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La ratio del divieto codicistico del patto commissorio

alba a Sirolo
Ph. Luca Martini / alba a Sirolo

Il patto commissorio è l’accordo con cui si conviene che, in caso di mancato adempimento di un’obbligazione entro il termine pattuito, la proprietà della cosa posta a garanzia dell’adempimento passi al creditore. Per espressa previsione legislativa contenuta in due disposizioni codicistiche, ossia l’articolo 1963 Codice Civile (in materia di anticresi) e l’articolo 2744 Codice Civile (in materia di pegno e ipoteca), entrambe rubricate “Divieto del patto commissorio”, la pattuizione della clausola commissoria è nulla.

Le due disposizioni codicistiche summenzionate disciplinano quello che può essere definito come patto commissorio accessorio in virtù del fatto che l’accordo di trasferimento sospensivamente condizionato all’inadempimento “accede” a un contratto costitutivo di garanzia reale (pegno, ipoteca) o personale (anticresi).

Se in un primo momento era invalso l’orientamento che riteneva vietati esclusivamente i patti commissori accessori, nel tempo, al fine di colpire alienazioni a solo scopo di garanzia aventi nella sostanza effetti equipollenti al patto commissorio codicistico, ha prevalso l’interpretazione che estendeva l’applicazione del divieto anche a queste ultime, oggetto dei c.d. patti commissori autonomi, accordi che non accedono ad alcun contratto di garanzia e in cui è convenuto il trasferimento immediato del bene risolutivamente condizionato all’adempimento di un’obbligazione pregressa.

In passato, con riferimento ai patti commissori autonomi, una parte della dottrina e della giurisprudenza aveva ritenuto di escludere dall’ambito di applicazione del divieto le ipotesi in cui il trasferimento del bene era immediato e risolutivamente condizionato all’adempimento, con possibilità, dunque, per il debitore di riacquistare la proprietà del bene attraverso l’adempimento dell’obbligazione garantita. Ciò in virtù di una lettura restrittiva degli articoli 1963 e 2744 Codice Civile, che espressamente comminano la sanzione della nullità alle ipotesi in cui il trasferimento si verifica al momento dell’inadempimento (“la proprietà della cosa passa al creditore in caso di inadempimento”), costituente avveramento della condizione sospensiva dell’alienazione.

Si riteneva che il vero vulnus del negozio commissorio andasse individuato nel differimento dell’effetto traslativo al momento dell’inadempimento, condizione questa idonea a provocare nel debitore una coazione morale nel tempo in cui era possibile adempiere per il fatto che quest’ultimo poteva nutrire la speranza, spesso vana, di ottenere attraverso l’adempimento la restituzione del bene ceduto.

Senonché, la distinzione tra l’ipotesi in cui il trasferimento è mediato e sospensivamente condizionato all’inadempimento e quella in cui esso è immediato e risolutivamente condizionato all’adempimento appariva più formale che sostanziale: in entrambi i casi viene in rilievo, infatti, un trasferimento precario, i cui effetti si consolidano solo al momento dell’inadempimento.

Entrambe le ipotesi costituiscono negozi con esclusiva funzione di garanzia, in cui la sola giustificazione causale è quella di garantire l’adempimento di un’obbligazione. La tesi che, pertanto, si è consolidata è quella secondo cui le disposizioni codicistiche in esame vadano lette in un’ottica sostanzialistica, come norme che vietano uno specifico risultato negoziale che è quello di subordinare il trasferimento di un bene al perseguimento di una causa di garanzia, ritenuta inidonea a sorreggere l’effetto traslativo.

Tuttavia, già all’interno del Codice Civile e, in tempi più recenti, nella legislazione speciale è possibile individuare diverse ipotesi di patto commissorio che però si caratterizzano per la presenza della c.d. cautela marciana: sono ipotesi in cui si prevede che in caso di inadempimento il creditore ottiene sì la proprietà del bene ma deve restituire al debitore (e in questo consiste la cautela marciana) la differenza tra il valore del bene, così come stimato al momento dell’inadempimento da parte di un terzo imparziale, e il valore del debito residuo.

La cautela marciana è una clausola che accede al patto commissorio e ne limita la portata: obbligando il creditore a restituire l’eventuale eccedenza tra il valore del bene che ha acquisito e l’entità del credito residuo, da una parte, si consente al creditore di soddisfarsi immediatamente con una prestazione sostitutiva, ossia con l’acquisizione della proprietà del bene, e, dall’altra, si tutela il debitore da un ingiustificato depauperamento patrimoniale.

