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La Cassazione e il valore del terreno rivalutato

rivalutazione terreni
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Abstract

Anche per il 2020 è possibile riallineare il costo storico dei terreni, sia agricoli che edificabili, al valore venale all’01.01.2020, pagando un’imposta sostitutiva delle imposte sui redditi pari all’11%. Non sempre il valore indicato nella successiva vendita del terreno coincide con quello di perizia. La sentenza 2321/2020 delle Sezioni Unite, dirimendo un contrasto di giurisprudenza, fa chiarezza sulle conseguenze della divaricazione di valori tra perizia di stima ed atto di vendita.

 

Indice:

1. Cos’è l’affrancamento del valore dei terreni?

2. Quali sono i benefici dell’affrancamento di valore per i contribuenti?

3. La perizia di stima e l’atto di vendita del terreno devono indicare valori identici?

4. Qual è la novità della sentenza 2321/2020 delle Sezioni Unite della Cassazione?

 

1. Cos’è l’affrancamento del valore dei terreni?

L’affrancamento è un termine tecnico che significa l’aggiornamento del valore di acquisto o del costo storico di un terreno: costo storico se il terreno è stato acquisito per successione, valore di acquisto se il terreno è stato acquistato a titolo oneroso.

L’affrancamento dei terreni sia a vocazione agricola che edificabili è uno strumento utilizzato dallo Stato per ottenere entrate fiscali e dai proprietari di terreni per ridurre il carico fiscale che, altrimenti, graverebbe sulla plusvalenza realizzata dalla vendita dei terreni.

La facoltà di rivalutazione venne introdotta dall’articolo 18 della Legge 47/1985 e l’ultima norma di questo senso è l’articolo 1, commi 693 e 694 della Legge 160/2019.

I beneficiari dell’affrancamento di valore stabilito dall’articolo 1, commi 693 e 694 della Legge 160/2019 sono i proprietari dei terreni agricoli o edificabili diversi dalle imprese commerciali e dagli esercenti arti e professioni.

Il costo storico o il valore di acquisto di questi terreni, che devono essere posseduti all’1.01.2020, vengono aggiornati al valore venale all’1.01.2020, determinato con un’apposita perizia giurata, che dev’essere redatta entro il 30.06.2020 da un tecnico abilitato.

Sul valore periziato il proprietario paga, entro il 30.06.2020, un’imposta sostitutiva di quella sui redditi, nella misura dell’11%.

 

2. Quali sono i benefici dell’affrancamento di valore per i contribuenti?

L’affrancamento del valore del terreno attua una sostanziale rivalutazione del costo storico al valore venale all’1.01.2020 e permette al proprietario di ridurre il carico fiscale in caso di vendita.

Per consentire una migliore comprensione introduco una breve digressione sulla tassazione delle vendite dei terreni.

Le persone fisiche, gli enti non commerciali e le società semplici che cedono un terreno agricolo o edificabile (articolo 67, primo comma, lett. a), D.P.R. 917/86) devono assoggettare la vendita all’imposta sui redditi.

La base imponibile è data dalla differenza tra i corrispettivi percepiti nel periodo d’imposta e il prezzo di acquisto del bene ceduto, incrementato di ogni altro costo inerente al bene medesimo (articolo 68, primo comma, D.P.R. 917/86).

La rivalutazione dei terreni aggiorna il costo storico e, perciò, riduce questa differenza (cd. plusvalenza), potendo anche azzerarla e, conseguentemente, riduce o annulla l’imposizione fiscale.

In termine tecnico si parla di affrancamento delle “plusvalenze latenti”.

 

3. La perizia di stima e l’atto di vendita del terreno devono indicare valori identici?

Nessuna norma sulla rivalutazione dei terreni delle tante che si sono succedute a partire dal 1985 ad oggi ha disciplinato il collegamento tra valore periziato e valore indicato nell’atto di vendita, né è stata prevista la decadenza dalla rivalutazione in caso di mancato recepimento del valore periziato nell’atto di cessione.

È evidente e scontato che il ricorso alla rivalutazione ed il pagamento dell’imposta sostitutiva sono effettuati in vista dell’utilizzo del valore determinato dal perito nella successiva vendita del terreno.

