adottate insiste in modo particolare Corte di Giustizia delle Comunità europee, 12 gennaio 2006, in causa C-504/04, nei seguenti testuali termini (punto 40): “Ove vi siano nuovi elementi che modificano la percezione di un rischio o mostrano che tale rischio può essere circoscritto da misure meno severe di quelle esistenti, spetta alle Istituzioni, in particolare alla Commissione, che dispone del potere d’iniziativa, vigilare sull’adeguamento della normativa ai nuovi dati”.

[4] Conclusioni dell’avvocato generale Poiares Maduro del 14 settembre 2004 in causa C-41/02.

[5] Abbiamo già una prima conferma di questa previsione: lo schema di decreto legislativo correttivo del “Codice dell”ambiente” – approvato in prima lettura dal Governo il 12 ottobre 2006 – non modifica l’art. 301, che offre, come vedremo, un’ampia descrizione dei contenuti del principio. Esso contiene peraltro un ulteriore riferimento al principio di precauzione, che viene esplicitamente indicato (insieme con gli altri principi comunitari) come criterio interpretativo della definizione di rifiuto.

[6] La rubrica e il contenuto dell’art. 304 introducono peraltro alcuni elementi di confusione, in quanto oscillano fra un approccio precauzionale e un approccio meramente preventivo: infatti, la rubrica dell’art. 304 parla di “azione di prevenzione”, e anche le misure attuabili dal Ministro vengono qualificate come “di prevenzione”.

[7] Corte cost., 26 giugno 2002, n. 282, la cui rilevanza è fra gli altri sottolineata da COMPORTI Gian Domenico, Contenuto e limiti del governo amministrativo dell’inquinamento elettromagnetico alla luce del principio di precauzione, in Rivista giuridica dell’ambiente, 2005, f. 2, p. 221. La Corte costituzionale ha reiterato il proprio insegnamento nella sentenza 14 novembre 2003, n. 338.

[8] Corte cost., 17 marzo 2006, n. 116.

[9] Così Consiglio di Stato, 18 gennaio 2006 n. 2001.

[10] TAR Veneto, sezione terza, ordinanza 25 ottobre 2006, n. 1963.

[11] APAT e ISS, espressamente interrogati dalla Regione Veneto in ordine alle modalità per la valutazione di pericolosità dei rifiuti contaminati da idrocarburi, avevano risposto rispettivamente in data 8 giugno ed in data 5 luglio 2006, affermando entrambi (con ampia motivazione, che richiamava fra l’altro gli analoghi orientamenti adottati nel Regno Unito) che, anche quando non è nota l’attività che ha generato il rifiuto ed anche quando la concentrazione degli idrocarburi totali è maggiore di 0,1% (1.000 ppm), il rifiuto stesso può considerarsi pericoloso soltanto se siano presenti – in concentrazioni superiori alle rispettive soglie – gli specifici marker di cancerogenicità individuati dalla direttiva 67/548/CEE.

[12] In concreto, il provvedimento impugnato classificava come pericolosi i rifiuti contaminati da idrocarburi tutte le volte in cui la concentrazione degli idrocarburi totali è maggiore di 0,1% (1.000 ppm).

Sommario:

1. Premessa

2. Diritto internazionale e comunitario

3. Diritto italiano: il principio di precauzione nel D. Lgs. n. 152/2006

4. Il ruolo fondamentale degli organi tecnico-scientifici nazionali e sopranazionali

5. Caratteristiche di pericolosità dei rifiuti contaminati da idrocarburi: una applicazione concreta del principio stabilito dalla Corte sul ruolo decisivo degli organi tecnico-scientifici ufficiali

1. Premessa

Sempre più frequentemente il principio di precauzione viene richiamato per giustificare normative o provvedimenti amministrativi in materia ambientale.

Appare perciò opportuno tentare di ricostruire il reale significato di questo importante principio giuridico, di derivazione comunitaria.

