x

x

L’istituzione di eredità ex re certa

Analogie e differenze con l’istituto del legato
A. Inquadramento dogmatico dell’istituto

Ricorre la fattispecie della cd. institutio ex re certa di cui all’art. 588, comma 2°, c.c. allorquando il testatore, anziché indicare una frazione aritmetica del proprio patrimonio, faccia riferimento a determinati beni o a un complesso di beni, con l’intenzione tuttavia di assegnarli come quota dell’intero asse ereditario (cfr. App. Bari Sez. III, 29-07-2005, Cass. civ. Sez. II, 01-03-2002, n. 3016). In giurisprudenza si ritiene che “non si configura una istituzione di erede ex re certa quando il testatore disponga delle proprie sostanze con lasciti aventi ad oggetto beni specifici ed individuati, sia pure assorbenti l’intero asse, ma li consideri come beni determinati e singoli, cioè come legati e non in funzione di quote ideali del suo patrimonio; coesistono la successione testamentaria e la successione ex lege quando la portata effettiva della volontà testamentaria, pur esaurendo l’intero asse si traduca esclusivamente in disposizioni a titolo particolare” (Trib. Pavia, 21-05-1992).

L’istituto presenta indubbiamente notevoli affinità con la figura del legato, dato che anch’esso consiste per natura nell’attribuzione di uno o più cespiti determinati. In entrambi gli istituti infatti il testatore fa riferimento non ad una quota del proprio patrimonio, ma piuttosto a beni determinati (un immobile, un conto corrente, ecc.). Si tratta dunque di individuare gli elementi di distinzione tra le due fattispecie, soprattutto alla luce delle rilevanti conseguenze pratiche che potrebbero derivare dal far rientrare un determinato lascito in una categoria piuttosto che in un’altra (in un caso, ne deriverebbe l’istituzione di erede, nell’altro di mero legatario).

In primo luogo, dall’interpretazione letterale e dalla lettura congiunta del primo e del secondo comma dell’art. 588 c.c., si desume che il lascito di un bene determinato configuri normalmente un legato. Recita infatti il secondo comma che “l’indicazione di beni determinati o di un complesso di beni non esclude che la disposizione sia a titolo universale, quando risulta che il testatore ha inteso assegnare quei beni come quota del patrimonio” L’utilizzo dell’espressione “non esclude” e l’affermata esigenza di un ulteriore elemento caratterizzante la fattispecie, rappresentato “dall’intenzione del testatore” evidenzia come, in presenza di un lascito di un bene determinato, di regola si riterrà di essere in presenza di un mero legato, mentre solo in chiave eccezionale e derogatoria potrà configurarsi una successione a titolo universale.

Se ne desume, pertanto, che il rapporto intercorrente tra il legato e l’institutio ex re certa sia di regola ed eccezione: quando cioè si sia in presenza di un lascito determinato la regola generale è che si tratti di un legato, mentre l’eccezione è che si tratti di un’eredità (ex multis, IEVA, Manuale di tecnica testamentaria, Padova, 1996, p. 33).

B. Parametri di interpretazione della volontà testamentaria

In considerazione del rapporto appena delineato esistente tra l’art. 588, secondo comma, c.c. e il legato, l’istituzione di erede ex certa re potrà ricercarsi unicamente allorquando la dichiarazione testamentaria, nel suo complesso, induca un ragionevole dubbio che, nonostante l’indicazione di cespiti determinati, il testatore abbia voluto chiamare il destinatario di essi ad una successione a titolo universale (DELLE MONACHE, Testamento – Disposizioni generali, in Comm. Schlesinger, Milano, 2005, p. 167 ss.). In tutti gli altri casi, nelle ipotesi cioè in cui dalle disposizioni testamentarie non emerga alcun dubbio sull’intenzione del testatore di istituire un vero e proprio legato, rimane ab origine preclusa per l’interprete qualsiasi ulteriore indagine sulla volontà testamentaria ai fini dell’applicabilità dell’ art. 588, secondo comma, c.c.

Di conseguenza, la presunzione iuris tantum a favore del lascito a titolo particolare potrà essere superata solo nel caso in cui la volontà del testatore di assegnare i beni determinati come quota del patrimonio emerga con certezza dall’interpretazione oggettiva e soggettiva della disposizione testamentaria (BASINI, Lasciti di beni determinati ed istituzione di erede ex re certa, Fam. Pers. succ., 2007, 03, Successioni e nello stesso senso anche, MENGONI, L’istituzione di erede ex re certa secondo l’art. 588, comma 2°, c.c., p. 758, per il quale “il problema se, nel dubbio, la res certa debba ritenersi attribuita a titolo universale o particolare deve certamente risolversi in ogni caso, nel secondo senso”).

