La tutela aquiliana delle situazioni reali piene, anche con riferimento al danno non patrimoniale

La tutela aquiliana delle situazioni reali piene, anche con riferimento al danno non patrimoniale

 

Il nostro ordinamento non dà una definizione delle posizioni o situazioni giuridiche soggettive, la cui nozione va rinvenuta nella teoria generale, che le struttura in attive (poteri, facoltà, qualifiche, pretese, interessi e aspettative) e passive (doveri, obblighi, soggezioni e oneri) concesse le prime o gravanti le seconde su un soggetto. Nella simmetria tra le due situazioni si sostanzia ed articola l’essenza del rapporto giuridico.

Tra le situazioni giuridiche soggettive, in qualità di posizioni ideali del soggetto giuridicamente rilevanti, i diritti soggettivi acquistano un’importanza prevalente. Essi presentano un elemento formale (il contenuto ovvero la posizione del titolare) e uno funzionale (l’interesse in ragione del quale il diritto è costituito). Essi possono classificarsi in diritti patrimoniali (che tutelano interessi economici o valutabili in denaro) e non patrimoniali (morali, c.d. personalissimi come il diritto alla vita); in diritti assoluti (che impongono una generale soggezione a favore del titolare ed un generale obbligo negativo di non turbare o violare tali diritti, come il diritto di proprietà, i diritti di famiglia, tutti i diritti reali o i diritti della libertà nel campo pubblicistico) o relativi (in personam, che circoscrivono tale soggezione a una o più persone determinate, come avviene nei diritti di obbligazione); in diritti trasmissibili o intrasmissibili (perché originari, a prescindere dal loro carattere patrimoniale o non); in diritti reali (per così dire statici, i quali hanno per oggetto immediato una cosa, validi erga omnes, tipicamente previsti e regolati dalla legge e che si distinguono in reali e reali di godimento) e o di obbligazione/di credito (il cui rapporto è eminentemente personale tra debitore e creditore e il cui contenuto consiste nella pretesa di un soggetto alla prestazione di un altro o più soggetti, quindi con i caratteri della determinatezza e dinamicità). La caratteristica della realità è presente anche negli oneri o obbligazioni reali, che riguardano prestazioni e che hanno in comune coi diritti reali solo essa, ovvero il rapporto con la cosa, che negli oneri reali non è solo un mezzo per determinare la persona che deve fare la prestazione, ma anche il titolo – unico titolo peraltro – dell’obbligo di prestazione, mentre nelle obbligazioni propter rem o ob rem esso l’appartenenza del bene vale per individuare il soggetto che resta personalmente obbligato. Le obbligazioni propter rem sono caratterizzate dal requisito della tipicità, con la conseguenza che esse possono sorgere per contratto solo nei casi e col contenuto espressamente previsti dalla legge.

I diritti reali costituiscono di certo la categoria più importante dei diritti assoluti, non solo per il loro rilievo economico. A loro volta essi si distinguono a seconda che abbiano ad oggetto un bene proprio od altrui e se l’interesse realizzato sia quello di godere della cosa altrui (diritti reali di godimento come la superficie, l’uso, l’usufrutto, l’abitazione, l’enfiteusi e la servitù) o di costituirla in garanzia dell’adempimento di un’obbligazione (diritti reali di garanzia come il pegno o l’ipoteca).

A tutela dei diritti assoluti l’ordinamento riconosce e predispone una serie di mezzi per esercitare un’azione (preventiva se in autotutela o in giudizio se a lesione avvenuta o in corso del diritto sostanziale vantato). Ogniqualvolta infatti che un diritto assoluto viene leso, sorge in capo al soggetto che lede tale diritto, l’obbligo d risarcire il danno (e di conseguenza in capo al soggetto leso il diritto relativo di credito ad ottenere tale risarcimento). In realtà anche i c.d. interessi diffusi o collettivi, che hanno ad oggetto un bene o dei beni non suscettibili di appropriazione individuale, sono tutelati e legittimano all’azione risarcitoria, la cui competenza giurisdizionale è attribuita al GO (al GA in caso di class action): danni ambientali, tutela del consumatore, ecc.

A tutela dei diritti reali l’ordinamento prevede un’azione reale (actio in rem) esperibile contro chiunque, salva la determinazione di chi sia in concreto l’offensore del diritto, mentre per i diritti di obbligazione l’azione sarà in personam, ovvero diretta nei confronti del soggetto passivo del rapporto obbligatorio.

L’esclusività del diritto di proprietà e degli altri diritti reali (ius excludendi omnes alios), oltre ad impedire l’esistenza in capo ad altri dello stesso diritto, inviolabile a partire dai suoi confini, se non in comproprietà e per quote, fa sì che l’azione diretta a far valere tale diritto sia imprescrittibile e irrinunziabile (per il diritto di proprietà azione di rivendica, actio negatoria, azione di regolamento confini, per apposizione dei termini e di nunciazione, per il diritto di servitù actio confessoria).

Alla luce delle considerazioni fin qui effettuate alle situazioni reali possono perciò ricondursi sia i diritti tipici (c.d. numerus clausus), con le caratteristiche dell’inerenza (i cui corollari sono l’immediatezza e l’assolutezza), della realità (i cui corollari sono l’opponibilità a terzi, l’esclusività e lo ius sequalae) e dell’autosufficienza (possibilità per il titolare di esercitare il suo diritto sempre e indipendentemente dall’apporto di altri soggetti), sia le situazioni di fatto come possesso e detenzione qualificati, per quanto situazioni provvisorie e non tradizionali. In dottrina si è dibattuto se figure spurie come l’ipoteca o le servitù negative abbiano tutti i requisiti dei diritti reali, come l’immediatezza e l’assolutezza.

La questione più pregante ai fini della traccia è rappresentata dall’individuazione del significato di pienezza, la cui ricaduta in termini teorici, ma anche processuali, è rilevante. Tale termine non coincide con l’assolutezza, in quanto essa caratterizza tutti i diritti reali (anzi ne è elemento necessario) e anche diritti non reali (diritti di credito e responsabilità extracontrattuale per lesione di essi per quanto secondaria e limitata), ma al contempo non tutti i diritti reali sono pieni nel loro godimento, anzi ciò che distingue essenzialmente la proprietà dagli altri diritti reali è proprio il requisito della pienezza del diritto, cioè la generalità del potere di godimento e disposizione del bene, che attribuisce al proprietario ogni facoltà non esclusa dall’ordinamento sia per quanto riguarda la prima (godimento) che la seconda (disposizione) esplicazione di tale diritto.

Pienezza significa che la proprietà non conferisce specifiche facoltà, ma un potere che comprende la generalità delle forme di godimento e disposizione della res: le singole facoltà che in essa vanno distinte, sono solo delle estrinsecazioni di tale pienezza. Un ancoraggio normativo è rappresentato dal termine “… modo pieno ed esclusivo…” di cui all’art. 832 cod. civ. e giova sottolineare che vincoli eventuali di natura pubblicistica o privatistica non contraddicono tale caratteristica, in quanto comprimono la sfera del diritto ma non incidono nel suo contenuto, pur sempre di natura generale e pronto in ogni momento a riacquistare la massima estensione (la c.d. elasticità della proprietà, altro elemento distintivo rispetto agli altri diritti reali limitati).

