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La moneta patriottica della Repubblica di San Marco

(1848-1849)
moneta patriottica
moneta patriottica

Indice:

1. Per sostenere Venezia e l’Italia tutta

2. L’istituzione di un Ufficio e la stampa della moneta

3. Un successo finanziario

 

1. Per sostenere Venezia e l’Italia tutta

Il 25 luglio 1848, giorno della battaglia di Custoza, il Governo provvisorio presieduto da Jacopo Castelli decretò l’istituzione di una banca di sconto, di depositi e di conti correnti sotto forma di società anonima, con lo scopo prioritario di sostenere la difesa della città di Venezia.

La banca avrebbe sovvenzionato il Governo attraverso diversi prestiti, raccogliendo il denaro necessario con sottoscrizioni volontarie o riscossioni forzose. A sua volta, il Governo avrebbe rilasciato alla banca buoni o vaglia di vari formati, garantiti dal Governo provvisorio della Lombardia e dal Comune di Venezia, fruttanti fino al sei per cento annuo.

La banca avrebbe infine emesso biglietti pagabili al portatore, denaro a tutti gli effetti, che qualunque persona o corpo morale avrebbe dovuto necessariamente ricevere.

Il 18 settembre, meno di due mesi dopo l’istituzione della Banca nazionale veneta, il Governo provvisorio bandì un primo prestito volontario di tre milioni di lire. A fronte di tale acquisizione di denaro, la Banca fu autorizzata a emettere degli speciali biglietti noti col nome di “moneta patriottica”. Tale moneta sarebbe stato l’unico pagamento previsto per le casse pubbliche, mentre i privati avrebbero dovuto obbligatoriamente adoperarla per pagamenti entro le sessanta lire; superata tale soglia, la metà della cifra avrebbe potuto essere pagata in moneta contante.

Decreto

I delitti contro questa nuova moneta sarebbero stati puniti con pene severissime, previste dal Codice penale austriaco allora vigente, tanto erano considerati funesti per il Tesoro dello Stato: la morte per i falsificatori e gli imitatori, carcere duro da uno a dieci anni per gli spacciatori, mentre chi si fosse limitato al solo possesso avrebbe rischiato la detenzione da sei mesi a cinque anni.

Lo stesso giorno dell’indizione del prestito la Banca, che poteva vantare nel suo portafoglio un capitale di tre milioni di lire italiane giratole dal Governo provvisorio, illustrò con avviso pubblico i formati della moneta patriottica: 1, 2, 3 e 5 lire (con decreto del successivo 22 ottobre sarebbero stati introdotti anche i tagli da 50 e 100 lire legati a un ulteriore prestito di un milione).

Nell’avviso la carta viene descritta come “di qualità fina, bianca, a macchina” (successivamente fu adoperata la più resistente carta di lino), i biglietti di “forma quadrilunga, stampati solamente in nero”, diversificati nei disegni sulla base del loro valore nominale. Tutte le monete sarebbero state caratterizzate dalla presenza degli stemmi di Milano e di Venezia, variamente accompagnati da cornucopie, cavalli marini e ghirlande di fiori. Le scritte sarebbero state rese con caratteri egiziani (nati attorno ai primi anni dell’Ottocento) e/o lapidari, dunque pesanti e leggibili anche a distanza. Sul verso tutti gli esemplari avrebbero recato il bollo di controlleria.

 

2. L’istituzione di un Ufficio e la stampa della moneta

Per la stampa della moneta patriottica venne impiantato uno speciale ufficio, sotto il controllo del Governo e della Reggenza della Banca, per il funzionamento del quale furono stilate fin dal 10 settembre delle specifiche Istruzioni. Per evitare irregolarità e abusi, l’ufficio sarebbe stato diviso in tre sezioni distinte e indipendenti tra loro: la prima per l’incisione e la stampa, la seconda per il bollo di controlleria, il taglio e la impaccatura dei biglietti, la terza per la custodia e la consegna della carta moneta.

Alla stampa litografica venne dunque preposta la prima sezione, alla quale furono applicati un ispettore e un aggiunto; la sezione avrebbe diretto e sorvegliato i lavori condotti dalla Ditta Paolo Ripamonti Carpano, incaricata con contratto del 30 agosto 1848 della materiale impressione dei biglietti. È rilevante che la bibliografia specialistica non riferisca di questa attività della Ditta Ripamonti e anzi descriva l’impresa in fortissima contrazione in quel periodo.

