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Il traffico di sostanze stupefacenti: cosa dice la legge

del verde
Ph. Erika Pucci / del verde

Una breve disamina del reato di traffico di sostanze stupefacenti

Il quadro normativo italiano in materia di stupefacenti trova la sua prima concretizzazione storica all’inizio del ventesimo secolo, nello specifico nella Legge n. 396 del 1923 mirante a sanzionare il commercio non autorizzato di sostanze velenose aventi effetto stupefacente. Da allora, sino alle più recenti novelle, il sistema italiano si è evoluto.

La disciplina penale italiana in materia di stupefacenti è contenuta nel Testo Unico delle Leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza (D.P.R. 9 ottobre 1990 n. 30), al Titolo VIII, rubricato “Della repressione delle attività illecite”, Capo I “Disposizioni penali e sanzioni amministrative” (articoli 72 - 103).

Con riferimento alle condotte punite dall’articolo 73 Testo Unico Sostanze Stupefacenti (di seguito T.U. STUP.), occorre in primo luogo segnalare come, sotto il profilo strutturale, la pluralità di condotte descritte dia luogo ad una pluralità di reati, quando la medesima condotta abbia contestualmente per oggetto droghe leggere e droghe pesanti; viceversa, ove vi siano più condotte aventi ad oggetto la medesima sostanza, si avrà un unico reato.

L’intervento del giudice delle leggi ha inevitabilmente influito sul bene giuridico tutelato, per il quale oggi valgono le medesime considerazioni che a tal proposito erano state formulate in dottrina, sotto la vigenza della versione del Testo Unico precedente alla riforma del 2006.

Anche sotto il profilo della nozione di stupefacente l’ordinamento italiano si presenta particolarmente rispettoso del dettato internazionale, data l’assenza di una nozione generale e la conseguente adozione di un sistema tabellare. Tale approccio è dovuto altresì alla difficile proposizione di una definizione di sostanza stupefacente generalmente condivisa e valida sotto il profilo medico/giuridico.

I diversi criteri di classificazione prospettati (criterio dell’origine del prodotto/ degli effetti/ della composizione chimica), data anche l’eterogeneità delle sostanze oggetto del commercio illecito in questione, si sono rivelati infatti tutti estremamente insoddisfacenti.

Per tale ragione, l’identificazione della sostanza stupefacente nell’ordinamento italiano, sin dall’introduzione della prima disciplina organica, si basa sulla predisposizione di apposite tabelle; con la conseguenza che soltanto le sostanze indicate nelle stesse possono legalmente considerarsi droghe con la relativa applicazione della disciplina di cui al T.U. STUP.  Il sistema attualmente in vigore si fonda su cinque distinte tabelle, redatte secondo quanto stabilito dagli articoli 13 e 14 del T.U. STUP.

La stesura, il completamento e l’aggiornamento delle tabelle avviene con decreto del Ministro della salute, sentiti il Consiglio superiore di sanità e l’Istituto superiore di sanità, ed è informato dai criteri stabiliti dall’articolo 14 T.U. STUP. tra i quali spicca dall’obbligo di necessario adeguamento agli elenchi contenuti negli accordi e nelle convenzioni internazionali.

I delitti previsti in materia di stupefacenti si suddividono in due macro-categorie se si prende in considerazione il soggetto attivo del reato. Le medesime condotte, infatti, posso essere commesse o da un soggetto titolare di un’autorizzazione al trattamento di determinate sostanze, ed in tale ipotesi se la condotta avviene non rispettando i termini dell’autorizzazione avremo un reato proprio. Diversamente, le fattispecie del TU. STUP. si delineano di norma alla stregua di veri e propri reati comuni, realizzabili quindi da chiunque a prescindere dalla qualifica giuridica posseduta.