Tuttavia, non sempre tale volontà risulterà in modo univoco dall’interpretazione del testamento (Cass. civ., 16-11-1985, n. 5625, ed in dottrina GALGANO, Diritto civile e commerciale, vol. IV, Padova, 2004, p. 239), tenuto conto anche del fatto che la ricostruzione della mens testantis dovrà avvenire ex ipsomet testamento, non aliunde, non extrinsecus (Cass. civ., 26.06.76, n. 2417).

La Corte di Cassazione (Cass. civ. Sez. lavoro, 12-07-2001, n. 9467) ha ritenuto che, al fine “di distinguere tra disposizioni testamentarie a titolo universale - che, indipendentemente dalle espressioni e dalle denominazioni usate dal testatore, sono attributive della qualità di erede - e disposizioni a titolo particolare - che, invece, attribuiscono la sola qualità di legatario - il giudice deve compiere sia una indagine di carattere oggettivo riferita al contenuto dell’atto sia una indagine di carattere soggettivo riferita all’intenzione del testatore. Ne consegue che soltanto in seguito a tali duplici indagini - che sono di competenza del giudice del merito e i cui risultati non sono censurabili in sede di legittimità se congruamente motivati - può stabilirsi se attraverso l’assegnazione di beni determinati il testatore abbia inteso attribuire una quota del proprio patrimonio unitariamente considerato (sicchè la successione in esso è a titolo universale) ovvero abbia inteso escludere l’istituzione nell’"universum ius" (sicchè la successione è a titolo di legato”).

Ne deriva dunque, in primo luogo, che l’utilizzo di espressioni quali “erede” o “eredità” non forniscono segnali univoci a favore della qualificazione come disposizione a titolo universale, costituendo tutt’al più elementi indiziari per ricostruire ed interpretare la volontà del testatore.

In questo senso, “al fine di stabilire se l’attribuzione di beni determinati configuri istituzione di eredità o legato, deve innanzitutto considerarsi il contenuto della disposizione, cioè il modo di attribuzione dei beni secondo il criterio stabilito dalla legge, mentre l’attribuzione formale del titolo di erede (o di legatario) può essere valutata solo come elemento confermativo del risultato delle indagini condotte sull’obiettiva consistenza della disposizione. Ai sensi del secondo comma dell’art. 588 c.c., l’assegnazione di beni determinati può essere interpretata come disposizione a titolo universale qualora risulti che il testatore, pur avendo indicato beni determinati, abbia in effetti inteso assegnare questi come quota del patrimonio ereditario. A tal fine l’indagine, di carattere obiettivo circa il contenuto dell’atto (…) e di carattere soggettivo sull’intenzione del testatore deve essere più completa e penetrante di quella necessaria quando invece il testatore detta le disposizioni con riferimento alla quantità indeterminata dei suoi beni” (Cass. civ., 16.11.85, n. 5624).

Del resto, anche nella giurisprudenza di merito, si ritiene che “nella successione testamentaria si ha institutio ex re certa allorquando il testatore, al di là delle espressioni usate, attribuisca beni determinati o un complesso di beni con l’intenzione di assegnarli come quota del patrimonio e, quindi, a titolo universale. In virtù del suddetto principio, nell’ipotesi in cui il testatore, senza mai utilizzare l’espressione erede o legatario, lasci la disponibilità dei propri conti correnti a più persone (con percentuali differenti), mentre, quanto all’unico immobile, provveda ad una diversa attribuzione, deve ritenersi che la disposizione relativa alla liquidità sia stata fatta a titolo di legato” (Trib. Roma Sez. lavoro (Ord.), 12-02-2003).

