La concussione: dalle origini ai giorni nostri, tra nuovi approdi giurisprudenziali e casi di appalti pubblici

La concussione: dalle origini ai giorni nostri, tra nuovi approdi giurisprudenziali e casi di appalti pubblici
La concussione: dalle origini ai giorni nostri, tra nuovi approdi giurisprudenziali e casi di appalti pubblici

A cinque anni dall’entrata in vigore della riforma che ne ha ampiamente ridisegnata la veste, il dibattito sulla figura del reato di concussione è tutt’altro che concluso. Al contrario, l’approdo delle Sezioni Unite “Maldera” (2013) - da un lato - e il costante verificarsi di indagini giudiziarie concernenti il delitto de quo e più in generale concentrate sui fenomeni corruttivi - dall’altro lato - offrono l’occasione di approfondire ancora una volta gli aspetti più rilevanti di tale reato. Ad oggi, l’articolo 317 del Codice Penale così recita: “il pubblico ufficiale o l’incaricato di un pubblico servizio che, abusando della sua qualità o dei suoi poteri, costringe taluno a dare o a promettere indebitamente, a lui o a un terzo, denaro o altra utilità, è punito con la reclusione da sei a dodici anni”. Per comprendere l’intima natura dell’istituto occorre, tuttavia, ripercorrerne innanzitutto le tappe che ne hanno contraddistinto nel tempo il tortuoso cammino.

 

L’evoluzione del delitto di concussione nell’ordinamento italiano

Come osservano correttamente alcuni autori[1], accanto ai classici reati corruttivi, il sistema italiano conosce da sempre un’autonoma figura di concussione, le cui origini riposano nella tradizione giuridica romana. Senza spendersi in considerazioni di carattere squisitamente epistemologico, pare tuttavia interessante evidenziare come il termine “concussione” - derivante dal verbo latino “concutere” - indicasse il gesto di scuotere l’albero al fine di farne cadere i frutti e raccoglierli.  In altre parole, nel diritto romano questo termine avrebbe rappresentato l’idea del timore profuso per estorcere denaro (o altre cose). Ad una prima codificazione della concussione quale crimen repetundarum[2], in età imperiale venne quindi introdotta una seconda e distinta fattispecie che descriveva la condotta di quei magistrati o funzionari i quali imponevano esazioni o prestazioni con abuso di potere, oppure da privati con la minaccia di un’accusa criminale. Nei secoli successivi emerge con maggiore evidenza la difficoltà nell’individuare con esattezza natura e confini dell’istituto. In dottrina, va detto, è assente unità di vedute sulla matrice: secondo alcuni autori il delitto di concussione sarebbe nato nell’alveo dell’estorsione[3], mentre per altri andrebbe ricondotto in ambito corruttivo. La concussione attraversa la stagione dei codici pre-unitari fino all’importante novità introdotta dal codice penale toscano, all’interno del quale vengono previste due figure riconducibili alla fattispecie in esame: una per costrizione (articolo 181) e l’altra per induzione (articolo 182). Tale scelta verrà poi riproposta in termini similari dal successivo Codice Zanardelli (1889), il quale prevedeva un’ipotesi di concussione mediante costrizione, detta anche “esplicita” o “violenta”, ed una per induzione, meglio nota come “implicita” o “fraudolenta”.

Come avranno modo di evidenziare le Sezioni Unite nel 2013, “il reato risentiva chiaramente dell’impostazione liberale della società di fine Ottocento, nel senso che gli interessi dei singoli assumevano carattere centrale, pur fondendosi con essi l’interesse alla correttezza dell’azione amministratrice[4]. L’ambiguità di fondo tra le due condotte - la costrizione da un lato e l’induzione dall’altra - non verrà affatto semplificata dal Codice Rocco, il quale, al contrario, finirà per unificarle in un’unica disposizione normativa. Le ragioni di tale scelta di politica criminale risultavano in realtà coerenti con l’ideologia espressa allora dal regime fascista. Il prestigio dello Stato nelle sue numerose articolazioni era ritenuto prioritario ed è principalmente per tale motivo che il legislatore dell’epoca aveva previsto una punizione più severa per quei soggetti pubblici investiti di particolari responsabilità[5]. In altre parole, “la condotta prevaricatrice del soggetto, ancor prima di ledere l’interesse del singolo, era l’espressione della infedeltà dell’agente ai valori e ai principi ritenuti primari dall’ordinamento dell’epoca[6].