A seconda del bene giuridico che si intenderà leso dalle norme in commento, e quindi a seconda del principio di politica criminale che si assume fondante la strategia di contrasto al traffico di stupefacenti, il soggetto passivo del reato muta. Se infatti si considera specifico oggetto di tutela la salute collettiva e il contrasto ai traffici illeciti, assumendo quindi come punto di riferimento un bene giuridico superindividuale, soggetto passivo sarà lo Stato. Per converso, se si considera, in un’ottica fortemente paternalistica, bene tutelato la salute del singolo, quest’ultimo diviene soggetto passivo del reato.

Vengono in rilievo quattro macro-categorie di condotte:

  • le condotte attinenti alla produzione degli stupefacenti (coltivazione, produzione, fabbricazione, estrazione, raffinazione); 
  • le condotte attinenti al trasferimento da o verso lo Stato degli stupefacenti (esportazione, importazione, passaggio o spedizione in transito);
  • le condotte attinenti alla commercializzazione degli stupefacenti (vendita, cessione, offerta in vendita, messa in vendita, commercio, consegna, distribuzione, invio, procacciamento);
  • le condotte attinenti alla semplice disponibilità degli stupefacenti ove questa è reputata illecita dall’ordinamento (acquisto, ricezione, trasporto e detenzione).

Con riguardo alle condotte punite dalla disposizione incriminatrice di cui all’articolo 74 TU STUP., il legislatore ha mantenuto l’impianto strutturale tipico delle fattispecie di tipo associativo, sanzionando la mera costituzione di un sodalizio criminoso tra una pluralità di soggetti, finalizzata alla commissione di una pluralità di reati-fine, la cui rilevanza penale prescinde dall’effettiva attuazione del programma criminoso. 

La scelta del legislatore di riprendere la configurazione propria dei reati associativi, con conseguente mancata tipizzazione sia degli elementi strutturali del gruppo criminale organizzato sia delle condotte dei singoli compartecipi, ha inevitabilmente trasferito in sede giurisprudenziale l’opera di concretizzazione dei contorni delle condotte punite, assegnando un ruolo centrale all’esegesi interpretativa.

Ai fini della pena, il codice distingue tra associati, promotori, costitutori, organizzatori e capi. Associati sono tutti coloro che aderiscono all’associazione. Promotori sono coloro che si fanno iniziatori dell’associazione. Costitutori sono coloro che, con la loro attività, ne determinano o concorrono a determinarne la nascita. Organizzatori sono coloro che coordinano l’attività dei singoli soci per assicurare la vita, l’efficienza e lo sviluppo dell’associazione. Capi, infine, sono coloro che regolano, in tutto o in parte, l’attività collettiva, con poteri di supremazia sugli altri.

Chi promuove, costituisce, dirige, organizza o finanzia l’associazione è punito per ciò solo con la reclusione non inferiore a venti anni. Chi partecipa all’associazione è punito con la reclusione non inferiore a dieci anni. La pena è aumentata se il numero degli associati è di dieci o più o se tra i partecipanti vi sono persone dedite all’uso di sostanze stupefacenti o psicotrope.

Se l’associazione è armata la pena, non può essere inferiore a ventiquattro anni di reclusione e, nel caso previsto dal comma 2, a dodici anni di reclusione. L’associazione si considera armata quando i partecipanti hanno la disponibilità di armi o materie esplodenti, anche se occultate o tenute in luogo di deposito.

Il dolo richiesto per il delitto in esame è specifico e consiste nella coscienza e volontà di entrare a fare parte di un’associazione di almeno tre persone con il fine di commettere più delitti.

Il delitto de quo si consuma nel momento in cui è costituita l’associazione; non è richiesto anche l’inizio dell’attività delittuosa avuta di mira. Il tentativo non è ammissibile.