Esamineremo questo problema tanto in termini generali – con riferimento soprattutto ai contenuti del diritto comunitario – quanto in relazione ad un caso concreto recentemente affrontato dalla giurisprudenza amministrativa.

2. Diritto internazionale e comunitario

Il riconoscimento universale del principio di precauzione è intervenuto in occasione della Conferenza ONU del 1992 di Rio de Janeiro sull’Ambiente e lo Sviluppo. Ed è significativo che proprio in quella sede – insieme con la più solenne proclamazione del principio – siano giunti i primi avvertimenti riguardanti i limiti della sua possibile applicazione e le cautele (precauzioni?) che occorre utilizzare nel maneggiarlo [1].

Con il nuovo millennio, il principio di precauzione (o l’approccio precauzionale, secondo il linguaggio preferito oltre Oceano) ha costituito uno degli aspetti fondamentali di numerosi Accordi internazionali, fra i quali si segnalano:

- il Protocollo di Cartagena del 2000 sulla Biosicurezza;

- la Convenzione di Stoccolma del 2001 sugli Inquinanti Organici Persistenti (POPs), che individua un numero definito e preciso di sostanze considerate a rischio, la cui produzione deve pertanto cessare, e che viene generalmente considerato – tanto dai produttori come dagli ambientalisti – una equilibrata espressione del principio di precauzione;

- la Convenzione di Londra del 2001 sulle vernici antivegetative per imbarcazioni (“Anti-Fouling Systems on Ships”).

Nel diritto comunitario, il principio di precauzione entra ufficialmente nel Trattato – benché non venga da esso espressamente definito – attraverso le modifiche apportate con il Trattato di Maastricht (1992). Ed in tale momento perciò si affianca ai preesistenti principi: “chi inquina paga”, “prevenzione” e “correzione alla fonte”. Con l’opportuna precisazione – in seguito ribadita e precisata dal Trattato di Amsterdam (1997) – secondo la quale le esigenze connesse con la tutela dell’ambiente – e fra esse dunque anche quella della precauzione – devono essere integrate nella definizione e nell’attuazione delle altre politiche comunitarie.

Esaminiamo ora che cosa comporta, e come deve essere applicato, sulla base del diritto comunitario, il principio di precauzione. Il diritto comunitario è apertamente schierato in favore di una sua interpretazione “attiva”. Il documento decisivo, da questo punto di vista, consiste nella Comunicazione 2 febbraio 2000 della Commissione. Essa infatti precisa che:

a) l’applicazione del principio comunque presuppone un rischio (di livello incerto, ma) individuato, vale a dire “una preliminare valutazione scientifica obiettiva”, la quale indichi che “ vi sono ragionevoli motivi di temere ….” [2];

b) quando una determinata azione viene considerata necessaria sulla base del principio di precauzione, essa dovrebbe fra l’altro essere:

- proporzionale al livello prescelto di protezione;

- non discriminatoria nella sua applicazione;

- coerente con misure analoghe già adottate;

- basata su un esame dei potenziali vantaggi ed oneri (possibilmente attraverso un’analisi costi/benefici);

- soggetta a revisione (e dunque provvisoria) alla luce dei nuovi dati scientifici [3];

- in grado di attribuire la responsabilità per la produzione delle prove scientifiche necessarie per una più completa valutazione del rischio.

Un punto particolarmente delicato della Comunicazione della Commissione consiste nel riconoscimento, in essa contenuto, del fatto che, pur essendo indispensabile una “valutazione scientifica quanto più completa possibile, … giudicare quale sia un livello di rischio accettabile per la società costituisce una responsabilità eminentemente politica”. Ne consegue – come recentemente osservato con acutezza in un documento di conclusioni dell’Avvocato generale [6] - una “distinzione tra valutazione e gestione dei rischi, la prima spettante alla scienza e la seconda alla politica”, con la conseguente possibilità, in casi estremi, che “una decisione presa a livello comunitario a titolo di gestione del rischio può discostarsi dalle conclusioni a cui è pervenuta la scienza”: ma con la assoluta necessità, in questo caso, che le ragioni politiche della decisione siano “chiare e distinte dalle valutazioni scientifiche”, e con la precisazione che “il margine di discrezionalità lasciato agli Stati membri nel ricorso al principio di precauzione è tanto più ristretto, quanto più essi si allontanano dall’analisi scientifica e si basano sul giudizio politico”.