Il reato di concussione consegnatoci dal Codice Rocco presentava, almeno in apparenza e fatta eccezione per la condotta induttiva, i medesimi elementi strutturali che caratterizzano oggi il delitto ex articolo 317 del Codice Penale. Nella norma previgente vi erano tuttavia delle sensibili differenze, tra cui la presenza del c.d. metus publicae potestatis tra gli elementi qualificanti del reato de quo. L’elemento del metus, con il quale ci si riferisce a “quello stato di paura o di timore che è ingenerato nel privato dalla situazione preminenza di cui usufruisce il pubblico ufficiale”[7], è bene precisare, era già allora contestato da una parte della dottrina, la quale negava ve ne fosse traccia all’interno della fattispecie legale[8]. La giurisprudenza maggioritaria, di contro, riteneva l’elemento del metus necessariamente presente nel reato di concussione in ogni sua forma. Esso, al più, si sarebbe atteggiato in modo diverso a seconda che il soggetto passivo soggiacesse alla costrizione oppure all’induzione[9].

È proprio con riferimento al metus che dottrina e giurisprudenza definivano, inoltre, rispettivi confini tra i delitti di corruzione e di concussione. Se nella corruzione vi è una posizione paritaria tra le parti, viceversa nella concussione vi è una posizione di superiorità del pubblico ufficiale, al quale corrisponde una situazione di metus. Tale criterio assumeva particolare rilevanza in relazione al vivace dibattito sorto attorno alla c.d. “concussione ambientale”, figura di matrice giurisprudenziale, la cui espressione diviene di uso comune soprattutto durante gli anni di Tangentopoli. Nell’ipotesi in esame, ora come allora, accade che il soggetto privato maturi la decisione di “dovere pagare” (il pubblico ufficiale), nella convinzione - a torto o a ragione - che nel settore economico di riferimento “funziona così” e diversamente non potrebbe continuare a lavorare. Ci si trova, pertanto, davanti ad una dazione da parte del privato, sia pure in assenza di una condotta concreta del pubblico ufficiale, ponendo come naturale delle problematiche quanto alla compatibilità di eventuali imputazioni per concussione ambientale con i principi cardine del diritto penale. Tralasciando in questa sede ulteriori riflessioni circa l’applicazione giurisprudenziale ed il destino della concussione ambientale, pare invece importante soffermarsi sui limiti di una norma - la concussione ante Legge Severino - che includeva anche l’induzione quale condotta alternativa[10]. Le difficoltà di giurisprudenza e dottrina derivavano dalla circostanza che, a dispetto dell’infelice terminologia, la condotta “concussiva” più frequente in queste ipotesi era in realtà quella “induttiva”, i cui confini con le fattispecie corruttive non erano affatto così netti[11].

 

La Legge anti-corruzione n. 190/2012 e le sezioni unite “Maldera”

È questo dunque il contesto di sfondo dal quale partire per approdare alla successiva e fondamentale tappa, rappresentata dall’introduzione nel nostro ordinamento della legge n. 190/2012, c.d. “anti-corruzione”[12]. Negli anni a seguire, infatti, il delitto di concussione è sottoposto nuovamente al vaglio critico del legislatore italiano, sulla scorta delle sollecitazioni giunte da istituzioni ed organizzazioni internazionali[13], le quali invitano in più occasioni l’Italia a riformare il delitto de quo, nell’ottica di assicurare l’effettiva punibilità del soggetto privato[14]. Non è questa la sede per una disamina esaustiva della Legge “Severino”, ma non ci si può tuttavia esimere dall’affrontare senza riserve il vero cuore della riforma, cioè l’intervento sull’articolo 317 del Codice Penale. Il legislatore del 2012 ha compiuto la scelta di mantenere nel nostro ordinamento il delitto di concussione, che nella sua nuova formulazione si configura solamente mediante condotta per “costrizione”, espungendo, altresì, dal novero dei soggetti attivi l’incaricato di pubblico servizio[15]. Non mutano dunque gli elementi strutturali dell’istituto, mentre il limite edittale - nel minimo - viene innalzato da quattro a sei anni. Di contro, la condotta “induttiva” è stata reintrodotta nell’inedita fattispecie denominata “induzione indebita a dare o promettere utilità” di cui all’articolo 319-quater, la quale prevede - come anticipato - anche la punibilità del soggetto privato. L’articolata operazione di “spacchettamento” dell’articolo 317 Codice Penale in due differenti istituti ha tuttavia comportato il riemergere di antiche problematiche, prima fra tutte la difficoltosa individuazione dei criteri distintivi tra la condotta di “costrizione” e quella di “induzione”.