 

La giurisprudenza più recente

Secondo la più recente giurisprudenza, costituisce condotta che integra la partecipazione all’associazione finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti la costante disponibilità a fornire le sostanze oggetto del traffico del sodalizio, tale da determinare un durevole rapporto tra fornitore e spacciatori che immettono droga nel consumo al minuto, una volta che risulti accertata la coscienza e volontà del fornitore di far parte dell’associazione, di contribuire al suo mantenimento e di favorire la realizzazione del fine comune di trarre profitto dal commercio di droga (Sez. 4, n. 19272 del 12.06.2020, Bellissima; Sez. 6, n. 41612 del 19.06.2013, Manta). […] Con riferimento all’associazione finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti, riveste il ruolo di promotore non solo chi sia stato l’iniziatore dell’associazione, coagulando intorno a sé le prime adesioni e consensi partecipativi, ma anche colui che – rispetto ad un gruppo già costituito – determini ulteriori adesioni, sia addetto a sovraintendere alla complessiva attività di gestione della formazione criminale e, in tale direzione, assuma funzioni decisionali (Sez. 2, n. 52316 del 27.09.2016, Riva; Sez. 6, n. 45168 del 29.10.2015, Cidoni).”
Il Supremo Consesso ha fornito la propria interpretazione circa i differenti ruoli prospettabili all’interno della associazione finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti. I giudici hanno, escluso una incompatibilità logico-giuridica tra il ruolo apicale e il carattere susseguente dell’adesione all’associazione, precisando che sul giudice di merito grava l’onere dapprima di accertare e poi di motivare in ordine all’assunzione del ruolo di promotore-dirigente di colui che, in qualità di nuovo aderente, assuma su di sé la funzione di diffusione del programma, di adozione delle decisioni.

La Corte di legittimità, in tema di illecita concorrenza con minaccia o violenza, ha ribadito che per vedere compiutamente integrato il reato in commento deve essere accertata la sussistenza di condotte avente carattere violento o minaccioso, atte a impedire ai concorrenti l’esercizio del diritto di autodeterminazione in ordine allo svolgimento dell’attività commerciale, industriale o produttiva (Cassazione penale I Sezione, 17 febbraio 2021, n. 6232).

È interessante commentare anche una interessante sentenza della Corte costituzionale Sentenza 8 luglio 2021, n. 143, nascente da un’ordinanza dell’8 settembre 2020 con cui la Corte di cassazione, prima sezione penale, ha sollevato, in riferimento agli articoli 3, 25 e 27 della Costituzione, questioni di legittimità costituzionale dell’articolo 69, quarto comma, del codice penale, come sostituito dall’articolo 3 della legge 5 dicembre 2005, n. 251 (Modifiche al codice penale e alla legge 26 luglio 1975, n. 354, in materia di attenuanti generiche, di recidiva, di giudizio di comparazione delle circostanze di reato per i recidivi, di usura e di prescrizione), nella parte in cui prevede il divieto di prevalenza dell’attenuante del «fatto di lieve entità» - introdotta dalla sentenza n. 68 del 2012 della Corte costituzionale, in relazione al reato di sequestro di persona a scopo di estorsione di cui all’articolo 630 codice penale - sulla circostanza aggravante della recidiva di cui all’articolo 99, quarto comma, codice penale.

Nel più ampio contesto di un’associazione per delinquere finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti, a cinque imputati è stato contestato, in particolare, il delitto di sequestro di persona a scopo di estorsione, ai sensi dell’articolo 630 codice penale, con l’aggravante di cui all’articolo 112, primo comma, numero 1), codice penale, per il numero dei concorrenti nel reato. Gli imputati, condannati in primo grado dal Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale ordinario di Bari e in appello dalla Corte di assise di appello di Bari, hanno proposto ricorso per cassazione con motivi che attengono esclusivamente alla determinazione della pena.

In particolare, contrariamente a quanto valutato dal giudice di primo grado, la Corte di assise di appello, facendo applicazione della sentenza di questa Corte n. 68 del 2012, ha riconosciuto in favore degli imputati l’attenuante del «fatto di lieve entità», trattandosi del sequestro operato per poche ore nei confronti di un associato, al fine di costringerlo a versare la somma di 1.400 euro, quale ricavato della vendita di una piccola quantità di stupefacente affidatagli, e al fine di ottenere la restituzione della pistola, appartenente al sodalizio criminale e della quale si era impossessato.