Tuttavia, non è sempre possibile mutuare tout court il valore di perizia: ad esempio, quando il perito calcola un valore al mq e il prezzo di vendita, invece, viene pattuito a corpo.

Queste situazioni si verificano frequentemente ed hanno generato un contenzioso tra Agenzia delle Entrate e contribuenti con alterni esiti processuali.

La materia del contendere riguarda la portata dell’indicazione di un valore diverso nella vendita rispetto a quello di perizia.

Una domanda può rendere comprensibile il concetto: il disallineamento tra il valore indicato nell’atto di vendita rispetto a quello calcolato nella perizia che conseguenze comporta?

Secondo l’Agenzia delle Entrate il cedente rinuncerebbe all’applicazione della normativa speciale sull’affrancamento del terreno a beneficio della norma generale dell’articolo 67, comma 1, lett. a), D.P.R. 917/86. Tradotto in termini pratici: il contribuente deve ripagare l’IRPEF sulla differenza tra corrispettivo incassato dalla vendita del terreno e costo storico o valore di acquisto, come se la rivalutazione non fosse mai avvenuta.

 

4. Qual è la novità della sentenza 2321/2020 delle Sezioni Unite della Cassazione?

La sentenza riguarda la cessione di un terreno rivalutato ai sensi dell’articolo 7 della Legge 448/2001; tuttavia, è utile anche per le rivalutazioni successive, che sono tutte accomunate dal medesimo meccanismo applicativo.

La Suprema Corte effettua una ricostruzione sistematica spiegando che l’articolo 82 (ora 68) del D.P.R. 917/86 costituisce la norma generale di calcolo della base imponibile, a cui si affianca la norma speciale: nella fattispecie l’articolo 7 della Legge 448/2001.

Passa, poi, in rassegna le fattispecie che si possono verificare: mancata indicazione nella cessione del valore calcolato nella perizia ed indicazione di un valore inferiore a quello periziato.

Mancata indicazione nella cessione del valore calcolato nella perizia

In merito l’orientamento più risalente e maggioritario ritiene che la mancanza nell’atto di vendita del valore individuato nella perizia giurata non esponga il contribuente al rischio di applicare la tassazione sulla differenza tra corrispettivo riscosso e costo storico.

Questa corrente interpretativa si fonda sul testo dell’articolo 7 della L. 448/2001, che non impone di indicare il valore rivalutato nel successivo atto di vendita, né prevede l’irrogazione di sanzioni per un tale comportamento.

Né tale conclusione può essere inficiata dalla facoltà dell’Amministrazione finanziaria di contestare la congruità del valore risultante dalla perizia, in quanto una tale contestazione è inconferente con il criterio di calcolo della plusvalenza in base alla norma speciale (articolo 7, Legge 448/2001) in luogo della norma generale (articolo 82, ora 68, D.P.R. 917/86).

Indicazione nella vendita di un valore inferiore a quello periziato

Rispetto a questo tema le Sezioni Unite danno conto che esiste un orientamento che, sulla falsariga di quello vigente per la mancata indicazione del valore di perizia, ritiene che non vi sia alcun obbligo, a pena di decadenza dal calcolo ridotto della plusvalenza, di uniformare il valore di partenza del terreno a quello di perizia.

In sostanza, le sentenze che espongono questo orientamento ritengono che il valore di perizia non sia inderogabile, dovendo escludere il potere dell’Amministrazione finanziaria di sindacare il conteggio della plusvalenza effettuato in base alla normativa sulla rivalutazione.

La sentenza 2321/2020 enfatizza la recente ordinanza n. 2894/2019 che ricostruisce la spettanza dell’agevolazione come una sequenza procedimentale in cui il contribuente deve porre in essere tre adempimenti:

1) determinazione del valore del terreno secondo perizia di stima nei termini di legge (per il 2020 entro il 30.06.2020);

2) versamento dell’imposta sostitutiva del 4% (per il 2020 dell’11%) sul valore determinato in perizia;

3) esecuzione del versamento nei termini indicati nella legge di rivalutazione (per il 2020 30.06.2020, se in unica soluzione).

Rispetto a questa corrente interpretativa, a mio avviso fedele al dato testuale e conforme al principio di legalità, vengono riportate due sentenze distoniche: la 19465/2016 e la 24136/2017.