Nell’ambito della disciplina precedente, infatti, nella prassi giudiziaria degli Uffici delle Procure si assisteva abitualmente, a fronte dell’equiparazione normativa delle due condotte considerate alternative fra loro, al ricorso alla figura retorica dell’endiadi, secondo semplicistiche formulazioni quali “costringeva o comunque induceva”[16]. Già prima dell’intervento della l. 190/2012, la norma celava in realtà il problema dell’assenza di un confine certo tra le due condotte. Le opzioni ermeneutiche che si sono succedute non sono state tuttavia ritenute sufficienti a colmare siffatta lacuna, portando inevitabilmente le Sezioni Unite a prendere posizione sulla questione, con la sentenza n. 12228/2013 (c.d. “Maldera”). Per evidenti ragioni, non sarà qui possibile analizzare nel dettaglio la pronuncia in oggetto in ogni suo passaggio. Cionondimeno, pare necessario soffermarsi su alcuni passi salienti della pronuncia. Seppur per brevi cenni, va ricordato che le soluzioni prospettate dalla precedente giurisprudenza erano sostanzialmente riconducibili a tre orientamenti giurisprudenziali: il primo poggiava sul criterio quantitativo[17], il secondo modello individuava il confine delle due condotte nell’oggetto della prospettazione[18], mentre il terzo indirizzo si sforzava di trovare un punto di equilibrio tra i primi due[19].

Ciò posto, le SS.UU. non aderiscono a nessuno dei tre orientamenti - ritenuti da soli non auto-sufficienti a fornire criteri sicuri - ma decidono di orientarsi “verso approdi più sicuri”[20]. A questi si giunge, innanzitutto, da una ricostruzione sistematica del delitto di concussione. Dopo una panoramica sui precedenti storici del fattispecie de qua, le Sezioni Unite indicano gli elementi della nuova veste dell’articolo 317. La concussione è in primo luogo, diversamente dall’induzione indebita, un reato pluri-offensivo, in quanto tutela sia il buon andamento della pubblica amministrazione sia la libertà di auto-determinazione del privato. Elemento comune delle due fattispecie rimane invece l’abuso della qualità o dei poteri dell’agente pubblico. Secondo la Cassazione, il concetto di abuso evocato dalle norme in esame non può che concretizzarsi nella “strumentalizzazione da parte del soggetto pubblico di una qualità effettivamente sussistente o delle attribuzioni ad essa inerenti per il perseguimento di un fine immediatamente illecito”.

L’abuso - chiarisce tuttavia la sentenza - “non è un presupposto del reato ma integra un elemento essenziale e qualificante della condotta di costrizione o di induzione, nel senso che costituisce il mezzo imprescindibile per ottenere la dazione o la promessa dell’indebito. L’abuso, quindi, è lo strumento attraverso il quale l’agente pubblico innesca il processo causale che conduce all’evento terminale: il conseguimento dell’indebita dazione o promessa”[21]. Come annunciato, le Sezioni Unite polarizzano l’attenzione sui concetti di costrizione/induzione, osservando come la distinzione non possa fondarsi sui formali atteggiamenti delle parti in causa, ma occorre apprezzare la maggiore o minore gravità della pressione nel suo contenuto sostanziale. Il solo, specificano gli ermellini, in grado di valutare la “qualità della scelta davanti l’extraneus viene posto”.