Il risarcimento di un danno (da considerarsi classico debito di valore) è dovuto sia in caso di dolo o colpa (secondo la regola generale che lo fa derivare dal reato ex art. 185 cod. pen.) che a titolo di responsabilità indiretta o oggettiva o aggravata (secondo le regole speciali) e può avvenire sia in forma specifica (c.d. piena, che consente il raggiungimento o ripristino del bene della vita desiderato) che per equivalente (c.d. semipiena, che attribuisce un bene o un’utilità equivalente o succedaneo rispetto a quello desiderato). Poiché, come si vedrà più specificamente appresso, il risarcimento del danno da responsabilità aquiliana (da lex Aquilia del 287 a. C. che per prima disciplinò, nel diritto romano, la responsabilità ex delicto) ha la funzione di porre il patrimonio del danneggiato nello stesso stato in cui si sarebbe trovato se l’illecito non si fosse verificato, è da escludere la legittimità del ricorso alla reintegrazione in forma specifica qualora, per le circostanze del caso concreto, le spese necessarie ad essa sarebbero superiori rispetto alla somma alla quale avrebbe diritto il danneggiato ex art. 2056 cod. civ., in quanto in tal caso il danneggiato riceverebbe dalla reintegrazione una ingiustificata locupletazione. Tale responsabilità può essere contrattuale, pertanto basata su un negozio valido ed efficace e che sanziona l’inadempimento dell’obbligazione, od extra-contrattuale, c.d. aquiliana, ai sensi dell’art. 2043 cod. civ., responsabilità che grava su colui che, terzo rispetto ad un rapporto contrattuale o ad una situazione giuridica soggettiva esistente, abbia posto in essere fatti tali da rendere impossibile il soddisfacimento dell’interesse previsto nel rapporto o abbia violato il diritto di cui alla situazione suddetta, a prescindere da una specifica pretesa creditoria. Di regola, il danno risarcibile è solo quello patrimoniale, suscettibile cioè di valutazione economica, comprendente danno emergente e lucro cessante (danno futuro). Il principio a lungo imperante è stato quello della irrisarcibilità dei danni non patrimoniali, ispirato alla tradizionale concezione del diritto privato come ordinamento costituito a tutela di interessi economici, essendo quelli non economici irrilevanti. In seguito l’evoluzione di tale principio ha portato ad ammetterne la risarcibilità, ma richiedendo un forte controllo normativo volto ad evitare che il diritto al risarcimento diventasse occasione di abusi a carico del danneggiante, per poi emergere del tutto la preminenza dei valori della persona rispetto a quelli prettamente economico-patrimoniali che con tale prospettiva pan economica restavano privi di tutela. 

I danni non patrimoniali (c.d. morali) consistono non solo in sofferenze psichiche o fisiche del danneggiato, anche in lesioni di interessi aventi rilevanza sociale, e sono risarcibili solo nei casi previsti dalla legge e vengono liquidati dal giudice in via equitativa: ai sensi dell’art. 2059 cod. civ. fonte di responsabilità risarcitoria non patrimoniale può essere solo la lesione ingiusta di un diritto inviolabile concretamente individuato dalla legge. Essi non consistono in un’offesa inferta ad un interesse personale  del danneggiato in dipendenza di un illecito, bensì in evenienze pregiudizievoli che derivano, sul piano personale, al singolo, dalla lesione di un bene, indipendentemente dalla consistenza economica o non degli stessi, in quanto l’art. 2043 cod. civ., correlato agli artt. 2 e ss. Cost., va necessariamente esteso fino a ricomprendere il risarcimento non solo dei danni in senso stretto patrimoniali, ma di tutti i danni che almeno potenzialmente ostacolano le attività realizzatrici della persona umana, sicché la lesione di diritti di rilevanza costituzionale va incontro alla sanzione risarcitoria per il fatto in sé della lesione (danno evento), indipendentemente dalle eventuali ricadute patrimoniali che la stessa possa comportare (danno conseguenza) L’art. 2043 cod. civ. reca appunto una regola generale, atta a ricomprendere tutti i casi in cui, a causa di un fatto illecito colpevole, sia leso un interesse meritevole di tutela alla stregua dell’ordinamento giuridico, stabilendo un principio di atipicità dell’illecito patrimoniale, opposto a quello per i pregiudizi non economici (quindi dai diritti soggettivi agli interessi legittimi, alle situazioni di fatto). La norma in questione identifica gli elementi costitutivi della generale figura dell’illecito civile: il fatto; il dolo o la colpa; il danno ingiusto e il nesso di causalità tra il fatto e il danno. Nel sottosistema civilistico, il nesso di causalità (materiale) — la cui valutazione in sede civile è diversa da quella penale ove invece vale il criterio dell’elevato grado di credibilità razionale che è prossimo alla «certezza» — consiste anche nella relazione probabilistica concreta tra comportamento ed evento dannoso, secondo il criterio (ispirato alla regola della normalità causale) del più probabile che non; esso si distingue dall’indagine diretta all’individuazione delle singole conseguenze dannose (finalizzata a delimitare, a valle, i confini della già accertata responsabilità risarcitoria) e prescinde da ogni valutazione di prevedibilità o previsione da parte dell’autore, la quale va compiuta soltanto in una fase successiva ai fini dell’accertamento dell’elemento soggettivo (colpevolezza). Riportata la responsabilità aquiliana nell’ambito della bipolarità prevista dal codice tra danno patrimoniale (art. 2043 cod. civ.) e danno non patrimoniale (art. 2049 cod. civ.), e ritenuto che il danno non patrimoniale debba essere risarcito non solo nei casi previsti dalla legge ordinaria, ma anche nei casi di lesione di valori della persona umana costituzionalmente protetti, poiché il danno biologico, ogni danno che rientri a pieno titolo tra i valori della persona umana considerati inviolabili dalla Costituzione, la sua tutela è apprestata dall’art. 2059 cod. civ., e non dall’art. 2043 cod. civ., che attiene esclusivamente alla tutela dei danni patrimoniali.

La Cassazione, seppur con un arresto nel 2008 circa l’estensione della qualificazione a numerose sottoclassificazioni che si sono succedute relative al danno non patrimoniale (biologico, tanatologico, esistenziale, psichico, ecc.), ha comunque esteso la risarcibilità del danno non patrimoniale ad ogni caso di danno alla persona in generale, anche se non previsto per legge, argomentando sulla base della tutela costituzionale della persona. La nozione di responsabilità civile ha, infatti, subìto un’evoluzione in giurisprudenza che dalla tutela risarcitoria solo in presenza di violazione del diritto soggettivo, è arrivata ad ammetterla in presenza di violazione di qualsiasi situazione di fatto giuridicamente rilevante e quindi violazione del generale dovere del neminem laedere (e quindi risarcimento danno anche integrativo o sostitutivo, purché ingiusto). Il danno non patrimoniale rappresenta sicché una categoria unitaria, precludendo e rendendo inutile l’indagine sulla riscontrabilità di un tipo di danno piuttosto che un altro, purché in presenza di conseguenze pregiudizievoli e lesive dell’integrità psicofisica dell’individuo (danno – si ribadisce – ingiusto). Le SSUU hanno precisato che restano fuori dalla risarcibilità i c.d. danni bagatellari (nocumenti di minor entità), operando un filtro sulla gravità della lesione.

Superata la questione circa l’ammissibilità di un risarcimento del danno non patrimoniale, risulta fondamentale e conseguente la distinzione tra tutela reale e tutela aquiliana: l’assolutezza dei diritti reali indica infatti la tutelabilità di tali diritti nella vita di relazione e la conseguente esperibilità di essa nei confronti di chiunque lo contesti o lo pregiudichi o sia destinatario dei suoi effetti. I diritti reali sono assistiti da rimedi che prescindono dall’illecito contrattuale (vedi azione di rivendica sopramenzionata), in quanto presuppongono in ogni caso una situazione obiettiva di antigiuridicità, consistente nella violazione del dovere di rispetto di tali diritti e si azionano sempre contro ingerenze altrui (e la cui tutela prescinde dalla circostanza della trascrizione, come si è dibattuto, che comporta una inopponibilità relativa e risolve il conflitto tra titoli assoggettabili al medesimo onere pubblicitario, ma non mette in discussione il dovere di non ingerenza da parte dei consociati, che restano in ogni caso tenuti al risarcimento dell’eventuale danno). A prescindere dai caratteri generali e comuni del danno non patrimoniale, di cui si tratterà in seguito, la lesione dell’altrui diritto di proprietà mediante fatti dolosi o colposi integra la classica ipotesi di danno ingiusto (come per i diritti reali di godimento, laddove però essa dà luogo a distinte pretese risarcitorie in ragione del valore dei rispettivi diritti): l’azione di responsabilità contro l’illecito civile non va confusa con le azioni a tutela della proprietà, che consentono al proprietario rimedi recuperativi che prescindono dal carattere illecito dell’ingerenza del terzo, invece richiesto sia a titolo doloso che colposo dal diritto al risarcimento del danno.

C’è da verificare quindi come si articola la tutela aquiliana limitatamente al diritto di proprietà e alle eventuali situazioni di fatto non tradizionali, che vengono comunque rientrare nell’alveo di tale tutela, alla sua stessa stregua e che possono essere qualificate in ogni caso – come si è argomentato - situazioni giuridiche reali piene.

