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La questione carceraria in Italia: quando gli uomini si fanno lupi con gli uomini

Acquario di Genova
Ph. Simona Balestra / Acquario di Genova

Quello che sappiamo

È ora di ammettere che il nostro Paese ha una serissima questione carceraria.

I detenuti presenti sono più numerosi dei posti disponibili nei penitenziari:  a fine maggio[1] i primi erano 53.660, i secondi 50.780, con l’avvertenza che questo secondo numero esprime la capienza regolamentare e non quella effettiva che di solito è più bassa di qualche migliaio di posti.

Stanno in galera molti presunti non colpevoli, cioè individui in attesa di primo giudizio (8.501) o condannati non definitivi (7.861): il loro totale (16.362) equivale a oltre il 30% del totale[2].

Si continua a morire e in carcere e di carcere: nel 2020 si sono suicidati 61 detenuti e altri 13 sono morti nelle rivolte primaverili[3].

Aumentano in modo esponenziale i tentativi di suicidio e di autolesionismo: nel 2019 sono stati registrati 1.507 tentativi di suicidio e 11.261 gesti di autolesionismo.

Aumentano altrettanto esponenzialmente i gesti violenti o addirittura le vere e proprie torture del personale penitenziario sui detenuti[4].

Tutti gli indicatori della disciplina carceraria sono in deciso peggioramento (i dati che seguono offrono un raffronto tra il 2013 e il 2018)[5]: atti di aggressione (2.168 – 3.821); aggressioni fisiche al personale della polizia penitenziaria: (387 – 680); infrazioni disciplinari (974 – 8.577); isolamento disciplinare (207 – 2.367); trasferimenti disciplinari, cioè trasferimento di istituto del detenuto che abbia compiuto atti di violenza su persone o cose (1.829 detenuti trasferiti tra il 9 ottobre 2018 e il 5 marzo 2019, a fronte dei 1.309 trasferiti nello stesso periodo dell'anno precedente.

Le carceri sono in più di un caso malsane e fatiscenti, prive finanche dei servizi più elementari e comunque strutturate in modo tale da non poter soddisfare adeguatamente le esigenze primarie di vita dei detenuti[6].

 

Quello che non sappiamo ma dovremmo sapere[7]

Questo è ciò che sappiamo.

Ma preoccupa altrettanto quello che non sappiamo dal momento che l'universo carcerario è fatto di molte più cose di quelle rilevate, classificate e archiviate.

Non è colpa dei numeri che non ci sono, la colpa è di chi avrebbe dovuto raccoglierli, avendone avvertito l'importanza, e invece non l'ha fatto.

Per questa grave negligenza di sistema non sappiamo niente, certamente niente di preciso e significativo, su una moltitudine di aspetti della vita degli esseri umani ristretti che pure sono per loro tanto importanti quanto per gli individui liberi.

Non sappiamo come sia assicurato davvero il loro diritto alla salute, se agli assetti formali sulla sanità penitenziaria corrispondano buone e tempestive pratiche mediche o la loro negazione.

Non sappiamo nulla del numero di patologie che colpiscono i detenuti, della loro tipologia, delle loro cause. Poco sappiamo dei rischi epidemici propri del carcere, dell'elevatissimo rischio di contrarre l'epatite C e delle difficoltà di una corretta profilassi.

Non sappiamo, al di là di circolari e relazioni più o meno dotte e ispirate, cosa si faccia per salvaguardare la salute psichica dei ristretti oltre che quella fisica.

Non sappiamo quali guasti comporti fisiologicamente la privazione della libertà pura e semplice e quali altri siano invece indotti dalle mille privazioni ulteriori che prescrizioni normative o prassi applicative affiancano a quella primaria.

Ignoriamo quindi quanto pesino la rarefazione dei contatti con i familiari e la sessualità negata, quanto analfabetismo di ritorno produca l'impossibilità di accesso alle tecnologie, quanta alienazione derivi dall'informazione edulcorata che rappresenta il massimo cui i detenuti possono normalmente accedere.

Ci è ignoto cosa significhi il vuoto costante cui è condannato chi non è compreso tra i fortunati "lavoranti" e trascorre il suo tempo in una specie di sospensione dallo spazio e dal tempo o è ristretto in settori separati e quindi trasformato in alieno anche per i suoi simili che vivono la vita comune del carcere.

Vorremmo sapere cosa passi per la testa dei detenuti sanzionati disciplinarmente lì dove ogni ulteriore limitazione può assumere le dimensioni di una tragedia, come si senta il detenuto sottoposto ad isolamento, come reagisca il detenuto trasferito nottetempo per punizione o esigenze di istituto e magari destinato a un penitenziario distante centinaia di chilometri dalla sua famiglia.

Ci piacerebbe sapere, ma neanche questo è oggetto di statistiche, cosa significhi vivere in spazi sovraffollati, lavarsi mani e volto con acqua gelida, fare a turno per sedersi nelle celle multiple, provare l'esperienza della cosiddetta “cella liscia”, cioè quella completamente priva di arredi riservata a chi manifesti tendenze depressive o suicide.

