La denuncia alla Commissione europea: un concreto strumento di attività politica a disposizione del cittadino
SOMMARIO:
1. Premessa.
2. La normativa in materia di frequenze radio, oggetto di un procedimento di infrazione comunitaria.
3. Segue: le motivazioni della denuncia che ha permesso l’apertura del procedimento d’infrazione.
4. Cenni sui principali strumenti di partecipazione alle politiche comunitarie. Il procedimento d’infrazione in particolare.
5. Il ruolo del soggetto denunciante nel procedimento d’infrazione.
6. Il ruolo politico diretto dell’individuo nell’ordinamento costituzionale italiano.
7. Il ruolo politico diretto dell’individuo nella dottrine del liberalismo democratico: brevi cenni.
8. Il ruolo riconosciuto dall’ordinamento comunitario. Alcune proposte concrete di azione politica.
9. Democrazia partecipativa e democrazia collaborativa.
1. Non sembri eccessivo veder scomodati i padri della liberaldemocrazia[1] per commentare quello che – a prima vista – può sembrare un semplice procedimento di infrazione, come tanti che si aprono e si chiudono tra la Commissione europea e gli Stati membri dell’Unione nata con il Trattato di Maastricht.
Infatti, proprio dei temi del contrattualismo e della volontà generale, così come dell’eterna contrapposizione tra libertà politica e libertà individuale o tra democrazia diretta e democrazia rappresentativa ritroveremo l’eco nella vicenda oggetto della presente riflessione.
Un procedimento che riteniamo diverso dagli altri perché prese le mosse da una denuncia di un uomo comune il quale – agendo in modo solitario e senza avere alla spalle un’associazione di categoria od una organizzazione posta a tutela di interessi collettivi – è riuscito a convincere la Commissione europea ad avviare nei confronti dello Stato italiano una procedura di infrazione, evolutasi dalla fase della “costituzione in mora” a quella del “parere motivato”, per ottenere infine l’emanazione di un atto regolamentare di totale recepimento del contenuto della denuncia.
Un intervento, quello della Commissione europea, originato quindi non dagli uffici comunitari di palazzo Berlaymont a Bruxelles, bensì dalla denuncia di un singolo cittadino il quale gratuitamente, senza l’assistenza di un legale e senza nemmeno dover dimostrare un interesse giuridicamente protetto, è riuscito ad influire sulle scelte di un Ministero al punto tale da costringerlo ad eliminare dall’ordinamento giuridico italiano alcune norme contrarie al diritto comunitario.
2. L’oggetto del procedimento è presto descritto: la vigente normativa comunitaria, recepita dagli ordinamenti giuridici degli Stati membri, prescrive – per apparecchi quali, ad esempio, computer, giocattoli, apparecchi elettrici, elettrodomestici e attrezzature mediche – il rispetto di alcune prescrizioni in materia di sicurezza, salute e tutela dell’ambiente.
Tra tali apparecchi anche i normalissimi apparecchi radio ricevitori della radiodiffusione “circolare” (broadcasting - BC) presenti in tutte le case, per i quali viene prescritta la conformità a due direttive emanate in materia di compatibilità elettromagnetica (c.d. direttiva EMC)[2] e di bassa tensione elettrica (c.d. direttiva LVD o LVE)[3].
Detta conformità – posta a tutela del consumatore – viene attestata dal fabbricante o dall’importatore mediante la marcatura la quale, una volta apposta, consente ai prodotti di circolare liberamente negli Stati dell’Unione europea.
Lo Stato italiano – prima dell’intervento del legislatore comunitario – aveva autonomamente adottato norme per una materia analoga (quella dei c.d. “disturbi radioelettrici”), contenute nei decreti del Ministro delle Poste e Telecomunicazioni 25 giugno 1985 e 27 agosto 1987. Tali decreti contenevano, però, non solo disposizioni riferite alla protezione dei disturbi elettromagnetici, bensì anche prescrizioni limitative delle frequenze che tali radioricevitori sono invece autorizzati a ricevere negli altri Stati dell’Unione (per capirci, le consuete gamme delle onde lunghe, medie e corte e la banda della modulazione di frequenza).
Un successivo decreto ministeriale (il n. 548 del 28 agosto 1995, avente forza di regolamento), pur non operando l’abrogazione dei due decreti di dieci anni prima, confermava la sostituzione della normativa statale con quella di derivazione comunitaria: tutto ciò, però, facendo salve proprio le citate disposizioni limitative le quali – a differenza delle normative di altri Stati europei – avrebbero continuato a limitare le frequenze ricevibili da tali radioricevitori[4].