La tutela aquiliana è azionabile a tutela dei diritti fondamentali, della libertà negoziale , dell’ambiente, fino al diritto di proprietà. Vanno considerate equiparate al diritto di proprietà anche quelle situazioni di proprietà sostanziale che si riscontrano nell’acquirente con riservato dominio e del locatario finanziario, dove il risarcimento è dovuto al compratore o al locatario perché il danno si ripercuote direttamente sulla loro sfera giuridica.

Una prima differenza sostanziale tra tutela reale e tutela aquiliana nel diritto di proprietà si ravvisa nel fatto che, mentre l’azione di rivendicazione e quella negatoria sono tese a contrastare comportamenti volti a mettere in discussione la titolarità del diritto di proprietà, la tutela aquiliana è invocabile, salve alcune ipotesi particolari, solo in presenza di atti che pregiudichino i diritti del proprietario senza, però contestare la titolarità dello stesso. Inoltre, l’azione reale ha ad oggetto principalmente l’accertamento della proprietà, atteso che l’art. 948 cod. civ., introdurrebbe un’azione che è, al contempo petitoria – in quanto volta a chiedere l’accertamento della proprietà – e di condanna alla restituzione del bene dal quale il soggetto è stato spossessato. In questo l’azione reale si differenzia da quella personale ex art. 2043 c.c. laddove l’oggetto del giudizio è la prova del danno ingiusto provocata da un soggetto al proprietario, la cui titolarità del diritto non è messa in discussione. La difesa della parte che pretenda di essere proprietario del bene in contestazione, non è idonea a trasformare in reale l’azione personale proposta nei suoi confronti, atteso che, per un verso, la controversia va decisa con esclusivo riferimento alla pretesa dedotta. Questo rigoroso impianto probatorio si attenua solo laddove il bene in contestazione provenga pacificamente da un dante causa comune ai due litiganti o qualora l’unicità del dante causa venga contestato in modo generico e immotivato, o senza il conforto di prove specifiche e pertinenti. Ai fini del risarcimento del danno ex art. 2043, invece, sarà sufficiente la dimostrazione dell’acquisto a titolo derivativo oppure la prova che il proprio legittimo possesso sia stato inciso dall’altrui condotta di spossessamento: l’azione aquiliana ex art. 2043 c.c., infatti, essendo finalizzata a censurare un danno ingiusto con conseguente richiesta di risarcimento del danno, richiede la dimostrazione del comportamento soggettivamente riprovevole di colui che ha spossessato il proprietario. L’ordinamento tutela in varie forme e sfumature anche i titolari degli altri diritti (reali di godimento, di credito, di garanzia, ecc.), o quelli minori (sulla proprietà intellettuale, brevetti, diritti d’autore e opere dell’ingegno) nonché le situazioni di fatto, quali il possesso (che non è un diritto e che non si identifica né presuppone una effettiva disponibilità del bene da parte del titolare ed ha natura provvisoria) o la detenzione qualificata (che non è un diritto, si sostanzia nell’effettiva disponibilità del bene da parte del titolare ed ha anch’essa natura provvisoria), seppure in forma più semplice, avente a fondamento l’interesse sociale alla convivenza pacifica (azione di reintegrazione, di manutenzione e di nunciazione). Ovviamente questi tipi di tutela hanno implicazioni problematiche (circa la necessità che ricorrano gli estremi della tutela possessoria, il diverso contenuto della pretesa risarcitoria, ecc.

Sebbene tale responsabilità sia stata inizialmente esclusa da parte di dottrina e giurisprudenza, allo stato attuale se sussiste il danno ingiusto - o contra jus, la relativa condotta antigiuridica rileva ex art. 2043 cod. civ. in quanto viola interessi protetti anche quando sono rappresentati da situazioni di fatto, indipendentemente dalla titolarità del relativo diritto. L’ingiustizia del danno che l’art. 2043 cod. civ., assume quale componente essenziale della fattispecie di responsabilità civile va intesa nella duplice accezione di danno prodotto non jure e contra jus: non jure nel senso che il fatto produttivo del danno non debba essere altrimenti giustificato dall’ordinamento giuridico; contra jus nel senso che il fatto debba ledere una situazione soggettiva riconosciuta e garantita dall’ordinamento medesimo, nella forma del diritto soggettivo. Pertanto, mentre restano fuori dalla sfera di protezione dell’art. 2043 cod. civ. quegli interessi che non siano assurti al rango di diritti soggettivi, non può assumersi quale criterio determinante per ammettere o negare la tutela aquiliana, la distinzione tra diritti assoluti, diritti relativi e interessi legittimi.

Per quel che riguarda questi ultimi e la sfera pubblicistica (la problematica dell’espropriazione per pubblica utilità, dell’occupazione appropriativa, dell’accessione invertita laddove illecite o illegittime, violazione altrui delle norme dell’edilizia, ecc.), ad esempio, affinché il proprietario possa vedersi riconosciuto, in aggiunta all’indennità di occupazione legittima e all’indennità di asservimento (oppure al risarcimento per l’indebita costruzione dell’opera), il risarcimento del danno per occupazione illegittima, occorre che, ad una prima fase temporale di totale indisponibilità del bene, coperto dal decreto di occupazione d’urgenza, ne sia seguito un’altra, anch’essa di totale indisponibilità, non giustificata da tale provvedimento, per essere scaduto il relativo termine senza che si sia perfezionata la procedura lato sensu ablatoria o che sia stata realizzata l’opera prevista, nonché che, scaduto quel termine, che il fondo, non sia stato restituito al proprietario, soltanto in tal caso rendendosi necessario, ai fini della completa reintegrazione patrimoniale, ristorare il privato delle perdite subite nel periodo di occupazione abusiva e fino al momento della definitiva diminuzione patrimoniale causatagli dall’asservimento de iure di detto fondo o, comunque, dalla costruzione dell’opera. Oppure, il risarcimento del danno che compete al proprietario del fondo illegittimamente occupato e destinato ad opera pubblica non può soffrire alcuna limitazione in dipendenza dei vantaggi che derivano al fondo residuo dalla realizzazione dell’opera (cosiddetta compensatio lucri cum damno), poiché il danno patito dal proprietario spossessato consegue direttamente e immediatamente al fatto illecito costituito dall’occupazione illegittima, in ciò concretandosi ed esaurendosi la fattispecie lesiva del diritto dominicale; mentre il vantaggio, conseguente all’aumento di valore del fondo residuo, si ricollega all’esecuzione dell’opera pubblica, ossia ad un fatto diverso e successivo rispetto a quello produttivo del danno. In tema di occupazione c.d. usurpativa, la perdita della proprietà da parte del privato non è conseguenza dell’accessione invertita; è, invece, l’opzione del proprietario per una tutela risarcitoria, al posto della – comunque - possibile tutela restitutoria, a comportare un’implicita rinuncia al diritto dominicale sul fondo irreversibilmente trasformato, senza che da ciò consegua, quale effetto automatico, l’acquisto della proprietà del fondo da parte della PA.

In linea generale, in caso di domanda di risarcimento dei danni, proposta nei confronti della P.a. al fine di stabilire se la fattispecie concreta integra un’ipotesi di responsabilità extracontrattuale ex art. 2043 cod. civ. il giudice deve procedere, in ordine successivo, a svolgere le seguenti indagini: a) accertare la sussistenza di un evento dannoso; b) stabilire se l’accertato danno sia qualificabile come danno ingiusto, in relazione alla sua incidenza su un interesse rilevante per l’ordinamento, tale essendo l’interesse indifferentemente tutelato nelle forme del diritto soggettivo (assoluto o relativo), dell’interesse legittimo (funzionale alla protezione di un determinato bene della vita, la cui lesione rileva ai fini in esame) o dell’interesse di altro tipo, pur se non immediato oggetto di tutela in quanto dall’ordinamento preso in considerazione a fini diversi da quelli risarcitori (e quindi comunque non qualificabile come interesse di mero fatto); c) accertare sotto il profilo causale, facendo applicazione dei noti criteri generali, se l’evento dannoso sia riferibile ad una condotta (positiva od omissiva) della PA; d) stabilire se l’evento dannoso sia imputabile a dolo o colpa di quest’ultima, non trovando al riguardo applicazione il principio secondo cui la colpa della struttura pubblica dovrebbe considerarsi sussistente in re ipsa in caso di esecuzione volontaria di atto amministrativo illegittimo. Nel contesto ermeneutico di alcune sentenze della Corte costituzionale dichiarative della illegittimità costituzionale di nuove ipotesi legislative di giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo in materia urbanistico-edilizia ed espropriativa, se estese a comportamenti non riconducibili nemmeno mediatamente all’esercizio di un pubblico potere, devono ascriversi alla giurisdizione del GO le controversie in tema di riduzione in pristino e risarcimento del danno da comportamenti causativi di danno ingiusto e perpetrati in carenza assoluta di potere (come nel caso di occupazione di mero fatto del suolo privato e conseguente irreversibile trasformazione, in assenza di dichiarazione di pubblica utilità - c.d. occupazione usurpativa), che si configurano un illecito a carattere permanente e lesivo di diritti soggettivi.

