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L’avvocato specialista: le nuove frontiere della professione?

Quotidianità
Ph. Fabio Toto / Quotidianità

Indice:

Premessa

1. L’avvocato specialista

2. Le censure al Regolamento

3. Qualche breve conclusione

 

Premessa

Partirei da qui, dal maestro Calamandrei, per parlare di questo argomento.

Perché voglio farlo non con la nostalgia del passato, ma con lo sguardo dritto verso il futuro, ma un futuro che non sia effimero, ma solido e denso di significato.

Diceva il Maestro, a proposito dell’avvocato “Molte professioni possono farsi col cervello e non col cuore. Ma l’avvocato no. L’avvocato non può essere un puro logico, né un ironico scettico, l’avvocato deve essere prima di tutto un cuore: un altruista, uno che sappia comprendere gli altri uomini e farli vivere in sé, assumere su di sé i loro dolori e sentire come sue le loro ambasce.”

In qualche modo, a mio avviso, la figura dell’avvocato “specialista” c’entra, e si incunea, in quella che è la sua vocazione.

 

1. L’avvocato specialista

Il recente Decreto del Ministero della Giustizia n. 163 del 1 ottobre 2020 recante “Regolamento concernente modifiche al decreto del Ministero della giustizia 12 agosto 2015, n. 144, recante disposizioni per il conseguimento e il mantenimento del titolo di avvocato specialista, ai sensi dell’articolo 9 della legge 31 dicembre 2012 n. 247” ha emendato il precedente Decreto n. 144 del 2015 in conformità alla sentenza CdS sezione IV n. 5575/2017 con cui lo stesso era stato parzialmente annullato, ed ha quindi portato a termine quanto stabilito dalla L. n. 247 del 2012 (c.d. Riforma Forense) che per la prima volta ha introdotto nel nostro ordinamento la figura dell’avvocato specialista.

L’obiettivo della “specializzazione” dell’avvocato è stato, come noto, fortemente voluto da più Associazioni forensi le quali, intraprendendo una battaglia sin dagli anni duemila, richiedevano il riconoscimento ufficiale del titolo di specialista.

La Riforma Forense, fattasi carico della specializzazione, partorì la possibilità del conseguimento del titolo cristallizzatasi poi con il D.M. n. 144 di adozione del primo Regolamento; l’altalenare tra il Ministero della Giustizia e il Consiglio di Stato quale organo consultivo del Governo non consentì, però, una facile applicazione pratica, perché molti aspetti critici del Regolamento venivano negativamente valutati dal Consiglio di Stato sulla base di condivisibili pareri legati, da un lato, all’evidente disparità tra le specializzazioni afferenti al diritto civile rispetto a quelle afferenti al diritto penale e al diritto amministrativo, e dall’altro lato alle modalità con cui accertare la comprovata esperienza.

Più in dettaglio, l’elenco dei settori di specializzazione era irragionevole; mentre, infatti, al diritto civile competeva un corposo elenco di settori, al diritto penale e al diritto amministrativo non vi era abbinato alcun elenco, per cui appariva inevitabile la modifica di un tale assetto (articolo 3 D.M. n. 144) poiché, come evidenziato dai Giudici di Palazzo Spada, “sembrava difficile negare l’esistenza di settori connotati da specifiche competenze anche nel diritto penale e nel diritto amministrativo”.

L’intero elenco delle materie andava pertanto interamente annullato “per mancanza di coerenza e sostenibilità, il che esige l’adozione di paramenti che devono rispettare i criteri di effettività, congruità e ragionevolezza” (sentenza n. 5575). Parimenti irragionevole appariva – secondo quanto anche qui prudentemente sottolineato dai Giudici – la regolamentazione del colloquio di verifica del possesso delle competenze specialistiche; nel confermare l’attribuzione al CNF, il Consiglio di Stato aveva rilevato la mancanza di indicazione dei criteri di svolgimento e di valutazione del colloquio e dei requisiti dei componenti delle commissioni di valutazione (articolo 6).

Con il D.M. n. 163 i tre settori del diritto civile, diritto penale e diritto amministrativo sono stati posti sullo stesso piano.

Il sistema è stato oggi congegnato per permettere all’avvocato di conseguire il titolo di specialista in non più di due dei settori che sono espressamente indicati all’articolo 3 (riformato):

  1. diritto civile;
  2. diritto penale;
  3. diritto amministrativo;
  4. diritto del lavoro e della previdenza sociale;
  5. diritto tributario, doganale e della fiscalità internazionale;
  6. diritto internazionale;
  7. diritto dell’Unione europea;
  8. diritto dei trasporti e della navigazione;
  9. diritto della concorrenza;
  10. diritto dell’informazione, della comunicazione digitale e della protezione dei dati personali;
  11. diritto della persona, delle relazioni familiari e dei minorenni;
  12. tutela dei diritti umani e protezione internazionale;
  13. diritto dello sport.