Di quali stazioni di radiodiffusione era vietata la ricezione in virtù del disposto dei due decreti ministeriali adottati nel 1985 e 1987? Esse erano:
- nella gamma delle onde medie le emittenti pirate e clandestine europee e le emittenti regolari degli Stati Uniti (tra i 1630 ed i 1730 kHz);
- nella gamma delle onde corte: le emittenti regolari, pirate e clandestine di Europa, Asia e Sud America (bande dei 160, 120, 90 e 80 metri, e cioè dai 1830 ai 3800 kHz);
- nella gamma della modulazione di frequenza: le emittenti di Russia e paesi dell’est (65,8-74 MHz) e dell’Asia (es. il Giappone) (a partire dai 76 MHz). Nel ricordare che in gran parte del mondo la banda di trasmissione in FM è quella degli 87,5-108 MHz, osserviamo che – se è pressoché impossibile sintonizzare dall’Italia le emittenti sopraindicate – è altrettanto vero che un giornalista oppure un turista italiani non avrebbero potuto, una volta tornati in patria, usare il radioricevitore acquistato per ascoltare in loco tali emittenti.
Osserviamo che la storia delle moderne democrazie insegna che le emittenti “clandestine” dei paesi a regime dittatoriale possono contare (per far conoscere la situazione di oppressione che affliggono le loro Patrie) solamente sul loro ascolto da parte degli organi di informazione del mondo libero; le emittenti “pirate” invece, proprio grazie alla messa in onda delle loro trasmissioni politiche e culturali così come della musica di etichette non commerciali, possono avviare un circuito informativo alternativo e rafforzare così la libertà di pensiero.
Riteniamo che – anche quando un’Autorità lecitamente vietasse un’emissione radiotelevisiva e legittimamente ne perseguisse gli autori – non altrettanto lecito sarebbe il divieto di ascoltare tali emissioni. Perciò, anche nei casi (assolutamente da circoscrivere in democrazia) ove venisse vietata la parola diffusa per mezzo della radio e della televisione, mai dovrà esserne vietato l’
SOMMARIO:
1. Premessa.
2. La normativa in materia di frequenze radio, oggetto di un procedimento di infrazione comunitaria.
3. Segue: le motivazioni della denuncia che ha permesso l’apertura del procedimento d’infrazione.
4. Cenni sui principali strumenti di partecipazione alle politiche comunitarie. Il procedimento d’infrazione in particolare.
5. Il ruolo del soggetto denunciante nel procedimento d’infrazione.
6. Il ruolo politico diretto dell’individuo nell’ordinamento costituzionale italiano.
7. Il ruolo politico diretto dell’individuo nella dottrine del liberalismo democratico: brevi cenni.
8. Il ruolo riconosciuto dall’ordinamento comunitario. Alcune proposte concrete di azione politica.
9. Democrazia partecipativa e democrazia collaborativa.
1. Non sembri eccessivo veder scomodati i padri della liberaldemocrazia[1] per commentare quello che – a prima vista – può sembrare un semplice procedimento di infrazione, come tanti che si aprono e si chiudono tra la Commissione europea e gli Stati membri dell’Unione nata con il Trattato di Maastricht.
Infatti, proprio dei temi del contrattualismo e della volontà generale, così come dell’eterna contrapposizione tra libertà politica e libertà individuale o tra democrazia diretta e democrazia rappresentativa ritroveremo l’eco nella vicenda oggetto della presente riflessione.
Un procedimento che riteniamo diverso dagli altri perché prese le mosse da una denuncia di un uomo comune il quale – agendo in modo solitario e senza avere alla spalle un’associazione di categoria od una organizzazione posta a tutela di interessi collettivi – è riuscito a convincere la Commissione europea ad avviare nei confronti dello Stato italiano una procedura di infrazione, evolutasi dalla fase della “costituzione in mora” a quella del “parere motivato”, per ottenere infine l’emanazione di un atto regolamentare di totale recepimento del contenuto della denuncia.