La Ditta avrebbe curato l’incisione sulla pietra di un tipo o matrice per ogni diversa categoria di biglietti, e impresso con questo tipo o matrice delle prove, che sarebbero servite a moltiplicare le pietre mediante il processo del trasporto. I biglietti (benché riferibili allo stesso valore nominale) sarebbero stati contrassegnati con un numero progressivo, in modo tale da costituire le diverse serie di emissione: il numero progressivo sarebbe stato apposto sulla pietra del trasporto.

L’intaglio delle pietre sarebbe stato eseguito con la cosiddetta “Macchina Collas”, una sorta di pantografo brevettato dall’ingegnere francese Achille Collas.

Tutte le operazioni legate alla stampa litografica erano dettagliatamente descritte e severamente disciplinate dalle Istruzioni: ingresso e uscita degli operai, controllo delle macchine, consegna della carta, apertura e chiusura dell’officina a doppia chiave, custodia delle pietre tipi e delle pietre di trasporto, loro cancellazione ed eliminazione.

I fogli impressi interi, dopo circa quattro giorni di asciugatura, sarebbero poi passati alla seconda sezione per la bollatura, il taglio e la formazione dei pacchetti.

La moneta patriottica stampata, in attesa di essere consegnata alla cassa centrale, sarebbe stata custodita dalla Reggenza della Banca in uno scrigno a doppia chiave, di cui una sarebbe rimasta al Presidente della Reggenza, l’altra affidata a uno dei membri del Governo provvisorio.

Moneta

Parimenti sotto chiave sarebbero stati conservati le matrici, le pietre, i timbri di controlleria e tutti gli altri strumenti necessari alla stampa della moneta. In base all’art. 9 delle Istruzioni questo materiale avrebbero dovuto essere distrutto al termine dell’operazione di emissione: i modelli conservati all’interno del fondo Governo provvisorio presso l’Archivio di Stato di Venezia ci dicono invece che tale disposizione non fu eseguita.

 

3. Un successo finanziario

Il 23 settembre 1848, su richiesta del Governo provvisorio, il commissario governativo presso la Banca nazionale di Venezia Vincenzo Tilati stilò un elenco delle ditte sovventrici della somma di tre milioni a garanzia della carta moneta patriottica, con le rispettive quote: quarantadue nominativi, entrati nella storia della guerra per l’indipendenza italiana, tra i quali spiccano quelli di Giovanni Papodopoli e del nipote Spiridione, di Loredana Morosini Gatterburg, di Girolamo Marcello e Michele Soranzo. Ma il principale sostenitore del prestito governativo fu il filantropo e patriota Giacomo Treves.

Le monete patriottiche sarebbero state ritirate dalla circolazione e distrutte via via che si fossero estinti i debiti contratti dal Governo provvisorio tramite il prestito, e comunque entro il 3 gennaio 1850. Tra il 20 dicembre 1848 e il 30 luglio 1849, nel corso di undici cerimonie pubbliche tenute nella Loggetta di San Marco (o del Sansovino), le banconote ammortizzate furono pertanto bruciate, per un importo pari a circa quattro milioni e duecentomila lire.

Le autorità austriache, dopo la caduta della Repubblica di San Marco il 22 agosto 1849, non riconobbero alcun valore alla carta moneta patriottica rimasta in circolazione.

Pezzi Unici

Per vedere il video YouTube dell’Archivio di Stato di Venezia:

Pezzi unici, n. 8

Fonti d’archivio

Archivio di Stato di Venezia, Governo provvisorio, b. 614, fascc. «Stampe diverse relative alla Banca Nazionale», «Prestito dei tre milioni», «Ammortizzazione della moneta patriottica».

 

Per approfondire…

A. Zorzi, Venezia austriaca. 1798-1866, Roma-Bari, Laterza, 1985

G. Zoccoletto, La Banca nazionale veneta, Venezia, Centro Studi Storici di Mestre, 2000

P. Del Negro, Il 1848 e dopo, in Storia di Venezia. L’Ottocento e il Novecento, a cura di S. J. Woolf - M. Isnenghi, I, Roma, Istituto dell’Enciclopedia italiana, 2002, pp. 107-186

S. Fusari, Per la storia di uno stabilimento editoriale del Risorgimento: Paolo Ripamonti Carpano, in «MDCCC 1800», 2 (2013), pp. 79-98