La compatibilità del principio di retroattività favorevole con le sentenze in malam partem della Corte costituzionale e l’art. 10, co. 3, della legge ex-Cirielli
Il principio di retroattività favorevole è previsto, invece, all’art. 2 c.p., che regola al secondo comma l’abolitio criminis e al quarto comma l’ipotesi di successione di leggi solo modificative, con l’applicazione della norma più favorevole al reo, salvo la pronuncia di sentenza irrevocabile.
Si pone, di conseguenza, il problema della compatibilità del principio di retroattività favorevole, stabilito esclusivamente da una disposizione ordinaria, con il principio costituzionalmente tutelato dell’irretroattività della legge penale.
La Corte Costituzionale interviene sul punto e statuisce che il principio di retroattività favorevole sia contenuto nell’art. 3 Cost.
Quindi i due principi appena esposti costituiscono valori previsti dalla Costituzione, ma hanno una diversa intensità di tutela.
Invero, il principio di irretroattività sfavorevole ha la sua ratio nella calcolabilità delle conseguenze penali delle condotte da parte dei consociati, che non possono essere assoggettati ad un trattamento sanzionatorio più grave di quello previsto al momento della commissione del fatto.
E’ un valore assoluto, inderogabile, riconosciuto non soltanto dall’art. 25, co. 2, Cost. ma anche dall’art. 27 Cost. riguardante il principio di colpevolezza ed il fine rieducativo della pena, che verrebbero frustrati se il soggetto non fosse in grado di prevedere ciò che è lecito e ciò che non è lecito alla luce del proprio comportamento.
Il principio di retroattività favorevole trova fondamento, come detto, nell’art. 3 Cost.: il principio di uguaglianza impone di equiparare il trattamento sanzionatorio dei medesimi fatti, a prescindere dalla circostanza che essi siano stati commessi prima o dopo l’entrata in vigore della norma che ha disposto l’abolitio criminis o la modifica mitigatrice.
Ha, perciò, un valore costituzionale ma relativo, e come tale può subire delle deroghe che devono essere giustificate e ragionevoli.
Tali limiti al principio di retroattività favorevole vengono analizzate sulla base delle sentenze in malam partem della Corte Costituzionale.
E’ opportuno precisare che tali decisioni debbano aver precedentemente superato il problema della loro compatibilità con il principio di riserva di legge, che definisce il monopolio statuale della criminalizzazione.
Di conseguenza sono inammissibili sentenze additive o manipolative della Corte Costituzionale che estendano la fattispecie incriminatrice o prevedano comunque un trattamento sanzionatorio più grave di quello stabilito dal legislatore.
In questo caso, infatti, vi sarebbe un’ingiustificata sostituzione della Consulta all’attività del Parlamento, l’unico organo istituzionale legittimato all’emanazione di nuove leggi incriminatrici.
Si ha, invece, compatibilità con il principio di riserva di legge nel caso in cui, a seguito delle sentenze in malam partem, si attivino quei meccanismi previsti dall’ordinamento per colmare le eventuali lacune prodotte dall’intervento giurisprudenziale.
Pensiamo, in particolare, all’abrogazione delle c.d. norme di favore con la contestuale automatica riespansione della disciplina generale o comune più grave dettata dal legislatore.
In effetti la Corte Costituzionale non compie nessuna scelta di politica criminale e resta impregiudicata la funzione del legislatore nello stabilire l’an, il quomodo ed il quantum della punizione.
Occorre, però, analizzare le sentenze in malam partem alla luce dei principi che governano la successione di leggi penali nel tempo, disciplina contenuta nell’art. 2 c.p. e scindere la questione in due momenti cronologicamente diversi rispetto alla commissione del fatto.
Nel caso in cui la norma di favore sia entrata in vigore prima della commissione del fatto, si avrebbe la riespansione della norma più severa prevista dal legislatore.
In tale evenienza troverebbe applicazione il principio di irretroattività sfavorevole in quanto il soggetto ha scelto di tenere un determinato comportamento previsto in base alla lex mitior esistente al momento della commissione del fatto.