Per i settori del diritto civile, diritto penale e diritto amministrativo (lett. a), b) e c)) il titolo si consegue in due modi, o mediante la frequenza con profitto dei percorsi formativi, o all’esito dell’accertamento della comprovata esperienza in almeno uno degli indirizzi di specializzazione indicati ai commi 3, 4 e 5 dell’articolo 3; ad esempio, per il settore del diritto amministrativo gli indirizzi sono:

  1. diritto del pubblico impiego e della responsabilità amministrativa;
  2. diritto urbanistico, dell’edilizia e dei beni culturali;
  3. diritto dell’ambiente e dell’energia;
  4. diritto sanitario;
  5. diritto dell’istruzione;
  6. diritto dei contratti pubblici e dei servizi di interesse economico generale;
  7. diritto delle autonomie territoriali e del contenzioso elettorale;
  8. contabilità pubblica e contenzioso finanziario-statistico;

ed è in facoltà dell’avvocato chiedere che nel titolo di specialista sia specificato il proprio indirizzo (fino a un massimo di tre) (articolo 5 comma 1).

In concreto dunque la specializzazione poggia sui settori, non sugli indirizzi, sebbene questi possano essere precisati nel titolo a discrezione del professionista.

L’indirizzo rileva comunque, però, ai fini del conseguimento del titolo di specialista (in diritto civile, diritto penale e diritto amministrativo) perché deve esserci rispondenza tra l’effettiva esperienza professionale maturata in un certo ambito e l’indirizzo (da uno a tre) di specializzazione stabilito dalla legge.

Con il nuovo Decreto è stato meglio precisato, poi, il “colloquio” per accertare le competenze (articolo 6), che è stato modificato “per l’esposizione e la discussione dei titoli presentati e della documentazione prodotta a dimostrazione della comprovata esperienza nei relativi settori e indirizzi di specializzazione a norma degli articoli 8 e 11… omissis…il colloquio è diretto ad accertare l’adeguatezza dell’esperienza maturata nel corso dell’attività professionale e formativa nel settore di specializzazione in conformità ai requisiti e ai criteri di cui all’articolo 8”.

Sono stati inoltre aggiunti, sempre all’articolo 6, le specifiche circa la composizione della Commissione di valutazione, preposta a riconoscere il titolo di specialista; questa è composta da tre avvocati iscritti all’albo speciale per il patrocinio davanti alle giurisdizioni superiori e da due professori universitari di ruolo in materie giuridiche in possesso di documentata qualificazione nel settore di specializzazione oggetto delle domande sottoposte a valutazione nella singola seduta. Il CNF nomina un componente avvocato, i restanti componenti vengono invece nominati dal Ministero della Giustizia.

Per la realizzazione dei percorsi formativi (articolo 7), la nuova disciplina prevista con il Decreto demanda l’organizzazione a convenzioni ad hoc stipulate dal CNF o dai singoli COA con le Università – Dipartimenti di Giurisprudenza con assegnazione dei poteri di gestione e coordinamento ad organismi misti costituiti nel rispetto delle diverse rappresentanze.

Quanto, invece, alla comprovata esperienza (articolo 8), il conseguimento del titolo di specialista può avvenire dimostrando, oltre ad un’anzianità di almeno otto anni di iscrizione all’albo, di aver esercitato negli ultimi cinque in maniera assidua, prevalente e continuativa attività di avvocato in uno dei settori di specializzazione di cui all’articolo 3, mediante la produzione di documentazione, giudiziale o stragiudiziale, che provi l’effettiva trattazione nel quinquennio di incarichi professionali fiduciari rilevanti per quantità e qualità, almeno pari a dieci per anno. In deroga a tale requisito quantitativo, è previsto che “nell’accertamento dei requisiti di cui al presente articolo, la commissione di cui all’articolo 6, comma 4, valuta la congruenza dei titoli presentati e degli incarichi documentati con il settore e, se necessario, con l’indirizzo di specializzazione indicati dal richiedente. Anche in deroga al previsto numero minino di incarichi per anno, la commissione tiene conto della natura e della particolare rilevanza degli incarichi documentati e delle specifiche caratteristiche del settore e dell’indirizzo di specializzazione”.