Per quanto concerne la costrizione, essa indica un’etero-determinazione dell’altrui volontà: si obbliga taluno a compiere un’azione che altrimenti non sarebbe stata compiuta o ad astenersi dal compiere un’azione che altrimenti non sarebbe stata compiuta. Il termine non è da intendere solo in senso naturalistico, in quanto va fatto riferimento ai principi fondamentali del diritto penale e costituzionali (artt. 54 e 97 Cost.), ai doveri cioè dei pubblici ufficiali. Nello specifico, nell’articolo 317 dimora uno stretto collegamento funzionale tra l’esito della coazione e l’abuso del pubblico ufficiale. Di tal che, la norma incriminatrice non è caratterizzata tanto dalla costrizione, quanto dall’abuso costrittivo, all’interno del quale rimane implicito il ricorso alle condotte di violenza o - più frequentemente - minaccia attraverso il quale si realizza l’illecito. Tra la minaccia-fine e la minaccia-mezzo presenti nel nostro ordinamento, l’archetipo a cui fare riferimento è il secondo, da ritenere tale solo qualora configuri un danno ingiusto[22].

Più precisamente, il male o danno ingiusto deve essere idoneo ad incutere timore, così da pregiudicarne la libertà di auto-determinazione. Ne consegue che non è necessario che la minaccia sia esplicita e brutale, ma potrà anche essere “implicita, velata, allusiva, più blanda […]”[23]. In definitiva, le Sezioni Unite accolgono la già evocata concezione di concussione quale forma di estorsione qualificata, all’interno della quale trova sede anche una rinnovata definizione di metus, definito “l’altra faccia dell’abuso della qualità o dei poteri da parte del pubblico agente”[24]. Arrivando al cuore del problema, la Corte non individua un unico criterio discretivo, ma finisce per utilizzarne molteplici, tra i quali trovano altresì sede i vecchi indici evocati dai precedenti approdi giurisprudenzali.

Se in via principale sembra si possa ricorrere alla compressione della libertà di auto-determinazione del privato extraneus (ma senza annullarla del tutto, altrimenti si verserebbe in ipotesi di rapina ex articolo 628), di tal che nella concussione essa sarebbe compressa in maniera determinante, mentre l’induzione lascerebbe margini di scelta, le Sezioni Unite precisano che, soprattutto in quella che viene definita la c.d. “zona grigia”, dei casi ambigui, occorre invece fare riferimento ad altri criteri: dati circostanziali, complesso dei beni giuridici in gioco, principi e valori che governano lo specifico settore di disciplina. Così, tuttavia, pur apprezzando l’intenzione della Suprema Corte di aderire ad un approccio il più oggettivistico possibile (al fine di evitare una difficoltosa indagine psicologica), sembra che la stessa Cassazione ammetta, in un successivo passaggio, come l’accertamento probatorio non possa in ogni caso prescindere da una valutazione psichica, sulle intenzioni e percezioni delle parti in causa. In tal senso, si riproporrebbe in buona sostanza una delle problematiche irrisolte dalla giurisprudenza e dottrina precedente, con evidenti lacune sotto il profilo rispetto del principio di tassatività[25].

 

L’orientamento della giurisprudenza dopo le sezioni unite: le condotte concussive in vicende relative ad appalti pubblici