Per quanto riguarda la sfera privatistica, è esercitabile o meno la tutela aquiliana anche nelle altre situazioni giuridiche reali diverse dalla proprietà?

Per i diritti reali di godimento, in qualità di diritti assoluti, nulla quaestio. Stessa argomentazione per quel che riguarda diritti di proprietà intellettuale. Con riferimento all’azione promossa per ottenere il risarcimento del danno ai sensi dell’art. 158 della L. 1941/633 sulla protezione del diritto d’autore e di altri diritti connessi al suo esercizio, per configurare i presupposti per l’applicazione di tale norma, ed in particolare il danno da essa previsto, non occorre l’esistenza di un rapporto concorrenziale fra l’attività del soggetto che si assume danneggiante e l’attività del soggetto che si assume danneggiato, ancorché tali soggetti rivestano la qualità di imprenditori, poiché la lesione del diritto tutelato dalla suddetta norma giustifica di per sé l’azione risarcitoria, prescindendo dall’eventuale integrazione di una fattispecie di concorrenza sleale, costituendo tale illecito una specificazione della norma generale dell’art. 2043 cod. civ. La concreta sussistenza di un danno risarcibile va accertata secondo i criteri che governano la responsabilità aquiliana e, quindi, con l’impiego anche di presunzioni ed il ricorso, in ordine alla quantificazione del danno, alla valutazione equitativa, qualora di essa si ravvisino i presupposti.

La tutela aquiliana del credito è ipotizzabile e comunemente ammessa come perdita del diritto e come inadempimento provocato dal terzo, mentre non è univoca in dottrina e giurisprudenza la configurabilità del danno ingiusto quando il terzo ostacoli o renda impossibile l’adempimento. L’area di applicazione della responsabilità extracontrattuale per la lesione del diritto di credito va, quindi, circoscritta ai danni che hanno direttamente inciso sull’interesse oggetto del diritto.

Quanto ai diritti reali di garanzia non si prevede da parte della legge una pretesa risarcitoria del creditore nei confronti del terzo che distrugga o deteriori l’oggetto del pegno o dell’ipoteca, in quanto essi rappresentano diritti strumentali alla realizzazione di un diritto di credito (e il danno lamentato riguarda, in buona sostanza, proprio il mancato soddisfacimento di tale diritto): in tali casi il codice prevede piuttosto che l’indennità dovuta dall’assicuratore si surroghi alla res, restando vincolata al soddisfacimento dei creditori pignoratizi e ipotecari (simile surrogazione viene prevista per gli indennizzi dovuto a causa di espropriazione per pubblica utilità, servitù coattive e comunioni forzose).

Quanto, infine, al possesso e alla detenzione qualificati, le posizioni della dottrina circa l’ammissibilità di un danno ingiusto, sono principalmente tre: una propende per la soluzione negativa, escludendo che la lesione di una situazione di fatato possa qualificarsi come ingiusta e dar luogo ad un risarcimento del danno. Un secondo orientamento lo ammette in funzione di reintegrazione del possesso: la tutela possessoria si traduce in rimessione in pristino, comprendente il diritto ad avere l’equivalente del mancato o turbato godimento possessorio del bene. La terza posizione ravvisa nella lesione del possesso un danno ingiusto, fonte perciò di responsabilità extracontrattuale. Questa terza posizione è seguita dalla giurisprudenza e risponde all’esigenza di non far subire al possessore le conseguenze economiche negative dello spoglio o delle turbative altrui, fatti che l’ordinamento valuta negativamente sancendone la repressione mediante l’apposito rimedio delle azioni possessorie cui pertanto si aggiunge quello del risarcimento del danno (di un interesse giuridicamente tutelato nella vita di relazione) anche nell’ipotesi di distruzione o danneggiamento della cosa, pur esercitando il possessore un potere solo materiale sulla cosa e non avendo titolarità o diritto tutelato erga omnes su di essa, purché dimostri di avere titolo al godimento del bene per un certo periodo di tempo. Il diritto al risarcimento dei danni può spettare quindi anche a colui il quale, per circostanze contingenti, si trovi ad esercitare un potere soltanto materiale sulla cosa e, dal danneggiamento di questa, possa risentire un pregiudizio al suo patrimonio, indipendentemente dal diritto, reale o personale sul bene di cui dispone

In tema di reintegrazione nel possesso, il venir meno della ragion d’essere della tutela possessoria per intervenuta decadenza rende inammissibile anche il risarcimento del danno derivante da un comportamento lesivo che tragga origine dallo spoglio, che è in tal caso soltanto un profilo della tutela accordata dall’ordinamento al diritto soggetto del leso al fine di assicurarne la piena reintegrazione. Ne consegue che l’azione per il risarcimento del danno ha natura possessoria quando il danno consista nella sola lesione del possesso, e quindi soggiace alle regole dettate per quella tutela in ordine al termine di decadenza per proporla, mentre non ha natura possessoria, e rientra nella previsione generale dell’art. 2043 cod. civ., sottraendosi quindi a quelle regole, quando si lamenti anche la lesione di altri diritti del possessore, sicché la privazione del possesso non esaurisca il danno, ma si presenti come causa di altre lesioni patrimoniali subite in via derivativa dallo spogliato.

In materia di immissioni, le due azioni di cui agli artt. 844 e 2043 cod. civ. hanno diverso ambito operativo, atteso che la prima norma impone, nei limiti della normale tollerabilità e dell’eventuale contemperamento delle esigenze della produzione con le ragioni della proprietà, l’obbligo di sopportazione delle propagazioni inevitabili determinate dall’uso della proprietà attuato nel contesto delle norme generali e speciali che ne disciplinano l’esercizio. Ove risultino superati tali limiti, si è in presenza di un’attività illegittima, di fronte alla quale non ha ragion d’essere l’imposizione di un sacrificio all’altrui diritto di proprietà o di godimento e non sono quindi applicabili i criteri da tale norma dettati ma, venendo in considerazione in detta ipotesi unicamente l’illiceità del fatto generatore del danno arrecato a terzi, si rientra nello schema dell’azione generale di risarcimento danni di cui all’art. 2043 cod. civ., che può essere proposta anche cumulativamente con l’azione ex art. 844 cod. civ.

Nel caso di responsabilità aquiliana, il risarcimento del danno in forma specifica non può mai cumularsi col risarcimento per equivalente, salvo il ristoro di eventuali ulteriori pregiudizi subiti dal danneggiato, pena la violazione del generale principio in virtù del quale il risarcimento non può mai trasformarsi in una fonte di arricchimento per la vittima: pertanto il proprietario di un immobile condominiale danneggiato da infiltrazioni, ove il condominio abbia provveduto a rifondergli le spese necessarie per il restauro, non può pretendere anche il risarcimento del danno da deprezzamento dell’immobile, a meno che non dimostri che, a restauro avvenuto, l’immobile abbia comunque perduto parte del suo valore.

Giova altresì ricordare che il diritto del proprietario di utilizzare e disporre della cosa in modo pieno ed esclusivo, e, quindi, ove si tratti di un fondo, di effettuare su di esso le opere che ritenga occorrenti per il suo migliore sfruttamento, resta soggetto al generale principio del neminem laedere. E’ configurabile una tutela aquiliana pertanto anche a carico del proprietario sia nel caso degli atti emulativi, vietati dall’art. 833 cod. civ. che  per opere realizzate senza l’osservanza delle comuni regole di diligenza e prudenza, ove esse arrechino pregiudizio a terzi, ivi incluso il proprietario del fondo limitrofo.