Nel caso in cui la norma penale di favore sopravvenga alla commissione del fatto, l’intervenuta sentenza di incostituzionalità della stessa impedirebbe la produzione degli effetti del principio di retroattività favorevole.
La pronuncia caducatoria della Corte Costituzionale stabilisce, quindi, un limite al principio di retroattività favorevole, che presenta il carattere della ragionevolezza.
Da ciò deriva che un’eventuale deroga in tanto è destinata a trovare applicazione in quanto la norma sopravvenuta sia costituzionalmente legittima.
Il legislatore potrà intervenire successivamente alla commissione del fatto prevedendo una disciplina di favore che si applicherà anche agli individui che si siano scientemente determinati a violare la norma penale più severa, sempreché quella nuova valutazione di politica criminale non sia in contrasto con la Costituzione.
In definitiva l’uguaglianza del trattamento sanzionatorio stabilita per chi ha commesso il fatto consapevole dell’applicazione della norma più severa e chi è penalmente responsabile perché autodeterminatosi ad una condotta punibile da una disciplina più mite viene giustificata da una scelta oggettiva da parte del legislatore di mutamento del disvalore del fatto, a prescindere da un giudizio sulla rimproverabilità dell’individuo.
Ulteriore problematica da analizzare è quella relativa alla compatibilità del principio in esame con la disciplina introdotta da una legge, successiva alla commissione del fatto, più favorevole in tema di prescrizione, che ne limita la portata retroattiva.
Innanzitutto va risolta la questione della natura processuale o sostanziale da ascrivere all’istituto della prescrizione.
Infatti la disciplina contenuta nell’art. 2 c.p. è applicabile esclusivamente ad istituti sostanziali; per quelli processuali vale il principio del tempus regit actum, a prescindere dall’effetto favorevole o sfavorevole per l’individuo.
La dottrina e la giurisprudenza prevalenti ritengono che la prescrizione sia un istituto sostanziale, in base al quale non si estingue l’azione penale ma viene meno definitivamente la pretesa punitiva dello Stato per il superamento di un intervallo di tempo previsto dalla legge, senza che sia intervenuta una sentenza di condanna irrevocabile.
Muovendo da tale presupposto possiamo stabilire che la normativa sopravvenuta che contrae il termine prescrizionale si applichi secondo il principio previsto dall’art. 2, co. 4, c.p., allorchè manchi nella disciplina successiva un’espressa regolamentazione di tipo intertemporale.
Una diversa questione sorge quando la normativa successiva volta a ridurre i termini di prescrizione precluda espressamente la retroazione a fatti commessi precedentemente.
Dobbiamo quindi chiederci se i limiti introdotti al principio in esame siano oggettivamente ragionevoli.
La Corte Costituzionale, analizzando l’art. 10, co. 3, della legge ex-Cirielli definisce i criteri da osservare per l’individuazione di una deroga ragionevole al principio di retroattività favorevole.
In primo luogo deve trattarsi di un’eccezione che sia coerente con la funzione che l’ordinamento riconosce all’istituto regolamentato falla disciplina sopravvenuta.
Nel caso di specie l’apertura del dibattimento non è elemento idoneo a correlarsi significativamente alle caratteristiche della prescrizione, e cioè il decorso del tempo che fa diminuire l’allarme sociale e rende più difficile l’esercizio del diritto di difesa.
Inoltre la deroga deve essere espressione di tutela di interessi non meno rilevanti di quelli sottesi al principio di retroattività favorevole.
Ciò giustifica l’illegittimità costituzionale dell’art. 10, co. 3, della legge ex-Cirielli limitatamente alle parole “dei processi già pendenti in primo grado ove vi sia stata la dichiarazione di apertura del dibattimento”.
Implicitamente la Consulta considera ragionevoli le deroghe previste per tutti i giudizi di impugnazione pendenti.
Questa parte della disciplina transitoria, operando in relazione a processi già ampiamente avviati, appare correlata in maniera ancora più stringente alle ragioni dei limiti della retroattività favorevole, e non è esposta a critiche sul piano della razionalità del criterio temporale applicato.