Come anticipato, il dibattito attorno alla nuova veste della concussione (e di conseguenza dell’induzione) non si è esaurito con la riforma Severino, bensì prosegue tutt’ora con l’esame critico dell’applicazione giurisprudenziale successiva, alla luce dei criteri forniti dalla sentenza Maldera. In primo luogo, si registrano diverse pronunce nelle quali i criteri forniti dalle Sezioni Unite trovano diretta applicazione, seppure non inerenti allo specifico tema degli appalti pubblici[26]. Con riferimento a questi ultimi, invece, è possibile individuare alcune ipotesi ricorrenti. Innanzitutto non mancano i casi in cui, stante la continuità normativa tra le due fattispecie, la Corte ha provveduto a riqualificare le originarie imputazioni per concussione in induzione indebita ex articolo 319-quater[27]. Esemplificativa, in tal senso, la sentenza pronunciata l’11 aprile 2014 dalla Cassazione[28], avverso un’ordinanza in materia di libertà personale del Tribunale della Libertà. I giudici del Riesame avevano confermato l’ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa dal GIP, in ordine a due episodi di tentata concussione. Secondo la prospettazione accusatoria, l’indagato S., in qualità di Sindaco del Comune di (omissis) nel 2011 avrebbe fatto pressioni sul titolare di una ditta, manifestando interesse all’affidamento dell’incarico ad una ditta da lui indicata. Secondariamente, ad altro imprenditore avrebbe detto che, se avesse voluto l’assegnazione di un lavoro di bonifica dell’amianto, sarebbe stato obbligato a versagli una somma pari al 10% dell’importo dell’appalto, tramite una locale società calcistica. Quest’ultimo imprenditore - si noti - aveva dichiarato che S. fu esplicito nel rivolgersi a lui nei seguenti termini: “Si sa come funziona, si sa che le percentuali sono intorno al 10% dell’importo dell’appalto”, evocando chiaramente un’ipotesi di c.d. “concussione ambientale”. La Corte, applicando i principi di diritto indicati dalla sentenza Maldera, ha preso le distanze dalle conclusioni del Riesame, affermando come - nel caso di specie - entrambi gli imprenditori avessero disposto di ampi margini decisori, tali da risultare incompatibili con la configurazione del reato di concussione.

Altre decisioni, al contrario, hanno visto la conferma della contestata fattispecie di concussione ex articolo 317 c.p, resistendo alle richieste difensive di derubricazione in induzione indebita. Tra queste vicende, per esempio, vi è il caso[29] di un sindaco del Comune di R., il quale - in relazione a lavori di appalto per l’ampliamento di un cimitero - aveva minacciato il blocco dei pagamenti di precedenti lavori eseguiti dalla ditta C., imponendo a questa solo l’esecuzione di opere marginali, al fine di consentire l’accesso in sub-appalto ad una ditta di suo favore (la quale non poteva accedere all’appalto per intero). La Cassazione ha dunque confermato l’ipotesi accusatoria, evidenziando come l’imputato ebbe modo di approfittare dello stato di soggezione in cui versava l’impresa C., per poter sopravvivere lavorando in quella realtà territoriale. Nessuno spazio, sottolinea la Corte, vi è per la meno grave ipotesi di cui all’articolo 319-quater, poiché alcun vantaggio la persona offesa avrebbe potuto ottenere dal soddisfacimento delle pretese. Un ragionamento simile è rinvenibile in una successiva pronuncia della VI Sezione. Trattasi di procedimento riguardante svariati episodi di concussione[30], in relazione all’irregolare assegnazione di appalti alla Città Militare della (omissis) commessi dal Sergente D., anche unitamente ad altri militari di grado superiore.

Nello specifico, ai titolari delle imprese affidatarie degli appalti erano rivolte richieste o pretese di denaro o altra utilità (il 10% del prezzo dell’appalto), palesando ai medesimi, in modo inequivocabile, che in caso di rifiuto a versare la tangente si sarebbe verificata l’esclusione definitiva dagli appalti. A tal fine, il sodalizio poneva in essere l’alterazione sistematica delle gare mediante il c.d. sistema della “doppie buste”. Come nel precedente caso, richiamati i principi espressi dalle SS.UU., la Corte ha ritenuto provata l’ipotesi concussiva, stante il clima di sudditanza ed asservimento imposto agli imprenditori, i quali venivano manovrati e non erano padroni di alcuna libertà decisionale in ordine all’accettazione delle pretese di tangenti. Infine, tra i casi meritevoli di menzione - poiché riguardante i problematici casi della “zona grigia” - rientra a pieno titolo la pronuncia adottata dalla Suprema Corte in data 15 novembre 2016[31], rigettando il ricorso proposto avverso un’ordinanza in materia di libertà personale del Tribunale di Messina.