Non ultimo, il precedente Regolamento configurava quale illecito disciplinare la spendita del titolo di avvocato specialista senza l’effettivo conseguimento; ora, con la novella del Decreto n. 163, l’illecito è sparito, e con esso, parrebbe, la tutela effettiva legale a tale titolo.

 

2. Le censure al Regolamento

Con delibera dello scorso mese di febbraio il COA Roma, insieme a quello di Napoli, ha deciso di impugnare il Regolamento una serie di profili di illegittimità derivanti in particolare dal raffronto tra il Decreto con la Legge professionale – L. n. 247 – di istituzione del titolo di specialista.

Uno dei motivi di contestazione risiederebbe nell’autonomia rivendicata dal COA per poter procedere autonomamente con la formazione dei propri iscritti, senza obbligatoriamente “passare” attraverso le convenzioni e l’attribuzione del percorso formativo ad organismi terzi, essendo quella contemplata in sede legislativa una mera facoltà e non un obbligo, come invece statuito con il Decreto.

Ulteriore motivo di censura si fonderebbe sulla mancata predeterminazione dei criteri in base ai quali la Commissione di valutazione è tenuta ad apprezzare la “comprovata esperienza” del candidato; la “congruità” dei titoli presentati, come pure l’“adeguatezza” della preparazione, non appaiono quali strumenti sufficienti – in assenza di specifici criteri – atti a stabilire efficacemente il “bagaglio” del professionista e la comprovata esperienza nel settore specialistico.

Vi sarebbe poi un ulteriore profilo, dato dallo “straripamento” del Decreto rispetto ai settori indicati nella Legge. Il Decreto ne prevede di più rispetto a quelli indicati nella Legge, con una conseguente verosimile frammentarietà delle specializzazioni che peraltro non troverebbe conforto nel dato legislativo.

Infine, l’opzione accordata al Ministero di modificare, ed eliminare, in un futuro non meglio precisato (senza, peraltro, predeterminazione dei criteri e della sorte degli eventuali titoli conseguiti), i settori oggi codificati è un ulteriore argomento su cui il COA vorrà discutere dinanzi al Tar data l’evidente incertezza del diritto che siffatta discrezionalità verrebbe a creare.

 

3. Qualche breve conclusione

Indubbiamente, atteso tra l’altro l’imminente ulteriore contenzioso che coinvolgerà il Regolamento, il tema dell’avvocato specialista deve trovare ancora la sua definizione.

Non meraviglia la difficoltà riscontrata in tal senso, dal momento che molteplici e variegate sono le “tensioni” che una simile riforma deve sopportare ed al tempo stesso attendere e soddisfare in un equilibrio che sia il più possibile rispondente all’interesse pubblico dei cittadini e di tutta la società.

Ed è qui che si gioca la vera scommessa: l’avvocato, specialista o meno, ha un ruolo pubblico, e ciò, anche in assenza di una puntuale riforma costituzionale (tra le altre, disegno di legge costituzionale n. 1199 del 4.4.2019 di modifica dell’articolo 111), non può non essere riconosciuto. Ancor più, perdonate il richiamo autoreferenziale, quando, tutti i giorni, si occupa di assistere Amministrazioni e soggetti pubblici nello svolgimento di funzioni di interesse comune.

Tale ruolo, a sommesso parere di chi scrive, deve entrare nella Carta fondamentale della Repubblica italiana che è la Costituzione, e deve trovare una sua codificazione sia in relazione alla funzione che al ruolo nella società dell’avvocato. Un’esigenza ancor più pregnante ora che lo spazio dell’avvocato è europeo, ora che i diritti umani da difendere sono “mescolati”, ora che le emergenze sanitarie che hanno sconvolto il pianeta ridisegnano (anche) nell’universo forense un profilo nuovo per l’avvocatura.

Ecco, allora, che l’avvocato specialista, nella misura in cui sarà davvero in grado di rispondere alle nuove sfide con una disciplina robusta e competitiva, forgiata tenuto anche conto della legge professionale europea, potrà contribuire a qualificare un nuovo modello dell’avvocatura. Un deciso passo avanti, in altri termini, sia attraverso l’ingresso dell’avvocato nella Costituzione sia attraverso una forte connotazione specialistica in grado di soddisfare la complessità del mercato.

Da qui il richiamo, all’inizio del contributo, al maestro Calamandrei per quel particolare rapporto, direi “unico”, che sapeva intravedere tra avvocato e cliente, in quella che è un po' l’essenza della stessa professione.

Radicare nella Costituzione chi tale ruolo così delicato riveste è un passaggio dovuto, necessario, prioritario e al più concomitante alla riforma professionale, che altrimenti rivelerà sempre qualche punto di debolezza.