La tutela aquiliana delle situazioni reali piene, anche con riferimento al danno non patrimoniale

 

Il nostro ordinamento non dà una definizione delle posizioni o situazioni giuridiche soggettive, la cui nozione va rinvenuta nella teoria generale, che le struttura in attive (poteri, facoltà, qualifiche, pretese, interessi e aspettative) e passive (doveri, obblighi, soggezioni e oneri) concesse le prime o gravanti le seconde su un soggetto. Nella simmetria tra le due situazioni si sostanzia ed articola l’essenza del rapporto giuridico.

Tra le situazioni giuridiche soggettive, in qualità di posizioni ideali del soggetto giuridicamente rilevanti, i diritti soggettivi acquistano un’importanza prevalente. Essi presentano un elemento formale (il contenuto ovvero la posizione del titolare) e uno funzionale (l’interesse in ragione del quale il diritto è costituito). Essi possono classificarsi in diritti patrimoniali (che tutelano interessi economici o valutabili in denaro) e non patrimoniali (morali, c.d. personalissimi come il diritto alla vita); in diritti assoluti (che impongono una generale soggezione a favore del titolare ed un generale obbligo negativo di non turbare o violare tali diritti, come il diritto di proprietà, i diritti di famiglia, tutti i diritti reali o i diritti della libertà nel campo pubblicistico) o relativi (in personam, che circoscrivono tale soggezione a una o più persone determinate, come avviene nei diritti di obbligazione); in diritti trasmissibili o intrasmissibili (perché originari, a prescindere dal loro carattere patrimoniale o non); in diritti reali (per così dire statici, i quali hanno per oggetto immediato una cosa, validi erga omnes, tipicamente previsti e regolati dalla legge e che si distinguono in reali e reali di godimento) e o di obbligazione/di credito (il cui rapporto è eminentemente personale tra debitore e creditore e il cui contenuto consiste nella pretesa di un soggetto alla prestazione di un altro o più soggetti, quindi con i caratteri della determinatezza e dinamicità). La caratteristica della realità è presente anche negli oneri o obbligazioni reali, che riguardano prestazioni e che hanno in comune coi diritti reali solo essa, ovvero il rapporto con la cosa, che negli oneri reali non è solo un mezzo per determinare la persona che deve fare la prestazione, ma anche il titolo – unico titolo peraltro – dell’obbligo di prestazione, mentre nelle obbligazioni propter rem o ob rem esso l’appartenenza del bene vale per individuare il soggetto che resta personalmente obbligato. Le obbligazioni propter rem sono caratterizzate dal requisito della tipicità, con la conseguenza che esse possono sorgere per contratto solo nei casi e col contenuto espressamente previsti dalla legge.

I diritti reali costituiscono di certo la categoria più importante dei diritti assoluti, non solo per il loro rilievo economico. A loro volta essi si distinguono a seconda che abbiano ad oggetto un bene proprio od altrui e se l’interesse realizzato sia quello di godere della cosa altrui (diritti reali di godimento come la superficie, l’uso, l’usufrutto, l’abitazione, l’enfiteusi e la servitù) o di costituirla in garanzia dell’adempimento di un’obbligazione (diritti reali di garanzia come il pegno o l’ipoteca).

A tutela dei diritti assoluti l’ordinamento riconosce e predispone una serie di mezzi per esercitare un’azione (preventiva se in autotutela o in giudizio se a lesione avvenuta o in corso del diritto sostanziale vantato). Ogniqualvolta infatti che un diritto assoluto viene leso, sorge in capo al soggetto che lede tale diritto, l’obbligo d risarcire il danno (e di conseguenza in capo al soggetto leso il diritto relativo di credito ad ottenere tale risarcimento). In realtà anche i c.d. interessi diffusi o collettivi, che hanno ad oggetto un bene o dei beni non suscettibili di appropriazione individuale, sono tutelati e legittimano all’azione risarcitoria, la cui competenza giurisdizionale è attribuita al GO (al GA in caso di class action): danni ambientali, tutela del consumatore, ecc.

A tutela dei diritti reali l’ordinamento prevede un’azione reale (actio in rem) esperibile contro chiunque, salva la determinazione di chi sia in concreto l’offensore del diritto, mentre per i diritti di obbligazione l’azione sarà in personam, ovvero diretta nei confronti del soggetto passivo del rapporto obbligatorio.

L’esclusività del diritto di proprietà e degli altri diritti reali (ius excludendi omnes alios), oltre ad impedire l’esistenza in capo ad altri dello stesso diritto, inviolabile a partire dai suoi confini, se non in comproprietà e per quote, fa sì che l’azione diretta a far valere tale diritto sia imprescrittibile e irrinunziabile (per il diritto di proprietà azione di rivendica, actio negatoria, azione di regolamento confini, per apposizione dei termini e di nunciazione, per il diritto di servitù actio confessoria).

Alla luce delle considerazioni fin qui effettuate alle situazioni reali possono perciò ricondursi sia i diritti tipici (c.d. numerus clausus), con le caratteristiche dell’inerenza (i cui corollari sono l’immediatezza e l’assolutezza), della realità (i cui corollari sono l’opponibilità a terzi, l’esclusività e lo ius sequalae) e dell’autosufficienza (possibilità per il titolare di esercitare il suo diritto sempre e indipendentemente dall’apporto di altri soggetti), sia le situazioni di fatto come possesso e detenzione qualificati, per quanto situazioni provvisorie e non tradizionali. In dottrina si è dibattuto se figure spurie come l’ipoteca o le servitù negative abbiano tutti i requisiti dei diritti reali, come l’immediatezza e l’assolutezza.

La questione più pregante ai fini della traccia è rappresentata dall’individuazione del significato di pienezza, la cui ricaduta in termini teorici, ma anche processuali, è rilevante. Tale termine non coincide con l’assolutezza, in quanto essa caratterizza tutti i diritti reali (anzi ne è elemento necessario) e anche diritti non reali (diritti di credito e responsabilità extracontrattuale per lesione di essi per quanto secondaria e limitata), ma al contempo non tutti i diritti reali sono pieni nel loro godimento, anzi ciò che distingue essenzialmente la proprietà dagli altri diritti reali è proprio il requisito della pienezza del diritto, cioè la generalità del potere di godimento e disposizione del bene, che attribuisce al proprietario ogni facoltà non esclusa dall’ordinamento sia per quanto riguarda la prima (godimento) che la seconda (disposizione) esplicazione di tale diritto.

Pienezza significa che la proprietà non conferisce specifiche facoltà, ma un potere che comprende la generalità delle forme di godimento e disposizione della res: le singole facoltà che in essa vanno distinte, sono solo delle estrinsecazioni di tale pienezza. Un ancoraggio normativo è rappresentato dal termine “… modo pieno ed esclusivo…” di cui all’art. 832 cod. civ. e giova sottolineare che vincoli eventuali di natura pubblicistica o privatistica non contraddicono tale caratteristica, in quanto comprimono la sfera del diritto ma non incidono nel suo contenuto, pur sempre di natura generale e pronto in ogni momento a riacquistare la massima estensione (la c.d. elasticità della proprietà, altro elemento distintivo rispetto agli altri diritti reali limitati).

