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Lavoratori impatriati e remote working in Italia: distacchi pericolosi

visioni
Ph. Sara Caliolo / visioni

Abstract

Il ritrasferimento in Italia di persone che lavoravano all’estero con mantenimento del rapporto lavorativo da remoto con la stessa azienda estera presso la quale era in precedenza ha rappresentato una situazione frequente nel periodo pandemico: l’agevolazione degli “impatriate workers” risulta applicabile ai soli redditi che si considerano prodotti nel territorio dello Stato in linea con la finalità delle norme tese ad agevolare i soggetti che si trasferiscono in Italia per svolgervi la loro attività. Prendendo spunto da una risposta a interpello dell’Agenzia delle Entrate vengono confermate le condizioni di accesso che si sostanziano nella residenza fiscale (residenza estera nei due periodi d’imposta precedenti, trasferimento della residenza in Italia e impegno alla permanenza in Italia per almeno un biennio), nello svolgimento dell’attività lavorativa in modo prevalente sul territorio italiano.

 

1. Remote working in Italia per gli impatriati: agevolazione spettante

Un cittadino italiano, trasferitosi all'estero nell'anno 2013 e iscritto dal 2019 all'Anagrafe degli italiani residenti all'estero (AIRE) ha richiesto all’Agenzia delle Entrate lumi in ordine alla possibilità di potere fruire del regime speciale per lavoratori impatriati (per ulteriori cinque periodi d'imposta in presenza di una figlia minorenne) per i redditi di lavoro dipendente prodotti in Italia dal periodo d'imposta 2021.

In particolare, l’impatriato dichiara che:

  • dal 30 giugno 2014 al 31 gennaio 2016 ha lavorato alle dipendenze della società ALFA;
  • nel 2014 veniva raggiunto all'estero dal coniuge;
  • dal 1° febbraio 2016 lavora alle dipendenze di BETA;
  • nell'anno 2017 è nata la figlia;
  • dal 1° maggio 2021 intende trasferirsi in Italia con il nucleo familiare per continuare a svolgere l'attività lavorativa alle dipendenze dell'azienda statunitense BETA in modalità remote working;
  • nel 23 febbraio 2021 il datore di lavoro estero gli ha accordato di lavorare "a distanza dall'Italia come dipendente" per un periodo di almeno due anni.

L’Agenzia delle Entrate nella risposta a interpello n. 596 del 16 settembre 2021 ribadisce che nelle ipotesi di remote working rileva esclusivamente il luogo effettivo nel quale il lavoro viene prestato, anche laddove ciò costituisca una delle condizioni indispensabili per poter applicare una norma tributaria speciale con la diretta conseguenza che il regime speciale impatriati, se ricorrono le altre condizioni, si applica anche nel caso in cui il datore di lavoro sia un soggetto non residente in Italia.

Il remote working, o lavoro a distanza, è un tipo di stile lavorativo che permette ai dipendenti di lavorare in maniera totalmente indipendente in termini di luogo, da dove preferiscono, e quindi a distanza dal classico ambiente di ufficio. Si basa sul concetto cardine che non tutti i lavori hanno bisogno di essere svolti in un luogo specifico per essere portati a termine con successo. Il dipendente “working remotely” può lavorare ai propri progetti e raggiungere i propri obiettivi ovunque voglia, senza vincoli di posizione e, in questo modo, possono avere la flessibilità di progettare le loro giornate facendo in modo che le loro vite private e professionali possano essere vissute al massimo del loro potenziale e coesistere in maniera flessibile e non conflittuale. Questo cambio culturale nel mondo del lavoro ha portato la società a cambiare la propria idea di “posto di lavoro appropriato” consentendo ai lavoratori a distanza di capitalizzare una propria libertà.