3. Diritto italiano: il principio di precauzione nel D. Lgs. n. 152/2006

Il nuovo “Codice dell’ambiente” (D. Lgs. n. 152/2006) contiene numerosi, espliciti e articolati riferimenti al principio di precauzione.

Trattandosi di un principio di derivazione comunitaria, è del tutto presumibile che le norme ad esso dedicate resteranno ferme, anche dopo il completamento del programma di revisione del “Codice” che è stato annunciato dal nuovo Governo [5].

L’art. 301 del Decreto legislativo è specificamente dedicato – nell’ambito della Parte sesta (“Norme in materia di tutela risarcitoria contro i danni all’ambiente”) – alla “Attuazione del principio di precauzione”. Il primo comma di esso prevede, in termini generali, che “in applicazione del principio di precauzione di cui all’articolo 174, paragrafo 2, del Trattato Ce, in caso di pericoli, anche solo potenziali, per la salute umana e per l’ambiente, pur se non vi sia certezza scientifica in ordine all’effettività del rischio, deve essere assicurato un alto livello di protezione”. I successivi commi dell’articolo sono tuttavia esplicitamente finalizzati a definire i limiti e le condizioni di applicazione del principio, prevedendo (con indicazioni sostanzialmente corrispondenti ai criteri fissati nella Comunicazione n. 2/2000 della Commissione, esaminata al paragrafo che precede) che:

- “l’applicazione del principio concerne il rischio che comunque possa essere individuato a sèguito di una preliminare valutazione scientifica obiettiva”;

- gli interventi adottabili dal Ministro ai sensi dell’art. 304 del Decreto legislativo (“Azione di prevenzione” [6]) siano:

“a) proporzionali rispetto livello di protezione che s’intende raggiungere;

b) non discriminatori nella loro applicazione e coerenti con misure analoghe già adottate;

c) basati sull’esame dei potenziali vantaggi ed oneri;

d) aggiornabili alla luce di nuovi dati scientifici”.

4. Il ruolo fondamentale degli organi tecnico-scientifici nazionali e sopranazionali

La Corte costituzionale ha anche recentemente valorizzato l’importanza della scienza ed il ruolo degli organi tecnico-scientifici nazionali e internazionali in sede di applicazione del principio di precauzione:

a) chiarendo che in materia di tutela della salute “l’elaborazione di indirizzi fondati sulla verifica dello stato delle conoscenze scientifiche e delle evidenze sperimentali” (elaborazione spettante agli “organi tecnico-scientifici”) prevale sulla “pura discrezionalità politica dello stesso legislatore” [7];

b) ulteriormente precisando – in tempi recentissimi – che l’imposizione di limiti all’esercizio della libertà di iniziativa economica “sulla base dei principi di prevenzione e precauzione nell’interesse dell’ambiente e della salute umana” può legittimamente avvenire soltanto sulla base di “indirizzi fondati sulla verifica dello stato delle conoscenze scientifiche e delle evidenze sperimentali acquisite tramite istituzioni e organismi, di norma nazionali o sopranazionali, a ciò deputati, dato l’essenziale rilievo che, a questi fini, rivestono gli organi tecnico scientifici” [8].

Le indicazioni degli organi tecnico-scientifici ufficiali – ha recentissimamente precisato il Consiglio di Stato [9] – possono essere superate soltanto in presenza di ben precisi e circostanziati “elementi nuovi” tali da rendere non più accettabili gli orientamenti scientifici precedentemente assunti come base per le decisioni politiche o amministrative.