Il risarcimento di un danno (da considerarsi classico debito di valore) è dovuto sia in caso di dolo o colpa (secondo la regola generale che lo fa derivare dal reato ex art. 185 cod. pen.) che a titolo di responsabilità indiretta o oggettiva o aggravata (secondo le regole speciali) e può avvenire sia in forma specifica (c.d. piena, che consente il raggiungimento o ripristino del bene della vita desiderato) che per equivalente (c.d. semipiena, che attribuisce un bene o un’utilità equivalente o succedaneo rispetto a quello desiderato). Poiché, come si vedrà più specificamente appresso, il risarcimento del danno da responsabilità aquiliana (da lex Aquilia del 287 a. C. che per prima disciplinò, nel diritto romano, la responsabilità ex delicto) ha la funzione di porre il patrimonio del danneggiato nello stesso stato in cui si sarebbe trovato se l’illecito non si fosse verificato, è da escludere la legittimità del ricorso alla reintegrazione in forma specifica qualora, per le circostanze del caso concreto, le spese necessarie ad essa sarebbero superiori rispetto alla somma alla quale avrebbe diritto il danneggiato ex art. 2056 cod. civ., in quanto in tal caso il danneggiato riceverebbe dalla reintegrazione una ingiustificata locupletazione. Tale responsabilità può essere contrattuale, pertanto basata su un negozio valido ed efficace e che sanziona l’inadempimento dell’obbligazione, od extra-contrattuale, c.d. aquiliana, ai sensi dell’art. 2043 cod. civ., responsabilità che grava su colui che, terzo rispetto ad un rapporto contrattuale o ad una situazione giuridica soggettiva esistente, abbia posto in essere fatti tali da rendere impossibile il soddisfacimento dell’interesse previsto nel rapporto o abbia violato il diritto di cui alla situazione suddetta, a prescindere da una specifica pretesa creditoria. Di regola, il danno risarcibile è solo quello patrimoniale, suscettibile cioè di valutazione economica, comprendente danno emergente e lucro cessante (danno futuro). Il principio a lungo imperante è stato quello della irrisarcibilità dei danni non patrimoniali, ispirato alla tradizionale concezione del diritto privato come ordinamento costituito a tutela di interessi economici, essendo quelli non economici irrilevanti. In seguito l’evoluzione di tale principio ha portato ad ammetterne la risarcibilità, ma richiedendo un forte controllo normativo volto ad evitare che il diritto al risarcimento diventasse occasione di abusi a carico del danneggiante, per poi emergere del tutto la preminenza dei valori della persona rispetto a quelli prettamente economico-patrimoniali che con tale prospettiva pan economica restavano privi di tutela. 

I danni non patrimoniali (c.d. morali) consistono non solo in sofferenze psichiche o fisiche del danneggiato, anche in lesioni di interessi aventi rilevanza sociale, e sono risarcibili solo nei casi previsti dalla legge e vengono liquidati dal giudice in via equitativa: ai sensi dell’art. 2059 cod. civ. fonte di responsabilità risarcitoria non patrimoniale può essere solo la lesione ingiusta di un diritto inviolabile concretamente individuato dalla legge. Essi non consistono in un’offesa inferta ad un interesse personale  del danneggiato in dipendenza di un illecito, bensì in evenienze pregiudizievoli che derivano, sul piano personale, al singolo, dalla lesione di un bene, indipendentemente dalla consistenza economica o non degli stessi, in quanto l’art. 2043 cod. civ., correlato agli artt. 2 e ss. Cost., va necessariamente esteso fino a ricomprendere il risarcimento non solo dei danni in senso stretto patrimoniali, ma di tutti i danni che almeno potenzialmente ostacolano le attività realizzatrici della persona umana, sicché la lesione di diritti di rilevanza costituzionale va incontro alla sanzione risarcitoria per il fatto in sé della lesione (danno evento), indipendentemente dalle eventuali ricadute patrimoniali che la stessa possa comportare (danno conseguenza) L’art. 2043 cod. civ. reca appunto una regola generale, atta a ricomprendere tutti i casi in cui, a causa di un fatto illecito colpevole, sia leso un interesse meritevole di tutela alla stregua dell’ordinamento giuridico, stabilendo un principio di atipicità dell’illecito patrimoniale, opposto a quello per i pregiudizi non economici (quindi dai diritti soggettivi agli interessi legittimi, alle situazioni di fatto). La norma in questione identifica gli elementi costitutivi della generale figura dell’illecito civile: il fatto; il dolo o la colpa; il danno ingiusto e il nesso di causalità tra il fatto e il danno. Nel sottosistema civilistico, il nesso di causalità (materiale) — la cui valutazione in sede civile è diversa da quella penale ove invece vale il criterio dell’elevato grado di credibilità razionale che è prossimo alla «certezza» — consiste anche nella relazione probabilistica concreta tra comportamento ed evento dannoso, secondo il criterio (ispirato alla regola della normalità causale) del più probabile che non; esso si distingue dall’indagine diretta all’individuazione delle singole conseguenze dannose (finalizzata a delimitare, a valle, i confini della già accertata responsabilità risarcitoria) e prescinde da ogni valutazione di prevedibilità o previsione da parte dell’autore, la quale va compiuta soltanto in una fase successiva ai fini dell’accertamento dell’elemento soggettivo (colpevolezza). Riportata la responsabilità aquiliana nell’ambito della bipolarità prevista dal codice tra danno patrimoniale (art. 2043 cod. civ.) e danno non patrimoniale (art. 2049 cod. civ.), e ritenuto che il danno non patrimoniale debba essere risarcito non solo nei casi previsti dalla legge ordinaria, ma anche nei casi di lesione di valori della persona umana costituzionalmente protetti, poiché il danno biologico, ogni danno che rientri a pieno titolo tra i valori della persona umana considerati inviolabili dalla Costituzione, la sua tutela è apprestata dall’art. 2059 cod. civ., e non dall’art. 2043 cod. civ., che attiene esclusivamente alla tutela dei danni patrimoniali.

La Cassazione, seppur con un arresto nel 2008 circa l’estensione della qualificazione a numerose sottoclassificazioni che si sono succedute relative al danno non patrimoniale (biologico, tanatologico, esistenziale, psichico, ecc.), ha comunque esteso la risarcibilità del danno non patrimoniale ad ogni caso di danno alla persona in generale, anche se non previsto per legge, argomentando sulla base della tutela costituzionale della persona. La nozione di responsabilità civile ha, infatti, subìto un’evoluzione in giurisprudenza che dalla tutela risarcitoria solo in presenza di violazione del diritto soggettivo, è arrivata ad ammetterla in presenza di violazione di qualsiasi situazione di fatto giuridicamente rilevante e quindi violazione del generale dovere del neminem laedere (e quindi risarcimento danno anche integrativo o sostitutivo, purché ingiusto). Il danno non patrimoniale rappresenta sicché una categoria unitaria, precludendo e rendendo inutile l’indagine sulla riscontrabilità di un tipo di danno piuttosto che un altro, purché in presenza di conseguenze pregiudizievoli e lesive dell’integrità psicofisica dell’individuo (danno – si ribadisce – ingiusto). Le SSUU hanno precisato che restano fuori dalla risarcibilità i c.d. danni bagatellari (nocumenti di minor entità), operando un filtro sulla gravità della lesione.

Superata la questione circa l’ammissibilità di un risarcimento del danno non patrimoniale, risulta fondamentale e conseguente la distinzione tra tutela reale e tutela aquiliana: l’assolutezza dei diritti reali indica infatti la tutelabilità di tali diritti nella vita di relazione e la conseguente esperibilità di essa nei confronti di chiunque lo contesti o lo pregiudichi o sia destinatario dei suoi effetti. I diritti reali sono assistiti da rimedi che prescindono dall’illecito contrattuale (vedi azione di rivendica sopramenzionata), in quanto presuppongono in ogni caso una situazione obiettiva di antigiuridicità, consistente nella violazione del dovere di rispetto di tali diritti e si azionano sempre contro ingerenze altrui (e la cui tutela prescinde dalla circostanza della trascrizione, come si è dibattuto, che comporta una inopponibilità relativa e risolve il conflitto tra titoli assoggettabili al medesimo onere pubblicitario, ma non mette in discussione il dovere di non ingerenza da parte dei consociati, che restano in ogni caso tenuti al risarcimento dell’eventuale danno). A prescindere dai caratteri generali e comuni del danno non patrimoniale, di cui si tratterà in seguito, la lesione dell’altrui diritto di proprietà mediante fatti dolosi o colposi integra la classica ipotesi di danno ingiusto (come per i diritti reali di godimento, laddove però essa dà luogo a distinte pretese risarcitorie in ragione del valore dei rispettivi diritti): l’azione di responsabilità contro l’illecito civile non va confusa con le azioni a tutela della proprietà, che consentono al proprietario rimedi recuperativi che prescindono dal carattere illecito dell’ingerenza del terzo, invece richiesto sia a titolo doloso che colposo dal diritto al risarcimento del danno.

C’è da verificare quindi come si articola la tutela aquiliana limitatamente al diritto di proprietà e alle eventuali situazioni di fatto non tradizionali, che vengono comunque rientrare nell’alveo di tale tutela, alla sua stessa stregua e che possono essere qualificate in ogni caso – come si è argomentato - situazioni giuridiche reali piene.

