Il sassofono
Il sassofono
Scorro il pentagramma… non riesco nemmeno più a ricordare la posizione del Si bemolle, sono quasi due anni che non suono. Il trasloco è stato un vortice che ha risucchiato tutto, un passaggio quasi metafisico in cui poche cose hanno superato la nuova soglia. Tra queste ho salvato quelle inutili per lasciarmi provocare ancora, almeno ogni tanto, dalla bellezza.
In attesa di un mare piatto difficile da scorgere, l’ho posizionato là, sotto il letto, il mio sassofono, per scoprire poi che il mare piatto è un’utopia, una stupida utopia ed è tempo perso attenderlo, posso solo assecondare speranzosa la dinamicità dell’esistenza.
Lucido e dormiente nel suo velluto scuro, spesso, sul far della notte, m’è sembrato di sentirlo palpitare, ma poi il sonno ha vinto la vita e l’ho dimenticato.
L’amore per quello strumento mi era nato tanti anni fa chissà come, ma solo da grande avevo cominciato a prendere lezioni con la promessa che quello sarebbe stato il suono rispondente ai miei desideri e un monito a non delimitarmi, fino all’ultimo soffio, oltre le pieghe della fatica. E anche oggi, pur in silenzio, scintillando, ridesta in me l’alternativa, incurante della voce dei più.
È un allenamento alla memoria di quello che davvero mi fa gioire, è il mio personalissimo monito a concentrare lo sguardo su ciò che mi interessa, che sia un desiderio piccolo o grande, l’attrazione per una stellina o una stella, anche se l’età avanza e con essa la comoda tendenza a pensare che la categoria della possibilità non mi riguardi più. È il simbolo di una costante battaglia tra una staticità mortifera e un cuore pulsante, in cui perdere e perdersi è la vera vittoria.
Provo a ignorare la mia testa e lascio che le dita si muovano memori di una meccanica esercitata a lungo, ma in un passato troppo remoto. Ne esce una morbida melodia, è imprecisa, ma c’è.