Un intervento, quello della Commissione europea, originato quindi non dagli uffici comunitari di palazzo Berlaymont a Bruxelles, bensì dalla denuncia di un singolo cittadino il quale gratuitamente, senza l’assistenza di un legale e senza nemmeno dover dimostrare un interesse giuridicamente protetto, è riuscito ad influire sulle scelte di un Ministero al punto tale da costringerlo ad eliminare dall’ordinamento giuridico italiano alcune norme contrarie al diritto comunitario.
2. L’oggetto del procedimento è presto descritto: la vigente normativa comunitaria, recepita dagli ordinamenti giuridici degli Stati membri, prescrive – per apparecchi quali, ad esempio, computer, giocattoli, apparecchi elettrici, elettrodomestici e attrezzature mediche – il rispetto di alcune prescrizioni in materia di sicurezza, salute e tutela dell’ambiente.
Tra tali apparecchi anche i normalissimi apparecchi radio ricevitori della radiodiffusione “circolare” (broadcasting - BC) presenti in tutte le case, per i quali viene prescritta la conformità a due direttive emanate in materia di compatibilità elettromagnetica (c.d. direttiva EMC)[2] e di bassa tensione elettrica (c.d. direttiva LVD o LVE)[3].
Detta conformità – posta a tutela del consumatore – viene attestata dal fabbricante o dall’importatore mediante la marcatura la quale, una volta apposta, consente ai prodotti di circolare liberamente negli Stati dell’Unione europea.
Lo Stato italiano – prima dell’intervento del legislatore comunitario – aveva autonomamente adottato norme per una materia analoga (quella dei c.d. “disturbi radioelettrici”), contenute nei decreti del Ministro delle Poste e Telecomunicazioni 25 giugno 1985 e 27 agosto 1987. Tali decreti contenevano, però, non solo disposizioni riferite alla protezione dei disturbi elettromagnetici, bensì anche prescrizioni limitative delle frequenze che tali radioricevitori sono invece autorizzati a ricevere negli altri Stati dell’Unione (per capirci, le consuete gamme delle onde lunghe, medie e corte e la banda della modulazione di frequenza).
Un successivo decreto ministeriale (il n. 548 del 28 agosto 1995, avente forza di regolamento), pur non operando l’abrogazione dei due decreti di dieci anni prima, confermava la sostituzione della normativa statale con quella di derivazione comunitaria: tutto ciò, però, facendo salve proprio le citate disposizioni limitative le quali – a differenza delle normative di altri Stati europei – avrebbero continuato a limitare le frequenze ricevibili da tali radioricevitori[4].
Di quali stazioni di radiodiffusione era vietata la ricezione in virtù del disposto dei due decreti ministeriali adottati nel 1985 e 1987? Esse erano:
- nella gamma delle onde medie le emittenti pirate e clandestine europee e le emittenti regolari degli Stati Uniti (tra i 1630 ed i 1730 kHz);
- nella gamma delle onde corte: le emittenti regolari, pirate e clandestine di Europa, Asia e Sud America (bande dei 160, 120, 90 e 80 metri, e cioè dai 1830 ai 3800 kHz);
- nella gamma della modulazione di frequenza: le emittenti di Russia e paesi dell’est (65,8-74 MHz) e dell’Asia (es. il Giappone) (a partire dai 76 MHz). Nel ricordare che in gran parte del mondo la banda di trasmissione in FM è quella degli 87,5-108 MHz, osserviamo che – se è pressoché impossibile sintonizzare dall’Italia le emittenti sopraindicate – è altrettanto vero che un giornalista oppure un turista italiani non avrebbero potuto, una volta tornati in patria, usare il radioricevitore acquistato per ascoltare in loco tali emittenti.
Osserviamo che la storia delle moderne democrazie insegna che le emittenti “clandestine” dei paesi a regime dittatoriale possono contare (per far conoscere la situazione di oppressione che affliggono le loro Patrie) solamente sul loro ascolto da parte degli organi di informazione del mondo libero; le emittenti “pirate” invece, proprio grazie alla messa in onda delle loro trasmissioni politiche e culturali così come della musica di etichette non commerciali, possono avviare un circuito informativo alternativo e rafforzare così la libertà di pensiero.
Riteniamo che – anche quando un’Autorità lecitamente vietasse un’emissione radiotelevisiva e legittimamente ne perseguisse gli autori – non altrettanto lecito sarebbe il divieto di ascoltare tali emissioni. Perciò, anche nei casi (assolutamente da circoscrivere in democrazia) ove venisse vietata la parola diffusa per mezzo della radio e della televisione, mai dovrà esserne vietato l’