La sentenza 19465/2016 si occupa di un atto di vendita che contiene un valore inferiore a quello di perizia e ritiene che il contribuente può essere accertato, in quanto se si rinuncia al valore minimo di perizia, occorre inserire il costo storico del terreno e utilizzarlo per il calcolo della plusvalenza. Infatti, il comma 6 dell’articolo 7, Legge 448/2001 qualifica il valore periziato come valore normale minimo di riferimento ai fini delle imposte sui redditi, di registro ed ipocatastali.

La sentenza 24136/2017, relativa alla medesima situazione, sottolinea la volontarietà della rivalutazione e ritiene che il pagamento dell’imposta sostitutiva non precluda l’accertamento della plusvalenza come differenza tra costo storico (non rivalutato) del terreno e corrispettivo percepito.

Dopo questa ricostruzione le Sezioni Unite fondano la soluzione del contrasto interpretativo sulla volontarietà della rivalutazione e dalla sua autonomia rispetto ad una futura cessione.

È sufficiente che il contribuente che intende avvalersi della rivalutazione e ridurre le plusvalenze latenti segua il procedimento stabilito nelle leggi di rivalutazione.

Affinché la rivalutazione sia efficace non occorre una successiva cessione: le Sezioni Unite ritengono irrilevante che il contribuente tragga un concreto vantaggio dalla propria scelta.

Dunque, la rivalutazione è un sistema chiuso in se stesso e la sua efficacia non dipende da una successiva vendita del terreno agevolato, come conferma il fatto che la mancata vendita non fa sorgere il diritto al rimborso dell’imposta sostitutiva già pagata.

Le Sezioni Unite decidono di dare continuità all’orientamento maggioritario valorizzando la lettera della norma: "...può essere assunto, in luogo del costo o valore di acquisto, il valore a tale data determinato sulla base di una perizia giurata di stima [...] unicamente condizionato al pagamento dell’imposta sostitutiva [...] a condizione che il predetto valore sia assoggettato ad una imposta sostitutiva delle imposte sui redditi, secondo quanto disposto nei commi da 2 a 6".

Perciò, una volta verificatisi i presupposti previsti dalla legge di rivalutazione per fruire dell’imposta sostitutiva, tale meccanismo impedisce di recuperare, ai fini del computo della plusvalenza, il valore storico del bene anteriore a quello di perizia, ancorché detto valore non sia indicato nell’atto o sia indicato un valore commerciale inferiore a quello periziato, come tale inidoneo a determinare l’insorgenza di un reddito tassabile rispetto al valore periziato maggiore.

Il pagamento dell’imposta sostitutiva viene, quindi, ritenuto un baluardo inespugnabile.

In sostanza, tutto ruota intorno alla volontà del contribuente di avvalersi del costo rivalutato, volontà che si estrinseca nello schema procedurale fissato dalla legge di rivalutazione.

Pertanto, solo l’attuazione del procedimento fissato dalla legge speciale è l’unica ad impedire la decadenza dall’agevolazione.

La Cassazione esclude che vincoli o limitazioni introdotti in documenti di prassi abbiano alcuna portata prescrittiva.

Né la mancata indicazione del valore nell’atto può essere letta come una volontà contraria della parte cedente che non vi abbia fatto riferimento.

La Corte evidenzia che il titolare del bene, optando per il meccanismo di cui all’articolo 7 della L. n. 448/2001, sceglie di pagare l’imposta sostitutiva in misura fissa senza alcun aggancio con l’alienazione del bene, occasione che farebbe scaturire il presupposto impositivo per la formazione di un reddito diverso da sottoporre a tassazione. E ciò il contribuente fa sulla base del valore periziato che costituisce, ex lege, valore normale minimo di riferimento.

La novità portata dalla sentenza 2321/2020 è sia pratica, in quanto elimina incertezze applicative ed accertamenti fiscali non fondati sulla legge, ma sulla prassi ministeriale, sia ermeneutica.

È oltremodo apprezzabile il fatto che le Sezioni Unite abbiano riconosciuto il primato dell’oggettività: la lettera della legge.

L’interpretazione letterale oggettivizza la fattispecie imponibile ed è legata alla difesa del principio di legalità: l’Amministrazione finanziaria non può introdurre vincoli, decadenze o ostacoli in documenti di prassi.