La tutela aquiliana è azionabile a tutela dei diritti fondamentali, della libertà negoziale , dell’ambiente, fino al diritto di proprietà. Vanno considerate equiparate al diritto di proprietà anche quelle situazioni di proprietà sostanziale che si riscontrano nell’acquirente con riservato dominio e del locatario finanziario, dove il risarcimento è dovuto al compratore o al locatario perché il danno si ripercuote direttamente sulla loro sfera giuridica.

Una prima differenza sostanziale tra tutela reale e tutela aquiliana nel diritto di proprietà si ravvisa nel fatto che, mentre l’azione di rivendicazione e quella negatoria sono tese a contrastare comportamenti volti a mettere in discussione la titolarità del diritto di proprietà, la tutela aquiliana è invocabile, salve alcune ipotesi particolari, solo in presenza di atti che pregiudichino i diritti del proprietario senza, però contestare la titolarità dello stesso. Inoltre, l’azione reale ha ad oggetto principalmente l’accertamento della proprietà, atteso che l’art. 948 cod. civ., introdurrebbe un’azione che è, al contempo petitoria – in quanto volta a chiedere l’accertamento della proprietà – e di condanna alla restituzione del bene dal quale il soggetto è stato spossessato. In questo l’azione reale si differenzia da quella personale ex art. 2043 c.c. laddove l’oggetto del giudizio è la prova del danno ingiusto provocata da un soggetto al proprietario, la cui titolarità del diritto non è messa in discussione. La difesa della parte che pretenda di essere proprietario del bene in contestazione, non è idonea a trasformare in reale l’azione personale proposta nei suoi confronti, atteso che, per un verso, la controversia va decisa con esclusivo riferimento alla pretesa dedotta. Questo rigoroso impianto probatorio si attenua solo laddove il bene in contestazione provenga pacificamente da un dante causa comune ai due litiganti o qualora l’unicità del dante causa venga contestato in modo generico e immotivato, o senza il conforto di prove specifiche e pertinenti. Ai fini del risarcimento del danno ex art. 2043, invece, sarà sufficiente la dimostrazione dell’acquisto a titolo derivativo oppure la prova che il proprio legittimo possesso sia stato inciso dall’altrui condotta di spossessamento: l’azione aquiliana ex art. 2043 c.c., infatti, essendo finalizzata a censurare un danno ingiusto con conseguente richiesta di risarcimento del danno, richiede la dimostrazione del comportamento soggettivamente riprovevole di colui che ha spossessato il proprietario. L’ordinamento tutela in varie forme e sfumature anche i titolari degli altri diritti (reali di godimento, di credito, di garanzia, ecc.), o quelli minori (sulla proprietà intellettuale, brevetti, diritti d’autore e opere dell’ingegno) nonché le situazioni di fatto, quali il possesso (che non è un diritto e che non si identifica né presuppone una effettiva disponibilità del bene da parte del titolare ed ha natura provvisoria) o la detenzione qualificata (che non è un diritto, si sostanzia nell’effettiva disponibilità del bene da parte del titolare ed ha anch’essa natura provvisoria), seppure in forma più semplice, avente a fondamento l’interesse sociale alla convivenza pacifica (azione di reintegrazione, di manutenzione e di nunciazione). Ovviamente questi tipi di tutela hanno implicazioni problematiche (circa la necessità che ricorrano gli estremi della tutela possessoria, il diverso contenuto della pretesa risarcitoria, ecc.

Sebbene tale responsabilità sia stata inizialmente esclusa da parte di dottrina e giurisprudenza, allo stato attuale se sussiste il danno ingiusto - o contra jus, la relativa condotta antigiuridica rileva ex art. 2043 cod. civ. in quanto viola interessi protetti anche quando sono rappresentati da situazioni di fatto, indipendentemente dalla titolarità del relativo diritto. L’ingiustizia del danno che l’art. 2043 cod. civ., assume quale componente essenziale della fattispecie di responsabilità civile va intesa nella duplice accezione di danno prodotto non jure e contra jus: non jure nel senso che il fatto produttivo del danno non debba essere altrimenti giustificato dall’ordinamento giuridico; contra jus nel senso che il fatto debba ledere una situazione soggettiva riconosciuta e garantita dall’ordinamento medesimo, nella forma del diritto soggettivo. Pertanto, mentre restano fuori dalla sfera di protezione dell’art. 2043 cod. civ. quegli interessi che non siano assurti al rango di diritti soggettivi, non può assumersi quale criterio determinante per ammettere o negare la tutela aquiliana, la distinzione tra diritti assoluti, diritti relativi e interessi legittimi.

Per quel che riguarda questi ultimi e la sfera pubblicistica (la problematica dell’espropriazione per pubblica utilità, dell’occupazione appropriativa, dell’accessione invertita laddove illecite o illegittime, violazione altrui delle norme dell’edilizia, ecc.), ad esempio, affinché il proprietario possa vedersi riconosciuto, in aggiunta all’indennità di occupazione legittima e all’indennità di asservimento (oppure al risarcimento per l’indebita costruzione dell’opera), il risarcimento del danno per occupazione illegittima, occorre che, ad una prima fase temporale di totale indisponibilità del bene, coperto dal decreto di occupazione d’urgenza, ne sia seguito un’altra, anch’essa di totale indisponibilità, non giustificata da tale provvedimento, per essere scaduto il relativo termine senza che si sia perfezionata la procedura lato sensu ablatoria o che sia stata realizzata l’opera prevista, nonché che, scaduto quel termine, che il fondo, non sia stato restituito al proprietario, soltanto in tal caso rendendosi necessario, ai fini della completa reintegrazione patrimoniale, ristorare il privato delle perdite subite nel periodo di occupazione abusiva e fino al momento della definitiva diminuzione patrimoniale causatagli dall’asservimento de iure di detto fondo o, comunque, dalla costruzione dell’opera. Oppure, il risarcimento del danno che compete al proprietario del fondo illegittimamente occupato e destinato ad opera pubblica non può soffrire alcuna limitazione in dipendenza dei vantaggi che derivano al fondo residuo dalla realizzazione dell’opera (cosiddetta compensatio lucri cum damno), poiché il danno patito dal proprietario spossessato consegue direttamente e immediatamente al fatto illecito costituito dall’occupazione illegittima, in ciò concretandosi ed esaurendosi la fattispecie lesiva del diritto dominicale; mentre il vantaggio, conseguente all’aumento di valore del fondo residuo, si ricollega all’esecuzione dell’opera pubblica, ossia ad un fatto diverso e successivo rispetto a quello produttivo del danno. In tema di occupazione c.d. usurpativa, la perdita della proprietà da parte del privato non è conseguenza dell’accessione invertita; è, invece, l’opzione del proprietario per una tutela risarcitoria, al posto della – comunque - possibile tutela restitutoria, a comportare un’implicita rinuncia al diritto dominicale sul fondo irreversibilmente trasformato, senza che da ciò consegua, quale effetto automatico, l’acquisto della proprietà del fondo da parte della PA.

In linea generale, in caso di domanda di risarcimento dei danni, proposta nei confronti della P.a. al fine di stabilire se la fattispecie concreta integra un’ipotesi di responsabilità extracontrattuale ex art. 2043 cod. civ. il giudice deve procedere, in ordine successivo, a svolgere le seguenti indagini: a) accertare la sussistenza di un evento dannoso; b) stabilire se l’accertato danno sia qualificabile come danno ingiusto, in relazione alla sua incidenza su un interesse rilevante per l’ordinamento, tale essendo l’interesse indifferentemente tutelato nelle forme del diritto soggettivo (assoluto o relativo), dell’interesse legittimo (funzionale alla protezione di un determinato bene della vita, la cui lesione rileva ai fini in esame) o dell’interesse di altro tipo, pur se non immediato oggetto di tutela in quanto dall’ordinamento preso in considerazione a fini diversi da quelli risarcitori (e quindi comunque non qualificabile come interesse di mero fatto); c) accertare sotto il profilo causale, facendo applicazione dei noti criteri generali, se l’evento dannoso sia riferibile ad una condotta (positiva od omissiva) della PA; d) stabilire se l’evento dannoso sia imputabile a dolo o colpa di quest’ultima, non trovando al riguardo applicazione il principio secondo cui la colpa della struttura pubblica dovrebbe considerarsi sussistente in re ipsa in caso di esecuzione volontaria di atto amministrativo illegittimo. Nel contesto ermeneutico di alcune sentenze della Corte costituzionale dichiarative della illegittimità costituzionale di nuove ipotesi legislative di giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo in materia urbanistico-edilizia ed espropriativa, se estese a comportamenti non riconducibili nemmeno mediatamente all’esercizio di un pubblico potere, devono ascriversi alla giurisdizione del GO le controversie in tema di riduzione in pristino e risarcimento del danno da comportamenti causativi di danno ingiusto e perpetrati in carenza assoluta di potere (come nel caso di occupazione di mero fatto del suolo privato e conseguente irreversibile trasformazione, in assenza di dichiarazione di pubblica utilità - c.d. occupazione usurpativa), che si configurano un illecito a carattere permanente e lesivo di diritti soggettivi.