In definitiva, l’impossibilità per il giudice di ritenere prevalente, sulla recidiva reiterata, la diminuente del «fatto di lieve entità» comporta - secondo la Corte rimettente - la violazione degli articoli 3, 25 e 27 Costituzione.  Con atto del 9 dicembre 2020, è intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che le questioni siano dichiarate non fondate.

La Corte Costituzionale è arrivata alla seguente decisione: “è vero che - come giustamente sottolineava l’Avvocatura generale dello Stato - la circostanza aggravante della recidiva reiterata ai sensi dell’articolo 99, quarto comma, codice penale è facoltativa e non già obbligatoria, come affermato da questa Corte (sentenza n. 120 del 2017 e ordinanza n. 145 del 2018). E tale è divenuta anche la recidiva di cui al quinto comma dello stesso articolo 99 codice penale a seguito della dichiarazione di illegittimità costituzionale di cui alla sentenza n. 185 del 2015. Sussiste quindi l’illegittimità delle questioni sollevate.”

Inoltre, occorre precisare che in tema di spaccio di stupefacenti, la fattispecie di lieve entità prevista dall’articolo 73, comma 5, del D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309 e la causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto ex articolo 131 bis del codice penale sono fattispecie non coincidenti sul piano strutturale (Cassazione penale 10 agosto 2021, n. 31427).

 

Dati statistici sull’uso di sostanze stupefacenti

Secondo la Relazione Europea sulla Droga 2021, redatta dall’Osservatorio europeo delle droghe e delle tossicodipendenze, solitamente il consumo di stupefacenti è maggiore tra i maschi e questa differenza risulta in genere accentuata per i modelli di uso più intenso e regolare. Secondo le stime, nell’Unione europea circa 83 milioni di adulti (di età compresa fra 15 e 64 anni), ossia il 28,9 %, hanno assunto sostanze illecite almeno una volta nel corso della vita. Si tratta di una stima minima dovuta a distorsioni nelle segnalazioni. Le esperienze di uso di droga sono segnalate più frequentemente dai maschi (50,6 milioni) che dalle femmine (32,8 milioni).

Il consumo di droga nell’ultimo anno è un parametro di misura del consumo recente ed è prevalentemente concentrato fra i giovani adulti. Si stima che nell’ultimo anno abbiano fatto uso di droghe 17,4 milioni (16,9 %) di giovani adulti (15-34 anni); tra coloro che hanno segnalato di averne fatto uso, i maschi (21,6 %) sono il doppio delle femmine (12,1 %). I consumatori di oppiacei rappresentano il 26 % delle richieste di trattamento della tossicodipendenza (Cfr.https://aliautonomie.it/wp-content/uploads/2021/06/DROGHE-Report-EMCDDA-2021.pdf).

 

Conclusioni

Le droghe si intersecano in continuazione con la disciplina penale della imputabilità, del narcotraffico, della condotta di guida di autoveicoli o natanti e della esecuzione penale. Sempre più persone, anche per il crescente utilizzo, tra i più giovani, di sostanze alcoliche e stupefacenti, si trovano poi a dover giustificare i loro comportamenti "penalmente valutabili” in virtù del possesso o dell’utilizzo di tali prodotti.

La droga non ha risolto, anzi ha amplificato e cronicizzato le paure e le insicurezze da cui si tenta di fuggire, e così si deve ricominciare” scriveva non molto tempo fa Antonio Polito, autore anche di un testo sull’esercizio, il fascino e il bisogno della paternità nel nostro tempo. Da qui occorre ripartire: dall’esercizio della responsabilità degli adulti. Un cammino che non solo la società ma anche il legislatore dovrebbe continuare a percorrere con sanzioni più aspre.