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La separazione delle carriere e la modulazione dell’obbligo di esercitare l’azione penale

il punto di vista dell’osservatorio d.lgs. 231/2001 (1)
La città muta - Luci (III)
Ph. Anuar Arebi / La città muta - Luci (III)

Abstract

La riforma dell’assetto costituzionale promossa dall’ucpi interessa anche l’ente incolpato e il suo difensore. Gli interventi promossi con proposta di legge costituzionale di iniziativa popolare muovono dall’indifferibile necessità di realizzare i principi espressi nel manifesto del diritto penale liberale e del giusto processo. Le stesse considerazioni ed esigenze si ripropongono nel procedimento all’ente acutizzate da un testo normativo frammentario che ha prodotto una giurisprudenza ancora meno garantista. A sostegno dell’iniziativa politica dell’ucpi si pone l’osservatorio d.lgs. 231/2001.

 

Abstract

The constitutional reform promoted by the ucpi also affects the accused entity and its defender. The interventions promoted with the proposed constitutional law of popular initiative stem from the imperative need to implement the principles expressed in the manifesto of liberal criminal law and due process. The same considerations and needs are repeated in the proceedings against the body, sharpened by a fragmentary legislative text that has produced an even less guarantee-based jurisprudence. The observatory of legislative decree 231/2001 is in support of the political initiative of the ucpi.

 

Sommario

1. Introduzione. Le linee essenziali della proposta di legge costituzionale di iniziativa popolare

1.1. I fondamenti della c.d. “separazione delle carriere”

1.2. Il valore finale da garantire: il giusto processo

2. L’identità tra la funzione di accusa e quella di decisione nel procedimento penale all’ente

2.1. Il pubblico ministero si fa giudice (e legislatore)

2.2. Il giudice si fa pubblico ministero

3. Conclusioni

 

1. Introduzione. Le linee essenziali della proposta di legge costituzionale di iniziativa popolare

I temi dell’organizzazione giudiziaria si mantengono stabilmente al centro dell’attenzione e del dibattito politico-culturale. Da tempo, avvocatura e magistratura si collocano, infatti, su posizioni antitetiche quando si affronta il delicato tema della magistratura e della sua organizzazione. Dall’ultimo decennio del secolo scorso a oggi, «la comunicazione tra queste due componenti della vita giudiziaria s’è fatta difficile e complicata». Proprio sull’organizzazione degli uffici della magistratura essa è, infatti, divenuta «terreno fertile di fraintendimenti e diffidenze reciproche»: «alla ferma determinazione degli avvocati nell’esigere la separazione delle carriere, si oppone la pervicacia della magistratura associata nel conservare lo status quo»[2].

Uno degli ultimi atti, in ordine di tempo, di questo contrasto è rappresentato dalla proposta di legge costituzionale di iniziativa popolare, recante «norme per l’attuazione della separazione delle carriere giudicante e requirente della magistratura», articolata e promossa dall’unione delle camere penali italiane e presentata alla camera dei deputati nella xvii legislatura il 31 ottobre 2017[3]. Le linee essenziali di questa proposta sono così sintetizzabili.