Per quanto riguarda la sfera privatistica, è esercitabile o meno la tutela aquiliana anche nelle altre situazioni giuridiche reali diverse dalla proprietà?

Per i diritti reali di godimento, in qualità di diritti assoluti, nulla quaestio. Stessa argomentazione per quel che riguarda diritti di proprietà intellettuale. Con riferimento all’azione promossa per ottenere il risarcimento del danno ai sensi dell’art. 158 della L. 1941/633 sulla protezione del diritto d’autore e di altri diritti connessi al suo esercizio, per configurare i presupposti per l’applicazione di tale norma, ed in particolare il danno da essa previsto, non occorre l’esistenza di un rapporto concorrenziale fra l’attività del soggetto che si assume danneggiante e l’attività del soggetto che si assume danneggiato, ancorché tali soggetti rivestano la qualità di imprenditori, poiché la lesione del diritto tutelato dalla suddetta norma giustifica di per sé l’azione risarcitoria, prescindendo dall’eventuale integrazione di una fattispecie di concorrenza sleale, costituendo tale illecito una specificazione della norma generale dell’art. 2043 cod. civ. La concreta sussistenza di un danno risarcibile va accertata secondo i criteri che governano la responsabilità aquiliana e, quindi, con l’impiego anche di presunzioni ed il ricorso, in ordine alla quantificazione del danno, alla valutazione equitativa, qualora di essa si ravvisino i presupposti.

La tutela aquiliana del credito è ipotizzabile e comunemente ammessa come perdita del diritto e come inadempimento provocato dal terzo, mentre non è univoca in dottrina e giurisprudenza la configurabilità del danno ingiusto quando il terzo ostacoli o renda impossibile l’adempimento. L’area di applicazione della responsabilità extracontrattuale per la lesione del diritto di credito va, quindi, circoscritta ai danni che hanno direttamente inciso sull’interesse oggetto del diritto.

Quanto ai diritti reali di garanzia non si prevede da parte della legge una pretesa risarcitoria del creditore nei confronti del terzo che distrugga o deteriori l’oggetto del pegno o dell’ipoteca, in quanto essi rappresentano diritti strumentali alla realizzazione di un diritto di credito (e il danno lamentato riguarda, in buona sostanza, proprio il mancato soddisfacimento di tale diritto): in tali casi il codice prevede piuttosto che l’indennità dovuta dall’assicuratore si surroghi alla res, restando vincolata al soddisfacimento dei creditori pignoratizi e ipotecari (simile surrogazione viene prevista per gli indennizzi dovuto a causa di espropriazione per pubblica utilità, servitù coattive e comunioni forzose).

Quanto, infine, al possesso e alla detenzione qualificati, le posizioni della dottrina circa l’ammissibilità di un danno ingiusto, sono principalmente tre: una propende per la soluzione negativa, escludendo che la lesione di una situazione di fatato possa qualificarsi come ingiusta e dar luogo ad un risarcimento del danno. Un secondo orientamento lo ammette in funzione di reintegrazione del possesso: la tutela possessoria si traduce in rimessione in pristino, comprendente il diritto ad avere l’equivalente del mancato o turbato godimento possessorio del bene. La terza posizione ravvisa nella lesione del possesso un danno ingiusto, fonte perciò di responsabilità extracontrattuale. Questa terza posizione è seguita dalla giurisprudenza e risponde all’esigenza di non far subire al possessore le conseguenze economiche negative dello spoglio o delle turbative altrui, fatti che l’ordinamento valuta negativamente sancendone la repressione mediante l’apposito rimedio delle azioni possessorie cui pertanto si aggiunge quello del risarcimento del danno (di un interesse giuridicamente tutelato nella vita di relazione) anche nell’ipotesi di distruzione o danneggiamento della cosa, pur esercitando il possessore un potere solo materiale sulla cosa e non avendo titolarità o diritto tutelato erga omnes su di essa, purché dimostri di avere titolo al godimento del bene per un certo periodo di tempo. Il diritto al risarcimento dei danni può spettare quindi anche a colui il quale, per circostanze contingenti, si trovi ad esercitare un potere soltanto materiale sulla cosa e, dal danneggiamento di questa, possa risentire un pregiudizio al suo patrimonio, indipendentemente dal diritto, reale o personale sul bene di cui dispone

In tema di reintegrazione nel possesso, il venir meno della ragion d’essere della tutela possessoria per intervenuta decadenza rende inammissibile anche il risarcimento del danno derivante da un comportamento lesivo che tragga origine dallo spoglio, che è in tal caso soltanto un profilo della tutela accordata dall’ordinamento al diritto soggetto del leso al fine di assicurarne la piena reintegrazione. Ne consegue che l’azione per il risarcimento del danno ha natura possessoria quando il danno consista nella sola lesione del possesso, e quindi soggiace alle regole dettate per quella tutela in ordine al termine di decadenza per proporla, mentre non ha natura possessoria, e rientra nella previsione generale dell’art. 2043 cod. civ., sottraendosi quindi a quelle regole, quando si lamenti anche la lesione di altri diritti del possessore, sicché la privazione del possesso non esaurisca il danno, ma si presenti come causa di altre lesioni patrimoniali subite in via derivativa dallo spogliato.

In materia di immissioni, le due azioni di cui agli artt. 844 e 2043 cod. civ. hanno diverso ambito operativo, atteso che la prima norma impone, nei limiti della normale tollerabilità e dell’eventuale contemperamento delle esigenze della produzione con le ragioni della proprietà, l’obbligo di sopportazione delle propagazioni inevitabili determinate dall’uso della proprietà attuato nel contesto delle norme generali e speciali che ne disciplinano l’esercizio. Ove risultino superati tali limiti, si è in presenza di un’attività illegittima, di fronte alla quale non ha ragion d’essere l’imposizione di un sacrificio all’altrui diritto di proprietà o di godimento e non sono quindi applicabili i criteri da tale norma dettati ma, venendo in considerazione in detta ipotesi unicamente l’illiceità del fatto generatore del danno arrecato a terzi, si rientra nello schema dell’azione generale di risarcimento danni di cui all’art. 2043 cod. civ., che può essere proposta anche cumulativamente con l’azione ex art. 844 cod. civ.

Nel caso di responsabilità aquiliana, il risarcimento del danno in forma specifica non può mai cumularsi col risarcimento per equivalente, salvo il ristoro di eventuali ulteriori pregiudizi subiti dal danneggiato, pena la violazione del generale principio in virtù del quale il risarcimento non può mai trasformarsi in una fonte di arricchimento per la vittima: pertanto il proprietario di un immobile condominiale danneggiato da infiltrazioni, ove il condominio abbia provveduto a rifondergli le spese necessarie per il restauro, non può pretendere anche il risarcimento del danno da deprezzamento dell’immobile, a meno che non dimostri che, a restauro avvenuto, l’immobile abbia comunque perduto parte del suo valore.

Giova altresì ricordare che il diritto del proprietario di utilizzare e disporre della cosa in modo pieno ed esclusivo, e, quindi, ove si tratti di un fondo, di effettuare su di esso le opere che ritenga occorrenti per il suo migliore sfruttamento, resta soggetto al generale principio del neminem laedere. E’ configurabile una tutela aquiliana pertanto anche a carico del proprietario sia nel caso degli atti emulativi, vietati dall’art. 833 cod. civ. che  per opere realizzate senza l’osservanza delle comuni regole di diligenza e prudenza, ove esse arrechino pregiudizio a terzi, ivi incluso il proprietario del fondo limitrofo.