Era questo il caso di una sistematica pratica di aborti illegali, eseguiti presso lo studio privato di un ginecologo, nonché contemporaneamente dirigente medico in servizio presso l’ospedale locale, in concorso con altro dirigente. In particolare, secondo la prospettazione accusatoria, sarebbe emerso come il primo speculasse sui tempi della procedura legale di i.v.g., per rappresentare difficoltà e lungaggini, in modo da spingere donne gravide, che avevano necessità di abortire in tempi contenuti, ad un aborto illegale a pagamento presso il proprio studio, in ciò coadiuvato dal collega. A fronte delle doglianze espresse dalla difesa dei ricorrenti, i quali avevano impugnato l’ordinanza del Tribunale lamentando l’assenza di metus caratterizzante l’ipotesi concussiva, in quanto le donne avrebbero spontaneamente deciso per l’intervento extra-ospedaliero, la Cassazione ha rigettato il ricorso, ritenendolo infondato. Esemplare, in questo senso, il richiamo della Corte ai passaggi più rilevanti - nonché problematici - della sentenza Maldera. Come nel caso in esame, infatti, per assicurare la corretta qualificazione giuridica del fatto come concussione (piuttosto che come induzione indebita) “non si può prescindere dal confronto e dal bilanciamento tra i beni giuridici coinvolti nel conflitto decisionale: quello oggetto del male prospettato e quello la cui lesione consegue alla condotta determinata dall’altrui pressione”.

In certi casi può accadere che il privato, nonostante abbia conseguito, prestando acquiescenza all’indebita richiesta del pubblico agente, un trattamento preferenziale, si sia venuto sostanzialmente a trovare in uno stato psicologico di vera e propria costrizione, assimilabile alla coazione di cui all’articolo 54, comma 3 Codice Penale, con conseguente decisiva incidenza negativa sulla sua libertà di autodeterminazione. Il riferimento è a quelle situazione in cui l’extraneus, attraverso la prestazione indebita, intende soprattutto preservare un proprio interesse di rango particolarmente elevato, quale appunto il bene vita posto in pericolo, oppure al di là del danno ingiusto/giusto preannunciato, sacrifica con propria prestazione indebita, un bene strettamente personale di particolare valore (la libertà sessuale), in spregio a qualsiasi criterio di proporzionalità, finendo di conseguenza per escludere il concetto stesso di “vantaggio indebito”. Nella vicenda in esame, caso esemplare di quella “zona grigia” evocata dalla sentenza Maldera, la Corte di Cassazione mostra di fare buon governo delle raccomandazioni contenute in quella pronuncia, preoccupandosi di individuare il reale disvalore che occupano detta area.

E ciò sulla base di una puntuale valutazione compiuta tenendo conto “di tutti i dati circostanziali, del complesso dei beni giuridici in gioco, dei principi e dei valori che governano lo specifico settore di disciplina”. Scongiurando rigidi automatismi, il giudice dovrà “apprezzare il registro comunicativo nei suoi contenuti sostanziali, rapportati logicamente all’insieme dei dati di fatto disponibile”. Nel caso in questione, non manca infine il riferimento della Corte allo stato in cui versavano queste donne, messe “alle spalle al muro”, con conseguente compressione della loro libertà negoziale. In conclusione, sebbene oramai già quattro anni fa le Sezioni Unite abbiano tentato di fornire criteri in maggior misura certi rispetto al passato, il delitto di concussione non può dirsi sicuramente al riparo da future applicazioni incerte e non omogenee.

Lo stato dell’arte: punti fermi e questioni aperte

La realtà giudiziaria insegna come - in particolar modo per quel che riguarda il mercanteggio di pubblici uffici - i confini tra le diverse fattispecie corruttive previste dal nostro ordinamento rimangono ad oggi ancora precari e in parte inesplorati. Senza dimenticare, poi, che in ambito di appalti pubblici, l’ambiguità delle fattispecie in esame è di per sé destinata a crescere nelle aree ad alta densità mafiosa o comunque laddove si registra la presenza di criminalità organizzata[32]. Nonostante l’intervento delle Sezioni Unite in funzione di nomofiliachia, come accennato, il principale rischio è la riviviscenza di antiche questioni irrisolte, tra cui l’affidarsi a meri criteri psicologici, ponendo di conseguenza il legislatore di fronte all’inevitabile scelta di inseguire nuove linee di demarcazione tra la concussione ed altre fattispecie attigue oppure lasciare tale accertamento alla prudente valutazione del giudice.

 

[1] F. VIGANÒ, I delitti di corruzione nell’ordinamento italiano: qualche considerazione sulle riforme già fatte, e su quel che resta da fare, Riv. Trimestrale, 3-4/2014, p. 6.