5. Caratteristiche di pericolosità dei rifiuti contaminati da idrocarburi: una applicazione concreta del principio stabilito dalla Corte sul ruolo decisivo degli organi tecnico-scientifici ufficiali

Recentemente, una ordinanza del TAR Veneto [10] ha correttamente applicato i principi affermati dalla Corte costituzionale ed esposti nel paragrafo precedente.

Nel caso esaminato dal TAR, un Ente locale aveva classificato come pericolosi determinati rifiuti contaminati da idrocarburi, deliberatamente adottando un criterio di classificazione del tutto difforme da quello suggerito da APAT e dall’Istituto Superiore di Sanità in pareri ufficiali [11]. Nella motivazione, il provvedimento impugnato davanti al TAR richiamava genericamente il principio di precauzione come base legale sufficiente per “superare” in senso rigoristico i pareri resi dagli organi tecnico-scientifici ufficiali dello Stato [12].

Il TAR ha sospeso l’efficacia del provvedimento impugnato sul presupposto che esso aveva inesattamente applicato il principio di precauzione, non tenendo conto dei pareri di Apat e I.S.S.



Luciano Butti è avvocato e professore a contratto di diritto internazionale dell’ambiente presso l’Università di Padova. Sul ruolo del principio di precauzione nel diritto internazionale, comunitario e nazionale dell’ambiente l’Autore rinvia al proprio volume “The Precautionary Principle in Environmental Law” che verrà prossimamente pubblicato in lingua inglese dall’editore Giuffré, nei Quaderni della Rivista giuridica dell’ambiente.

[1] Riporto testualmente il passaggio fondamentale della Dichiarazione di Rio: “In order to protect the environment, the precautionary approach shall be widely applied by States according to their capabilities. Where there are threats of serious and irreversibile damage, lack of full scientific certainty shall not be used as a reason for postponing cost-effective measures to prevent environmental degradation”. Quattro gli aspetti da sottolineare: si parla di “approccio” precauzionale (concetto apparentemente più flessibile rispetto al “principio” di precauzione); si fa riferimento alle concrete possibilità di applicazione della precauzione da parte degli Stati; si sottolinea il carattere “serio e irreversibile” che il paventato danno deve presentare; si evidenzia che le misure di cautela devono essere efficienti dal punto di vista del rapporto costi-benefici. E’ del resto significativo che tale versione assai prudente del principio di precauzione venga puntualmente recepita dai Tribunali internazionali, che ovviamente applicano i Trattati piuttosto che le norme del diritto comunitario. Si considerino per esempio: International Tribunal for the Law of the Sea, Order 3 dicembre 2001, Mox Plant Case, che rifiuta le misure cautelari radicali richieste dal ricorrente, sul presupposto che lo stesso ricorrente non ha potuto provare la sussistenza di “either irreparabile damage … or serious harm” (il Tribunale, peraltro, ordina, applicando criteri di “prudence and caution”, che le parti si scambino informazioni circa il rischio e la sua evoluzione); in termini simili, International Tribunal for the Law of the Sea, Order 8 Ottobre 2003, Malaysia v. Singapore, e International Tribunal for the Law of the Sea, Order 27 August 1999, Southern Bluefin Tuna Cases (con una “separate opinion” del Giudice Treves favorevole ad una applicazione più incisiva del principio di precauzione). Recentissimamente, una posizione non lontana da quella dell’International Tribunal for the Law of the Sea è stata sostenuta dalla International Court of Justice, nel proprio Order 13 Luglio 2006, Argentina v. Uruguay, Case concernine Pulp Mills on the River Uruguay: anche in questo caso, peraltro, va segnalata la “dissenting opinion” del Giudice ad hoc Vinuesa, favorevole ad una applicazione del principio di precauzione anche in presenza di “a reasonable basis of uncertainty” in merito al rischio ambientale.