  1. L’ordine giudiziario è costituito dalla magistratura giudicante e dalla magistratura requirente ed è autonomo e indipendente da ogni potere (art. 104 co. 1 cost. Come sostituito con art. 3 co. 1 della proposta). Il presidente della repubblica presiede il consiglio superiore della magistratura giudicante e il consiglio superiore della magistratura requirente (art. 87 co. 10 cost. Come integrato con art. 1 della proposta), debitamente separati.
  2. Del consiglio superiore della magistratura giudicante fa parte di diritto il primo presidente della corte di cassazione (art. 104 co. 2 cost. Come sostituito con art. 3 co. 2 della proposta). Gli altri componenti sono scelti, per la metà, tra i giudici ordinari con le modalità stabilite dalla legge e, per l’altra metà, dal parlamento in seduta comune tra i professori ordinari di università in materie giuridiche e gli avvocati dopo quindici anni di esercizio. Durano in carica quattro anni e non sono immediatamente rieleggibili (art. 104 co. 4 cost. Come sostituito con art. 3 co. 4 della proposta). La legge può prevedere la nomina di avvocati e di professori ordinari universitari di materie giuridiche a tutti i livelli della magistratura giudicante (art. 106 co. 3 cost. Come sostituito con art. 7 co. 2 della proposta). Non possono, finché sono in carica, essere iscritti negli albi professionali né fare parte del parlamento o di un consiglio regionale o provinciale o comunale ovvero di un ente di diritto pubblico (art. 104 co. 7 cost. Come integrato con art. 3 co. 6 della proposta). Spettano al consiglio superiore della magistratura giudicante, secondo le norme dell’ordinamento giudiziario, le assunzioni, le assegnazioni, i trasferimenti, le promozioni e i provvedimenti disciplinari nei riguardi dei giudici. Altre competenze possono essere attribuite solo con legge costituzionale (art. 105 cost. Come sostituito con art. 4 della proposta).
  3. Del consiglio superiore della magistratura requirente fa parte di diritto il procuratore generale della corte di cassazione. Gli altri componenti sono scelti, per la metà, tra i pubblici ministeri ordinari con le modalità stabilite dalla legge e, per l’altra metà, dal parlamento in seduta comune tra i professori ordinari di università in materie giuridiche e gli avvocati dopo quindici anni di esercizio. Durano in carica quattro anni e non sono immediatamente rieleggibili. Non possono, finché sono in carica, essere iscritti agli albi professionali né fare parte del parlamento o di un consiglio regionale o provinciale o comunale ovvero di un ente di diritto pubblico. Il consiglio elegge un vicepresidente tra i componenti designati dal parlamento (art. 105-bis cost. Come inserito con art. 5 della proposta). Spettano al consiglio superiore della magistratura requirente, secondo le norme dell’ordinamento giudiziario, le assunzioni, le assegnazioni, i trasferimenti, le promozioni e i provvedimenti disciplinari nei riguardi dei magistrati requirenti. Altre competenze possono essere attribuite solo con legge costituzionale (art. 105-ter cost. Come inserito con art. 6 della proposta).
  4. Le nomine dei magistrati giudicanti e requirenti hanno luogo per concorsi separati (art. 106 co. 1 cost. Come sostituito con art. 7 co. 1 della proposta). I magistrati giudicanti e requirenti sono inamovibili. Non possono essere dispensati o sospesi dal servizio né destinati ad altre sedi o funzioni se non in seguito a decisione rispettivamente del consiglio superiore della magistratura giudicante o del consiglio superiore della magistratura requirente (art. 107 co. 1 cost. Come integrato con art. 8 co. 1 della proposta).
  5. Il pubblico ministero ha l’obbligo di esercitare l’azione penale nei casi e nei modi previsti dalla legge (art. 112 cost. Come integrato con art. 10 della proposta).

 

1.1. I fondamenti della c.d. “separazione delle carriere”

La proposta di legge costituzionale di iniziativa popolare è, principalmente, diretta a concretizzare quella che, nel dibattito sull’argomento, si tende a indicare con l’espressione “separazione delle carriere”. Per uscire da prospettazioni non adeguate dei problemi e per affrontare questa analisi in modo appropriato è utile fissare qualche premessa per sgombrare il campo da equivoci ricorrenti.

Il termine “carriere” è, invero, limitativo e non restituisce in modo preciso e completo i fondamenti della petizione di separazione. La questione non è, in breve, se i magistrati dell’accusa e quelli della decisione siano da sottoporre a regimi eterogenei per il progresso delle rispettive carriere. La questione è, in termini più ampi, se le due categorie di magistrato debbano appartenere a differenti organizzazioni di ordinamento giudiziario e, prius, personificare differenti configurazioni istituzionali[4], separando le organizzazioni ordinamentali dei magistrati dell’accusa e di quelli della decisione[5].