[2] Riferita prevalentemente agli abusi da parte dei governatori nelle province romane.

[3] Per Mauro Ronco, il quale riprende a sua volta Francesco Carrara (che definisce la concussione come delitto di coloro che “estorcono un lucro da altri metu publicae potestatis”), la concussione è un crimine privato, nato dalla specializzazione dell’estorsione, in virtù della provenienza della minaccia dal pubblico agente, e non dalla specializzazione della corruzione. M. RONCO, L’amputazione della concussione e il nuovo delitto di induzione indebita: le aporie di una riforma, in Arch. pen. gennaio-aprile 2013, fascicolo 1, anno LXV.

[4] Cass. SS.UU. n. 12228, 24 ottobre 2013 (dep. 14 marzo 2014), Pres. Santacroce, Rel. Milo, ric. Maldera, § 5.

[5] Così la relazione sul progetto definitivo del Codice Rocco: “L’indurre ha una gravità non minore del costringere. La induzione deve per necessità consistere nel trarre taluno in inganno circa l’obbligo, che egli abbia, di dare o promettere, o nel condizionare la prestazione della propria attività a una indebita remunerazione. In ogni caso, la volontà dello offeso cede all’uso di mezzi, che intrinsecamente sono non meno efficaci e odiosi di una costrizione morale”. Lavori preparatori del codice penale e del codice di procedura penale, vol. V., Progetto definitivo di un nuovo codice penale con la relazione del guardasigilli Alfredo Rocco, Parte II, Relazione sui Libri II e III del Progetto, Roma, 1929, § 325.

[6] Cass. SS.UU. n. 12228, cit., § 6.

[7] M. GAMBARDELLA, Codice Penale, Rassegna di giurisprudenza e di dottrina, Volume VII, Dei delitti contro la pubblica amministrazione, libro II, artt. 314-360, p. 90, 2010;

[8] FIANDACA-MUSCO, Diritto, p.s., I, 214; nello stesso senso, v. Manuale Antolisei, p.s., II, 338; A. SEGRETO-G. DE LUCA, I delitti dei pubblici ufficiali, cit. 231 ss.).

[9] Nello stesso senso, giurisprudenza conforme sosteneva che il delitto di concussione andasse ravvisato tutte le volte in cui l’abuso della qualità “assuma preminente importanza prevaricatrice, creando nel soggetto passivo quel metus publicae potestatis che lo costringe all’ingiusta e non dovuta prestazione” (Cass., sez. VI, 11 aprile 1979, Conti e altro, Riv. Pen. 1980, 322).

[10] Cfr. G. FORTI, L’insostenibile pesantezza della “tangente ambientale”. Inattualità di disciplina e disagi applicativi nel rapporto corruzione-concussione, in Riv. it. dir. proc. pen., 1996. Si veda anche V. MANES, La concussione ambientale.

[11] La Cassazione ebbe ad affermare che in tema di concussione c.d. “ambientale”, “il dato distintivo è rappresentato dal fatto che qui opera, da entrambe le parti, il riferimento ad una sorta di convenzione tacitamente riconosciuta, che il pubblico ufficiale fa valere e che il privato subisce, nel contesto di una comunicazione resa più semplice nella sostanza e più sfumata nelle forme per il fatto di richiamarsi a condotte già “codificate”. Per contro, si ha corruzione quando le volontà si incontrano su un piano pressoché paritario, ciascuna perseguendo – in modo deviato, ma libero – un proprio risultato”. Cass., sez. VI, 19 gennaio 1998, Pancheri, Cass. pen. 1998, 2917, con nota di G. AMATO, Quale discrimen tra concussione e corruzione?

[12] Anche nota come Legge “Severino”, dal nome del ministro di Giustizia nella legislatura di riferimento.

[13] Tra cui, per esempio, l’OCSE e il G.R.E.C.O.

[14] Le osservazioni poste dalle organizzazioni internazionali muovevano da un assunto condivisibile: in alcuni casi, sebbene l’apparenza conducesse a ritenere che l’extraneus pagava perché costretto o indotto dal p.u. o dall’i.p.s., in realtà conseguiva un vantaggio o comunque un’utilità tale da non poter essere considerato propriamente una vittima del reo.