Il principio di retroattività favorevole è previsto, invece, all’art. 2 c.p., che regola al secondo comma l’abolitio criminis e al quarto comma l’ipotesi di successione di leggi solo modificative, con l’applicazione della norma più favorevole al reo, salvo la pronuncia di sentenza irrevocabile.
Si pone, di conseguenza, il problema della compatibilità del principio di retroattività favorevole, stabilito esclusivamente da una disposizione ordinaria, con il principio costituzionalmente tutelato dell’irretroattività della legge penale.
La Corte Costituzionale interviene sul punto e statuisce che il principio di retroattività favorevole sia contenuto nell’art. 3 Cost.
Quindi i due principi appena esposti costituiscono valori previsti dalla Costituzione, ma hanno una diversa intensità di tutela.
Invero, il principio di irretroattività sfavorevole ha la sua ratio nella calcolabilità delle conseguenze penali delle condotte da parte dei consociati, che non possono essere assoggettati ad un trattamento sanzionatorio più grave di quello previsto al momento della commissione del fatto.
E’ un valore assoluto, inderogabile, riconosciuto non soltanto dall’art. 25, co. 2, Cost. ma anche dall’art. 27 Cost. riguardante il principio di colpevolezza ed il fine rieducativo della pena, che verrebbero frustrati se il soggetto non fosse in grado di prevedere ciò che è lecito e ciò che non è lecito alla luce del proprio comportamento.
Il principio di retroattività favorevole trova fondamento, come detto, nell’art. 3 Cost.: il principio di uguaglianza impone di equiparare il trattamento sanzionatorio dei medesimi fatti, a prescindere dalla circostanza che essi siano stati commessi prima o dopo l’entrata in vigore della norma che ha disposto l’abolitio criminis o la modifica mitigatrice.
Ha, perciò, un valore costituzionale ma relativo, e come tale può subire delle deroghe che devono essere giustificate e ragionevoli.
Tali limiti al principio di retroattività favorevole vengono analizzate sulla base delle sentenze in malam partem della Corte Costituzionale.
E’ opportuno precisare che tali decisioni debbano aver precedentemente superato il problema della loro compatibilità con il principio di riserva di legge, che definisce il monopolio statuale della criminalizzazione.
Di conseguenza sono inammissibili sentenze additive o manipolative della Corte Costituzionale che estendano la fattispecie incriminatrice o prevedano comunque un trattamento sanzionatorio più grave di quello stabilito dal legislatore.
In questo caso, infatti, vi sarebbe un’ingiustificata sostituzione della Consulta all’attività del Parlamento, l’unico organo istituzionale legittimato all’emanazione di nuove leggi incriminatrici.
Si ha, invece, compatibilità con il principio di riserva di legge nel caso in cui, a seguito delle sentenze in malam partem, si attivino quei meccanismi previsti dall’ordinamento per colmare le eventuali lacune prodotte dall’intervento giurisprudenziale.
Pensiamo, in particolare, all’abrogazione delle c.d. norme di favore con la contestuale automatica riespansione della disciplina generale o comune più grave dettata dal legislatore.
In effetti la Corte Costituzionale non compie nessuna scelta di politica criminale e resta impregiudicata la funzione del legislatore nello stabilire l’an, il quomodo ed il quantum della punizione.
Occorre, però, analizzare le sentenze in malam partem alla luce dei principi che governano la successione di leggi penali nel tempo, disciplina contenuta nell’art. 2 c.p. e scindere la questione in due momenti cronologicamente diversi rispetto alla commissione del fatto.
Nel caso in cui la norma di favore sia entrata in vigore prima della commissione del fatto, si avrebbe la riespansione della norma più severa prevista dal legislatore.
In tale evenienza troverebbe applicazione il principio di irretroattività sfavorevole in quanto il soggetto ha scelto di tenere un determinato comportamento previsto in base alla lex mitior esistente al momento della commissione del fatto.