Tra le ipotesi di patto marciano disciplinate dal Codice è possibile annoverare il c.d. pegno irregolare di cui all’articolo 1851 Codice Civile che consente al debitore di ottenere la restituzione del denaro, delle merci e dei titoli che eccedono l’ammontare dei crediti garantiti.

Altre ipotesi si rinvengono nella disciplina della vendita coattiva stragiudiziale (artt. 2796-2797 Codice Civile) e dell’assegnazione della cosa in pagamento (articolo 2798 Codice Civile), nella quale è fatto salvo il diritto del debitore di ottenere la restituzione della somma eccedente il valore del debito.

Analogamente, l’articolo 1982 Codice Civile in materia di cessione dei beni ai creditori prevede espressamente che, effettuata tra i creditori la ripartizione delle somme ricavate dalla liquidazione dei beni del debitore, il residuo sia restituito a quest’ultimo.

Come si è detto, anche la legislazione speciale ha visto una notevole proliferazione di ipotesi di patto marciano. In particolare, il Decreto Legislativo 1° settembre 1993, n. 385 (Testo Unico Bancario) prevede due tipologie di patto marciano.

La prima è disciplinata dall’articolo 48-bis T.U.B. che ha previsto l’introduzione nel nostro ordinamento di uno schema negoziale di trasferimento di un bene immobiliare in favore del soggetto finanziatore sospensivamente condizionato all’inadempimento del soggetto finanziato. Tale inadempimento, per espressa previsione legislativa, deve consistere nel mancato pagamento di un determinato numero di rate protrattosi per un certo periodo di tempo. Al verificarsi delle condizioni che qualificano l’inadempimento, il creditore ha facoltà di notificare al debitore o al soggetto titolare del diritto reale immobiliare una dichiarazione di volersi avvalere degli effetti del patto; decorsi sessanta giorni da tale notifica, il Presidente del Tribunale del luogo in cui si trova l’immobile, su richiesta del creditore procedente, nomina un perito che incarica della stima del bene. Nel caso in cui dalla stima effettuata emerga un valore superiore a quello del debito garantito, il creditore è tenuto a versare su un apposito conto corrente bancario intestato al debitore l’eccedenza e solo all’effettivo pagamento di tale somma si verifica la condizione sospensiva del trasferimento immobiliare.

Altra ipotesi prevista dal Testo Unico Bancario è quella di cui all’articolo 120-quinquies e ss. in tema di credito immobiliare ai consumatori, in cui cioè le parti del rapporto sono un consumatore (debitore-garante) e un finanziatore (creditore-garantito). La disciplina speciale prevede che, ad eccezione delle ipotesi espressamente previste, nei contratti di credito tra questi soggetti può essere convenuto il trasferimento al finanziatore della proprietà di un immobile già ipotecato a garanzia del credito restitutorio per l’ipotesi di inadempimento, anche in questo caso qualificato (almeno diciotto rate mensili insolute), da parte del consumatore all’obbligazione di restituzione. La cautela marciana consiste nel fatto che, se dalla stima dell’immobile il valore dello stesso risulta superiore al debito residuo, il consumatore-debitore ha diritto alla corresponsione dell’eccedenza.

Un’ulteriore ipotesi di patto marciano tipico prevista dalla legislazione speciale è il c.d. prestito vitalizio ipotecario, introdotto dalla Legge 2 aprile 2015, n. 44. Il prestito vitalizio ipotecario consiste in una particolare tipologia di finanziamento a medio-lungo termine, concessa a soggetti di età superiore a 60 anni attraverso la garanzia di un’ipoteca di primo grado su un immobile residenziale. La particolarità di questa forma di finanziamento consiste nel fatto che, diversamente da un comune contratto di mutuo, non si prevedono obbligazioni restitutorie frazionate e periodiche, ma un’unica restituzione integrale al momento della morte del soggetto finanziato o in presenza di altre ipotesi legislativamente previste. Al momento del rimborso del finanziamento a seguito del verificarsi di una delle condizioni previste dalla legge, l’eventuale eccedenza tra il ricavato della vendita dell’immobile ipotecato e l’ammontare del debito deve essere versata a favore degli eredi.

La presenza nel Codice e il successivo proliferare nella legislazione speciale di ipotesi di patto marciano porta ad interrogarsi su quale sia la ratio del divieto di patto commissorio o, quantomeno, di quale sia la portata dello stesso al fine di ritenere ammissibili o meno ipotesi di patto marciano non espressamente previste dalla legge, ossia atipici.

