La costituzione di patrimoni destinati ad uno specifico affare
La riforma del diritto societario ha introdotto la possibilità, per tutte le società per azioni, di costituire “patrimoni destinati”, dedicati cioè al compimento di uno specifico affare.
L’articolo 2447 bis Codice civile stabilisce, infatti, che “La società può costituire uno o più patrimoni ciascuno dei quali destinato in via esclusiva ad uno specifico affare”.
Tale istituto permette, quindi, alle società di gestire singole iniziative commerciali senza costituire società apposite. La costituzione di patrimoni destinati genera, infatti, masse patrimoniali distinte, ciascuna delle quali può essere aggredita unicamente dai rispettivi creditori. Pertanto, delle obbligazioni contratte per la realizzazione dello specifico affare risponde soltanto il patrimonio destinato, restando quindi escluso il residuo patrimonio della società.
La deliberazione istitutiva del patrimonio destinato, salvo diversa previsione statutaria, è assunta dall’organo amministrativo, a maggioranza assoluta dei suoi componenti.
Tutte le disposizioni relative alla fase estintiva del patrimonio destinato si concentrano nella norma (articolo 2447 novies) dedicata alla redazione del rendiconto finale.
Viene, anzitutto, disciplinata l’ipotesi di realizzazione dell’affare cui è destinato il patrimonio o di sopravvenuta impossibilità di realizzarlo: in tal caso, gli amministratori o il consiglio di gestione redigono un rendiconto finale, che deve essere depositato presso l’ufficio del registro delle imprese, unitamente ad una relazione dei sindaci (ovvero dell’organo di controllo se diverso da collegio sindacale) e del soggetto incaricato della revisione contabile.
In particolare, ove risulti sopravvenuta l’impossibilità di realizzare l’affare, per analogia con quanto previsto dalle norme in tema di scioglimento della società, si renderà opportuno che gli amministratori ne accertino formalmente il verificarsi e ne forniscano adeguata illustrazione, giustificazione e commento nel rendiconto e nella documentazione allegata. Costituisce, altresì, causa di “cessazione della destinazione del patrimonio” il fallimento della società.
Chiariti gli aspetti salienti della riforma, risulta evidente come la stessa, da un lato, rappresenti un’innovazione, in quanto permette un ampliamento dei soggetti che possono costituire patrimoni destinati (potendovi rientrare tutti quegli enti che, dotati di personalità giuridica, esercitino la propria attività esclusivamente o principalmente in forma societaria), dall’altro, ponga dei limiti, in quanto, esclude dal proprio campo di applicazione le associazioni non riconosciute, le fondazioni in attesa di riconoscimento e le società di tipo diverso da quello capitalistico o cooperativo, in quanto tali categorie di soggetti difettano del presupposto della personalità giuridica.
Tale lacuna è stata, in parte, colmata dal Decreto Legislativo 117/2017 (Codice del terzo settore), che ha introdotto una normativa ad hoc per gli Enti che disciplina.
In particolare, l’articolo 10 del suddetto Codice stabilisce che “Gli enti del Terzo settore dotati di personalità giuridica ed iscritti nel registro delle imprese possono costituire uno o più patrimoni destinati ad uno specifico affare ai sensi e per gli effetti degli articoli 2447 bis e seguenti del codice civile”.
A fronte della suddetta previsione continuano, comunque, ad essere escluse dalla possibilità di costituire un patrimonio destinato le associazioni non riconosciute, le fondazioni in attesa di riconoscimento e le società di tipo diverso da quello capitalistico o cooperativo (in quanto difettano della personalità giuridica), mentre la stessa viene riconosciuta a tutti quegli enti che, dotati di personalità giuridica, esercitano la propria attività esclusivamente o principalmente in forma di impresa commerciale.
Sostanzialmente, dunque, l’ambito di applicazione dei patrimoni destinati ex articolo 10 riguarderebbe tutte le società cooperative qualificabili come enti del terzo settore, tutti gli enti non societari che esercitino la propria attività esclusivamente, o principalmente, in forma di impresa commerciale (e pertanto iscritti nel Registro delle imprese) e che abbiano personalità giuridica e, infine, le imprese sociali dotate di personalità giuridica.
Ad avviso della scrivente, la riforma del c.d. Terzo settore seppur ha colmato dei vuoti normativi esistenti ha comunque mantenuto numerose zone d’ombra in quanto presenta un impianto generico e nel contempo, caotico e frammentario.