Sono, così, da respingere le posizioni di quanti tendono a serbare una netta distinzione tra le questioni di ordinamento giudiziario e quelle di normativa processuale penale. È, sul punto, paradigmatica la formula programmatica dell’associazione nazionale magistrati: «riformare il processo, non il giudice» (rectius, il magistrato). Queste posizioni scontano, infatti, «un marcato errore di portata non solo teorica, ma soprattutto pratica. Secondo un grande insegnamento (da Francesco Carnelutti a Gaetano Foschini e Gian Domenico Pisapia), oggi purtroppo assai poco tenuto presente, il processo penale deve trovare la propria disciplina nell’integrazione delle norme ordinamentali e processuali. Anche da questa integrazione dipende spesso l’efficacia pratica dell’amministrazione della giustizia»[6].

Ciò precisato, la separazione delle organizzazioni ordinamentali si propone di affrontare e di risolvere un problema fondamentale: l’identità, sul piano dell’ordinamento, delle due categorie di magistrato, favorita dall’unicità organizzativa, e gli effetti, ormai intollerabili, che la stessa produce sul piano delle garanzie processuali. È appena da osservare che si tratta «non già di notazioni politico-ideologiche innocue, ma di un’opzione che informa l’operatività giudiziaria a una concreta, precisa caratterizzazione»[7].

La ragione della natura deteriore di questa caratterizzazione identitaria è, a più riprese, ribadita nella relazione accompagnatoria alla proposta. Essa alloca «nella figura stessa di una magistratura “onnivora” che assimila giudici e pubblici ministeri. […] che tiene innaturalmente unite, in una cultura ibrida e ancipite, l’arbitro e il giocatore». Il profilo di sofferenza di questa caratterizzazione identitaria «non è soltanto quello dell’“amicizia” in senso psicologico (riassunta nelle consuete espressioni: “pubblici ministeri e giudici prendono il caffè insieme” o “si danno del tu”), ma soprattutto quella dell’assenza di una necessaria “inimicizia” intesa in senso politico, come condizione di un indispensabile conflitto, di un fisiologico antagonismo fra poteri, volta all’efficienza e all’equilibrio di ogni sistema ordinamentale e istituzionale democratico, complesso e aperto»[8]. In breve, l’«assunzione da parte dei magistrati […] di un’identica cultura del processo visto come strumento di contrasto al crimine» fa sì che «pubblico ministero e giudice pens[i]no entrambi di essere impegnati […] nella medesima “lotta” contro questo o quel “fenomeno criminale”»[9]. Così, «il giudice non potrà mai essere terzo»[10].

 

1.2. Il valore finale da garantire: il giusto processo

Il punto di partenza, nonché «cuore della progettata riforma “epocale”»[11], è infrangere l’identità, presente nell’attuale quadro costituzionale, ordinamentale e processuale, tra la funzione di accusa e quella di decisione. Infatti, le stesse «sono radicalmente incompatibili: non possono essere concepite come due sotto-funzioni di una medesima funzione e neppure possono vedere gli organi dell’una e dell’altra accomunati in un’unica organizzazione ordinamentale»[12]. Dunque, solo mediante la separazione delle organizzazioni «sarà preservata quella condizione essenziale che i pensatori dell’illuminismo, cultori della separazione dei poteri, chiamavano “inimicizia”, ovvero quel sentimento che fa sì che un potere controlli l’altro e che il titolare di un potere, non essendo mosso da alcun sentimento di “amicizia” ordinamentale nei confronti di un altro soggetto, possa sempre diffidarne, verificandone i metodi, falsificandone i risultati, non condividendone mai né gli scopi, né le passioni»[13].

Il valore finale da garantire è, quindi, il giusto processo nell’essenzialità sancita all’art. 111 cost.[14]. In definitiva, «la separazione delle carriere serve a rendere il processo penale più equo»[15], «senza coltivare partigianerie di sorta e senza piegarsi a esigenze e interessi della più varia natura»[16].

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