 

2. Il regime speciale dei lavoratori impatriati

Lo speciale regime di tassazione rivolto ai lavoratori impatriati disciplina la tassazione del reddito dei contribuenti che trasferiscono la residenza fiscale in Italia e che si impegnano a risiedervi per almeno due periodi di imposta, svolgendo attività lavorativa in Italia. La disciplina degli impatriati contenuta nell’articolo 16 del DLgs n. 147/2015 è stata più volte modificata e integrata per arrivare all’attuale testo che sostanzialmente ridefinisce i requisiti soggettivi e oggettivi richiesti per i soggetti che trasferiscono la residenza fiscale in Italia a decorrere dal periodo di imposta 2020: l’agevolazione consiste nella detassazione reddituale del 70% per 5 periodi di imposta e viene prevista l’estensione per un ulteriore quinquennio del periodo agevolabile in talune ipotesi espressamente previste dalla legge. Per superare la disparità di trattamento tra i soggetti che avessero trasferito la residenza fiscale in Italia a decorrere dal 3 luglio 2019 (ovvero dal periodo di imposta 2020) e i soggetti rientrati a decorrere dal 30 aprile 2019, viene estesa l’agevolazione anche nei confronti di questi ultimi secondo la sequenza riportata:

  • i contribuenti che hanno trasferito la residenza fiscale in Italia a partire dal 30 aprile 2019 ed entro il 2 luglio 2019 possono beneficiare del regime agevolativo in questione a partire dal periodo di imposta 2019;
  • i contribuenti che hanno trasferito la residenza fiscale in Italia a partire dal 3 luglio 2019 possono beneficiare del regime agevolativo in questione a partire dal periodo di imposta 2020.

La legge di Bilancio 2021 ha esteso il regime agevolativo degli impatriati ai lavoratori che:

  1. sono stati iscritti ovvero sono cittadini di Stati membri dell’Unione Europea;
  2. hanno trasferito la residenza fiscale in Italia prima del 2020;
  3. già beneficiavano del regime impatriati alla data del 31 dicembre 2019;

Il citato regime speciale, in sostanza, consente ai soggetti che a decorrere dal 30 aprile 2019 trasferiscono la residenza in Italia, di beneficiare di un’esenzione fino al 70% dell’imponibile fiscale dei loro redditi prodotti in patria.

Per fruire del trattamento di favore, il lavoratore deve possedere i seguenti requisiti:

  • trasferire la residenza nel territorio dello Stato ai sensi dell'articolo 2 del TUIR;
  • non essere stato residente in Italia nei due periodi d'imposta antecedenti al trasferimento e, nel contempo, impegnarsi a risiedere in Italia per almeno due ulteriori anni;
  • svolgere l'attività lavorativa prevalentemente nel territorio italiano;
  • destinatari del regime speciale sono tutti i cittadini dell'Unione europea o di uno Stato extra UE con il quale risulti in vigore una convenzione contro le doppie imposizioni o un accordo sullo scambio di informazioni in materia fiscale; purché:
  1. siano in possesso di un titolo di laurea e abbiano svolto "continuativamente" un'attività di lavoro dipendente, di lavoro autonomo o di impresa fuori dall'Italia negli ultimi 24 mesi o più, ovvero
  2. abbiano svolto "continuativamente" un'attività di studio fuori dall'Italia negli ultimi 24 mesi o più, conseguendo un titolo di laurea o una specializzazione post-lauream

L'agevolazione è fruibile per un quinquennio a decorrere dal periodo di imposta in cui trasferiscono la residenza fiscale in Italia e per i quattro periodi di imposta successivi.

 

3. Datore di lavoro estero e remote working in Italia

Nella prima versione della disciplina in commento l’articolo 16, comma 1 richiedeva che l’impatriato svolgesse l’attività lavorativa presso un’impresa residente nel territorio dello Stato in forza di un rapporto di lavoro instaurato con questa o con società che direttamente o indirettamente controllassero la medesima, ne fossero controllate o fossero controllate dalla stessa società che controllava l’impresa: dal 2019, tale requisito non è più richiesto ai fini dell’accesso al regime agevolativo e, nella sostanza, in presenza di tutti i requisiti possono accedere all’agevolazione i soggetti che vengono a svolgere in Italia attività di lavoro alle dipendenze di un datore di lavoro con sede all’estero, o i cui committenti (in caso di lavoro autonomo o di impresa) siano stranieri (non residenti).