Anche questo è carcere ma solo meritorie associazioni private ne parlano mentre lo Stato trova inelegante perfino raccogliere dati al riguardo.

C'è dunque una carenza informativa e si crede che questo sia inappropriato per uno Stato che celebra la trasparenza delle attività pubbliche come un valore primario.

Tutto questo, si badi, avviene mentre le statistiche ufficiali della delittuosità evidenziano che i reati compiuti nel nostro Paese (compresi quelli di maggiore gravità) diminuiscono costantemente da molti anni e lo rendono uno dei più sicuri al mondo[8].

 

Una pericolosa emergenza

Parliamo dunque di un’emergenza vera che non riguarda soltanto i detenuti e chi soffre insieme a loro.

Quando si calpestano i diritti umani essenziali, quando anche un solo essere umano è considerato un vuoto a perdere, quando i singoli individui e le istituzioni voltano gli occhi da un’altra parte o, peggio, sono conniventi o correi, è sempre un pessimo segnale e l’uomo torna a farsi lupo con gli altri uomini.

 

[1] I dati sono tratti dall’ultima tabella statistica mensile fornita dal Ministero della Giustizia nel suo sito web istituzionale, verificabile a questo link.

[2] I dati sono tratti dalla stessa tabella citata in nota 1.

[3] I dati sono tratti dal XVII rapporto di Antigone, alle pagine 87 e ss.

[4] Al di là dei fatti di Santa Maria Capua Vetere che da giorni occupano le prime pagine dei giornali (si confronti, per una breve sintesi, V. Giglio, Polizia penitenziaria: la vicenda di Santa Maria Capua Vetere, in questa rivista) si rinvia al citato XVII rapporto di Antigone per un’ampia panoramica sulle vicende giudiziarie in corso. Se ne occupa specificamente l’approfondimento La tortura in carcere in Italia. La panoramica sui processi.

[5] Questi dati sono tratti da V. Giglio, La solitudine dei numeri ultimi, in Diritto Penale e Uomo, 2020, pag. 10

[6] Questi i dati riportati nel XVII rapporto di Antigone (pag. 14 e ss.):

  • Nel 22,7% dei luoghi visitati non dappertutto è garantito disporre di 3 metri quadri a persona.
  • Nel 9,1% dei luoghi il riscaldamento non è garantito in tutte le celle.
  • Nel 29,5% delle celle visitate non è garantita la disponibilità di acqua calda.
  • Nel 47,7% delle celle non vi è doccia.
  • Nel 38,6% delle celle vi sono schermature alle finestre che non favoriscono l’ingresso di luce naturale.
  • Nel 77,3% dei casi non è prevista una separazione dei giovani adulti (meno di 25 anni) dai più grandi.
  • Nel 50% dei casi vi sono spazi attualmente non uso per ristrutturazione o inagibilità.
  • Nel 79,5% degli istituti non c’è uno spazio ad hoc per i detenuti di culto non cattolico.
  • Nel 25% dei casi non vi è un ministro di culto non cattolico.
  • Nel 15,9% delle sezioni visitate non vi sono spazi per la socialità.
  • Nel 36,4% dei casi non è prevista una ammissione settimanale alla palestra o al campo sportivo.
  • Nel 20,5% dei luoghi non vi è un’area verde per i colloqui visivi nel periodo estivo.
  • Nel 13,6% dei casi il direttore dirige più di un carcere.
  • Solo nel 23,3% dei casi il magistrato di sorveglianza entra almeno una volta al mese in carcere.
  • Nel 15,9% dei casi non vi è un medico per tutte e 24 le ore.
  • Nel 56,8% delle carceri manca la cartella clinica digitalizzata.
  • Nel 70,5% dei luoghi manca un’articolazione per la salute mentale.
  • Nel 15,8% dei casi manca un servizio ginecologico per le donne detenute.
  • La media ore settimanali di intervento psichiatrico per 100 detenuti è 8,97 e 16.56 per intervento psicologico.
  • Nel 34,1% delle sezioni le celle non sono aperte 8 ore al giorno.
  • Solo il 22,7% fa più di 4 ore d’aria al giorno.
  • Nel 54,5% delle sezioni i detenuti non possono spostarsi in autonomia.
  • Nel 52,3% dei casi non vi è possibilità di colloquio visivo la domenica e nel 25% mai di pomeriggio.
  • Nel 31,8% dei casi è possibile prenotare un colloquio per un parente anche via internet.
  • Nel 95,5% dei casi è previsto il colloquio con i parenti via skype.
  • Nel 54,5% dei casi non vi è mai possibilità di uso della rete internet.

[7] Questo paragrafo è tratto quasi per intero da V. Giglio, La solitudine dei numeri ultimi, op. cit.

[8] Si consulti a tal fine il già citato XVII rapporto di Antigone, pagg. 57 e ss.