[15] Reintrodotto come soggetto attivo della concussione con la l. 69/2015, così motivato dalla relazione illustrativa dell’originario disegno di legge A.S. n. 19 (Grasso e altri): “[…] perché non ha senso punire soltanto il primo (pubblico ufficiale) quando lo stesso comportamento può essere posto in essere da un concessionario di un servizio pubblico (Rai, Eni, personale sanitario, etc.) con effetti parimenti devastanti sull’etica dei rapporti”.

[16] Ne discendeva che, qualora non provata la costrizione, al reo veniva in ogni caso ascritta la condotta induttiva. La strategia processuale delle Procure poggiava inoltre sulla possibilità di assicurarsi la collaborazione del privato, il quale poteva giovarsi dello status di vittima al fine di evitare di essere incriminato. Sul spunto si veda Cass. n. 8907, 3 dicembre 2007.

[17] Secondo questo primo indirizzo, già presente nella giurisprudenza di legittimità pre-riforma, la costrizione del pubblico ufficiale sarebbe ravvisabile mediante modalità di pressione molto intense e perentorie, modalità che ingenera nel privato una situazione di metus, derivante dall’abuso della qualità o della pubblica funzione, sì da limitare gravemente la libera determinazione del soggetto, ponendolo in una situazione di minorata difesa.

[18] La linea di discrimine viene ricavata in base ai seguenti parametri: danno ingiusto e contra ius nella concussione, danno legittimo e secundum ius nell’induzione indebita.

[19] Secondo questo indirizzo di compromesso, “[…] è certamente persona offesa di una concussione per costrizione se il pubblico ufficiale, pur non ricorrendo a forme eclatanti di minaccia diretta, lo abbia posto di fronte all’alternativa secca di condividere la richiesta indebita oppure di subire un pregiudizio oggettivamente ingiusto; non gli è lasciato, in concreto, alcun margine apprezzabile di scelta, è solo vittima del reato […]”.

[20] Cass. SS.UU. n. 12228, cit., § 3.

[21] Cass. SS.UU. n. 12228, cit., § 10.

[22] Il cui contenuto, quindi, è identico a quello della minaccia-fine.

[23] Cass. SS.UU. n. 12228, cit., § 13.4

[24] Secondo le Sezioni Unite, seppur non integrante un elemento strutturale dell’illecito, il c.d. metus qualifica comunque la fattispecie, essendo “espressione dell’oggettivo e stringente condizionamento della libertà di determinazione del soggetto passivo, il quale, per il timore del danno ingiusto minacciato dal pubblico ufficiale, è privato di ogni capacità di resistenza ed è costretto a soccombere – senza alcuna sostanziale – di fronte all’indebita pretesa di quest’ultimo”.

[25] cfr. G. BALBI, Sulle differenze tra i delitti di concussione e di induzione indebita a dare o promettere utilità, Diritto Penale Contemporaneo, Riv. Trim., 1/2015.

[26] Trattasi per esempio di procedimenti per violenza sessuale (si veda Cass. sez. III, n. 27554, 25 marzo 2015) o relativi a casi di ispezioni e sanzioni non eseguite, previo versamento di denaro a pubblici ufficiali (da ultima, Cass. sez. VI, n 17684, 7 aprile 2016).

[27] Spesso con conseguente declaratoria di estinzione del reato per intervenuta prescrizione, avendo il reato di induzione indebita limite edittale meno elevato della concussione.

[28] Cass. sez. VI, n. 32246, 11 aprile 2014.

[29] Cass. sez. VI, n. 25258, 12 marzo 2015.

[30] Cass. sez. VI, n. 49275, 17 settembre 2015.

[31] Cass. sez VI, n. 1082/2017, 15 novembre 2016.

[32] Si pensi, per esempio, alle vicende nell’ambito delle quali il delitto di concussione viene contestato unitamente a condotte aggravate dall’art. 7 l. 203/91 (c.d. “aggravante mafiosa”), sfumando di conseguenza i confini tra reati contro la pubblica amministrazione, reati fine-aggravati e reati associativi. cfr. Cass. n. 15662, 3 marzo 2015 e Cass. n. 11198, 17 novembre 2015.