Tradizionalmente, le rationes rinvenute alla base del divieto codicistico del patto commissorio sono tre:

(i) l’interesse dello Stato al mantenimento del monopolio sulle procedure esecutive;

(ii) l’interesse alla tutela della par condicio creditorum;

(iii) l’interesse specifico di tutelare la parte più debole del rapporto, ossia il debitore.

Con riferimento alla prima delle rationes individuate, il divieto di patto commissorio consentirebbe di garantire la tutela del monopolio statale sulle procedure esecutive in quanto impedirebbe al singolo creditore di soddisfarsi autonomamente per il danno subito a seguito dell’inadempimento dell’obbligazione contratta attraverso l’apprensione del bene dato in garanzia, senza necessità di attivare le ordinarie procedure esecutive statali.

Tale tesi è oggi recessiva: proprio la diffusione di patti marciani tipici, ai quali è spesso ricollegato l’effetto esdebitativo, dimostra la tendenza del legislatore ad impedire l’attivazione di procedure esecutive statali al fine di deflazionare il carico giudiziario. Peraltro, la previsione di diversi istituti codicistici di autotutela esecutiva del creditore (la vendita in danno del bene; l’escussione o la cessione dei crediti; l’appropriazione dei beni oggetto del pegno; la locazione del bene oggetto del pegno con l’imputazione dei canoni a soddisfacimento del credito) depone a favore dell’inesistenza di un principio generale dell’esclusività della tutela esecutiva statale.

La tesi che ricollega la ratio del divieto alla necessità di garantire la classe dei creditori e di evitare la lesione della par condicio creditorum si spiega in ragione del fatto che con l’accordo commissorio il bene che garantisce l’obbligazione viene sottratto dal patrimonio del debitore in caso di inadempimento, con conseguente diminuzione delle garanzie in favore degli altri creditori. Ebbene, si osserva, al medesimo risultato si perviene pur sempre attraverso il ricorso agli ordinari diritti reali di garanzia, ossia il pegno e l’ipoteca, cui “accede” il patto commissorio c.d. accessorio; l’eventuale sproporzione tra il valore del bene sottratto al patrimonio del debitore e il debito residuo, idonea a cagionare un effettivo danno ai creditori non garantiti, è pur sempre eliminabile attraverso l’applicazione di una clausola marciana.

Peraltro, la possibilità di creare strutture dotate di distinta soggettività giuridica (società, associazioni) e, a maggior ragione, la proliferazione di ipotesi di separazione patrimoniale senza alterità soggettiva, legislativamente previsti o demandati all’autonomia negoziale (articolo 2645-ter Codice Civile), dimostra come il principio dell’universalità del patrimonio individuale, se esistente, sia oggi assolutamente recessivo.

Ad oggi, la tesi prevalente è quella che rinviene la ratio del divieto nella necessità di tutelare il soggetto più debole del rapporto, ossia il debitore: poiché nella generalità dei casi il bene oggetto di garanzia è quantomeno di valore non inferiore all’entità del debito, il ricorso al patto commissorio è idoneo a determinare a danno del debitore un depauperamento patrimoniale privo di giustificazione e, dunque, ingiusto. L’applicazione di una clausola marciana, che disponga l’obbligo da parte del creditore di restituire l’eccedenza, si pone allora come soluzione sufficientemente idonea ad evitare il verificarsi di questo risultato.

Da qui, la considerazione secondo cui il patto commissorio, munito di clausola marciana (dunque, il patto marciano) sia da intendersi estraneo all’ambito di applicazione del divieto codicistico, con la conseguenza di ritenere che, in virtù dell’autonomia negoziale di cui all’articolo 1322 Codice Civile, sia consentita la definizione di schemi negoziali marciani anche al di là delle ipotesi legislativamente previste e che, dunque, sia del tutto ammissibile il patto marciano atipico.

In conclusione, la tesi oggi prevalente in dottrina e condivisa anche da una parte della giurisprudenza più recente è quella che individua la giustificazione del divieto del patto commissorio nella necessità di tutelare il debitore da ingiustificati depauperamenti del proprio patrimonio, risultato questo evitabile attraverso la predisposizione di una cautela marciana: l’accordo che ne consegue, ossia il patto marciano, si pone allora al di fuori dell’ambito di applicazione del divieto codicistico e ciò consente di ritenere ammissibili e del tutto valide ipotesi di patto marciano anche diverse da quelle tipizzate dal legislatore, purché funzionali al perseguimento di interessi meritevoli di tutela secondo l’ordinamento giuridico.