[2] La giurisprudenza amministrativa italiana ha precisato, in tempi recenti, che il rischio può ritenersi “individuato” quando vi sia la dimostrazione o quanto meno la “plausibile allegazione di un pregiudizio” (TAR Lazio, sezione seconda ter, 18 aprile 2005, n. 6582). Secondo Consiglio di Stato, sezione sesta, 4 aprile 2005, n. 1462, è necessario dimostrare la “possibilità di una alterazione negativa” dell’ambiente.

[3] Sull’importanza della revisione – sulla base di sopravvenuti dati scientifici – delle misure cautelari adottate insiste in modo particolare Corte di Giustizia delle Comunità europee, 12 gennaio 2006, in causa C-504/04, nei seguenti testuali termini (punto 40): “Ove vi siano nuovi elementi che modificano la percezione di un rischio o mostrano che tale rischio può essere circoscritto da misure meno severe di quelle esistenti, spetta alle Istituzioni, in particolare alla Commissione, che dispone del potere d’iniziativa, vigilare sull’adeguamento della normativa ai nuovi dati”.

[4] Conclusioni dell’avvocato generale Poiares Maduro del 14 settembre 2004 in causa C-41/02.

[5] Abbiamo già una prima conferma di questa previsione: lo schema di decreto legislativo correttivo del “Codice dell”ambiente” – approvato in prima lettura dal Governo il 12 ottobre 2006 – non modifica l’art. 301, che offre, come vedremo, un’ampia descrizione dei contenuti del principio. Esso contiene peraltro un ulteriore riferimento al principio di precauzione, che viene esplicitamente indicato (insieme con gli altri principi comunitari) come criterio interpretativo della definizione di rifiuto.

[6] La rubrica e il contenuto dell’art. 304 introducono peraltro alcuni elementi di confusione, in quanto oscillano fra un approccio precauzionale e un approccio meramente preventivo: infatti, la rubrica dell’art. 304 parla di “azione di prevenzione”, e anche le misure attuabili dal Ministro vengono qualificate come “di prevenzione”.

[7] Corte cost., 26 giugno 2002, n. 282, la cui rilevanza è fra gli altri sottolineata da COMPORTI Gian Domenico, Contenuto e limiti del governo amministrativo dell’inquinamento elettromagnetico alla luce del principio di precauzione, in Rivista giuridica dell’ambiente, 2005, f. 2, p. 221. La Corte costituzionale ha reiterato il proprio insegnamento nella sentenza 14 novembre 2003, n. 338.

[8] Corte cost., 17 marzo 2006, n. 116.

[9] Così Consiglio di Stato, 18 gennaio 2006 n. 2001.

[10] TAR Veneto, sezione terza, ordinanza 25 ottobre 2006, n. 1963.

[11] APAT e ISS, espressamente interrogati dalla Regione Veneto in ordine alle modalità per la valutazione di pericolosità dei rifiuti contaminati da idrocarburi, avevano risposto rispettivamente in data 8 giugno ed in data 5 luglio 2006, affermando entrambi (con ampia motivazione, che richiamava fra l’altro gli analoghi orientamenti adottati nel Regno Unito) che, anche quando non è nota l’attività che ha generato il rifiuto ed anche quando la concentrazione degli idrocarburi totali è maggiore di 0,1% (1.000 ppm), il rifiuto stesso può considerarsi pericoloso soltanto se siano presenti – in concentrazioni superiori alle rispettive soglie – gli specifici marker di cancerogenicità individuati dalla direttiva 67/548/CEE.

[12] In concreto, il provvedimento impugnato classificava come pericolosi i rifiuti contaminati da idrocarburi tutte le volte in cui la concentrazione degli idrocarburi totali è maggiore di 0,1% (1.000 ppm).