Nel caso in cui la norma penale di favore sopravvenga alla commissione del fatto, l’intervenuta sentenza di incostituzionalità della stessa impedirebbe la produzione degli effetti del principio di retroattività favorevole.
La pronuncia caducatoria della Corte Costituzionale stabilisce, quindi, un limite al principio di retroattività favorevole, che presenta il carattere della ragionevolezza.
Da ciò deriva che un’eventuale deroga in tanto è destinata a trovare applicazione in quanto la norma sopravvenuta sia costituzionalmente legittima.
Il legislatore potrà intervenire successivamente alla commissione del fatto prevedendo una disciplina di favore che si applicherà anche agli individui che si siano scientemente determinati a violare la norma penale più severa, sempreché quella nuova valutazione di politica criminale non sia in contrasto con la Costituzione.
In definitiva l’uguaglianza del trattamento sanzionatorio stabilita per chi ha commesso il fatto consapevole dell’applicazione della norma più severa e chi è penalmente responsabile perché autodeterminatosi ad una condotta punibile da una disciplina più mite viene giustificata da una scelta oggettiva da parte del legislatore di mutamento del disvalore del fatto, a prescindere da un giudizio sulla rimproverabilità dell’individuo.
Ulteriore problematica da analizzare è quella relativa alla compatibilità del principio in esame con la disciplina introdotta da una legge, successiva alla commissione del fatto, più favorevole in tema di prescrizione, che ne limita la portata retroattiva.
Innanzitutto va risolta la questione della natura processuale o sostanziale da ascrivere all’istituto della prescrizione.
Infatti la disciplina contenuta nell’art. 2 c.p. è applicabile esclusivamente ad istituti sostanziali; per quelli processuali vale il principio del tempus regit actum, a prescindere dall’effetto favorevole o sfavorevole per l’individuo.
La dottrina e la giurisprudenza prevalenti ritengono che la prescrizione sia un istituto sostanziale, in base al quale non si estingue l’azione penale ma viene meno definitivamente la pretesa punitiva dello Stato per il superamento di un intervallo di tempo previsto dalla legge, senza che sia intervenuta una sentenza di condanna irrevocabile.
Muovendo da tale presupposto possiamo stabilire che la normativa sopravvenuta che contrae il termine prescrizionale si applichi secondo il principio previsto dall’art. 2, co. 4, c.p., allorchè manchi nella disciplina successiva un’espressa regolamentazione di tipo intertemporale.
Una diversa questione sorge quando la normativa successiva volta a ridurre i termini di prescrizione precluda espressamente la retroazione a fatti commessi precedentemente.
Dobbiamo quindi chiederci se i limiti introdotti al principio in esame siano oggettivamente ragionevoli.
La Corte Costituzionale, analizzando l’art. 10, co. 3, della legge ex-Cirielli definisce i criteri da osservare per l’individuazione di una deroga ragionevole al principio di retroattività favorevole.
In primo luogo deve trattarsi di un’eccezione che sia coerente con la funzione che l’ordinamento riconosce all’istituto regolamentato falla disciplina sopravvenuta.
Nel caso di specie l’apertura del dibattimento non è elemento idoneo a correlarsi significativamente alle caratteristiche della prescrizione, e cioè il decorso del tempo che fa diminuire l’allarme sociale e rende più difficile l’esercizio del diritto di difesa.
Inoltre la deroga deve essere espressione di tutela di interessi non meno rilevanti di quelli sottesi al principio di retroattività favorevole.
Ciò giustifica l’illegittimità costituzionale dell’art. 10, co. 3, della legge ex-Cirielli limitatamente alle parole “dei processi già pendenti in primo grado ove vi sia stata la dichiarazione di apertura del dibattimento”.
Implicitamente la Consulta considera ragionevoli le deroghe previste per tutti i giudizi di impugnazione pendenti.
Questa parte della disciplina transitoria, operando in relazione a processi già ampiamente avviati, appare correlata in maniera ancora più stringente alle ragioni dei limiti della retroattività favorevole, e non è esposta a critiche sul piano della razionalità del criterio temporale applicato.