Allo stesso modo, gli impatriati precedentemente assunti presso sedi secondarie ubicate in diversi Paesi in cui opera il datore di lavoro estero non residente, vengano a svolgere la loro attività lavorativa presso la sede secondaria italiana del medesimo datore di lavoro, possono accedere al regime fiscale in commento, non essendoci preclusioni in tal senso nella norma. Si rammenta che l’Agenzia delle Entrate nella circolare n. 33/E/2020 ha precisato che il lavoratore impatriato potrebbe configurare una stabile organizzazione nel territorio dello Stato del datore di lavoro non residente, ai sensi di una Convenzione contro le doppie imposizioni conclusa dall’Italia, ove esistente, o ai sensi dell’articolo 162 del TUIR e in tal caso, il regime in commento non si estende al reddito d’impresa imputabile al datore di lavoro estero, che sarà, pertanto, assoggettato a tassazione ordinaria. Per completezza, il modello OCSE di convenzione contro le doppie imposizioni definisce ufficio di rappresentanza una sede fissa che svolge funzioni meramente promozionali e pubblicitarie, di raccolta di informazioni, di ricerca scientifica o di mercato: l’ufficio di rappresentanza deve svolgere un’attività ausiliaria o preparatoria alla penetrazione dell’impresa sul mercato di riferimento e tale struttura non permette di effettuare attività di produzione o di vendita che potrebbero qualificarlo quale stabile organizzazione trattandosi di un mero centro di costo dell’impresa non residente. L’ufficio non può svolgere alcuna attività di vendita e non soggiace agli obblighi civilistici previsti per le sedi secondarie. Non producendo alcun reddito l’ufficio di rappresentanza non subisce alcun carico fiscale. Tuttavia, è necessaria la tenuta della contabilità ordinaria per la rendicontazione dei costi e delle spese (es. costi del personale, degli strumenti di lavoro, etc), coperti dalla società non residente.

Al di là del monito di Agenzia delle Entrate in materia di stabile organizzazione, in caso di datore di lavoro estero, lo stesso non potrà operare quale sostituto di imposta “italiano” con la possibilità di applicare direttamente le ritenute fiscali ridotte in virtù dell’applicazione dell’agevolazione da parte del lavoratore e sarà lo stesso dipendente impatriato che sfrutterà l’agevolazione direttamente nella propria dichiarazione dei redditi.

 

4. Conclusioni

La sostanziale continuità della prestazione lavorativa (l’impatriato si è trasferito dall’estero all’Italia senza soluzione di continuità lavorativa, pur se da remoto e non più in presenza) non è disciplinata nella norma ed era dubbia la necessaria discontinuità del rapporto lavorativo rispetto a quello in precedenza esistente nello Stato estero: per capirci, era sufficiente il trasferimento fisico del lavoratore dall’estero in Italia oppure serviva anche il requisito della novità nel rapporto di lavoro. La risposta a interpello n. 596/2021 in commento sceglie come necessario e sufficiente il requisito dell’impatrio fisico per avere diritto al regime degli “impatriate workers” e il mero trasferimento con mantenimento del rapporto lavorativo con la stessa società estera viene, quindi, regolato in modo diverso rispetto al distacco, ambito nel quale la prassi dell’Agenzia delle Entrate (cit. circ. n. 33/E/2020) rimane ancorata nel sostenere la necessità di un marcato carattere di discontinuità del rapporto una volta effettuato l’impatrio.

Cerco un centro di gravità permanente Che non mi faccia mai cambiare idea sulle cose sulla gente…!