In secondo luogo, poi, nemmeno l’ulteriore criterio della proporzionalità di valore tra il bene determinato oggetto della disposizione e quello dell’intero asse ereditario potrebbe avere rilevanza decisiva. Infatti, mentre parte della giurisprudenza maggiormente datata (Cass.civ., 12.05.71, n. 1368, cfr. anche Cass. civ., 26.10.72, n. 3282) attribuiva valore a tale criterio, ritenendo che “l’istitutio ex re certa deve considerarsi istituzione di erede quando il de cuius ha considerato la res certa in rapporto alla totalità del suo patrimonio, come quota di esso, da determinarsi in concreto attraverso il rapporto proporzionale tra il valore della res certa attribuita e il valore dell’intero asse” , oggi la giurisprudenza e la dottrina dominante (BIGLIAZZI GERI – BRESCIA – BUSNELLI – NATOLI, Diritto civile, 4, Le successioni a causa di morte, Torino, 1997) ritiene che la sola adozione della regola della proporzionalità non sia di per sé sufficiente ad accertare la reale mens testantis, dato che il valore della res certa finirebbe pur sempre a corrispondere ad una quota, foss’anche minima, dell’intero asse ereditario.

Di conseguenza, ne deriva il necessario ricorso anche ad altri criteri interpretativi, all’interno di un’indagine ermeneutica diretta a stabilire le effettive intenzioni del de cuius.

In questo senso, secondo l’opinione dominante, si potranno utilizzare anche i cd. elementi extratestuali (MENGONI, L’istituzione di erede ex re certa secondo l’art. 588, comma 2°, c.c., p. 758, BASINI, Lasciti di beni determinati ed istituzione di erede ex re certa, Fam. Pers. succ., 2007, 03, Successioni, Cass. civ., 19.02.01, n. 3940), ma unicamente nella misura in cui questi consentano di chiarire una volontà emersa nella scheda testamentaria e non mai per ricostruire un intento rimasto del tutto inespresso.

In sintesi, dunque, qualora dall’interpretazione del dettato testamentario non emerga con chiarezza l’intenzione del de cuius e permangano dei fondati dubbi sulla volontà di istituire un eredità ex re certa, allora si imporrà a carico dell’interprete l’arduo compito di attribuire valore ad una serie di elementi indiziari, sulla base di una lettura congiunta ed integrata del dettato testamentario, che esalti e prediliga il senso complessivo delle dichiarazioni, piuttosto che il singolo particolare, di per sé irrilevante.

A. Inquadramento dogmatico dell’istituto

Ricorre la fattispecie della cd. institutio ex re certa di cui all’art. 588, comma 2°, c.c. allorquando il testatore, anziché indicare una frazione aritmetica del proprio patrimonio, faccia riferimento a determinati beni o a un complesso di beni, con l’intenzione tuttavia di assegnarli come quota dell’intero asse ereditario (cfr. App. Bari Sez. III, 29-07-2005, Cass. civ. Sez. II, 01-03-2002, n. 3016). In giurisprudenza si ritiene che “non si configura una istituzione di erede ex re certa quando il testatore disponga delle proprie sostanze con lasciti aventi ad oggetto beni specifici ed individuati, sia pure assorbenti l’intero asse, ma li consideri come beni determinati e singoli, cioè come legati e non in funzione di quote ideali del suo patrimonio; coesistono la successione testamentaria e la successione ex lege quando la portata effettiva della volontà testamentaria, pur esaurendo l’intero asse si traduca esclusivamente in disposizioni a titolo particolare” (Trib. Pavia, 21-05-1992).

L’istituto presenta indubbiamente notevoli affinità con la figura del legato, dato che anch’esso consiste per natura nell’attribuzione di uno o più cespiti determinati. In entrambi gli istituti infatti il testatore fa riferimento non ad una quota del proprio patrimonio, ma piuttosto a beni determinati (un immobile, un conto corrente, ecc.). Si tratta dunque di individuare gli elementi di distinzione tra le due fattispecie, soprattutto alla luce delle rilevanti conseguenze pratiche che potrebbero derivare dal far rientrare un determinato lascito in una categoria piuttosto che in un’altra (in un caso, ne deriverebbe l’istituzione di erede, nell’altro di mero legatario).

In primo luogo, dall’interpretazione letterale e dalla lettura congiunta del primo e del secondo comma dell’art. 588 c.c., si desume che il lascito di un bene determinato configuri normalmente un legato. Recita infatti il secondo comma che “l’indicazione di beni determinati o di un complesso di beni non esclude che la disposizione sia a titolo universale, quando risulta che il testatore ha inteso assegnare quei beni come quota del patrimonio” L’utilizzo dell’espressione “non esclude” e l’affermata esigenza di un ulteriore elemento caratterizzante la fattispecie, rappresentato “dall’intenzione del testatore” evidenzia come, in presenza di un lascito di un bene determinato, di regola si riterrà di essere in presenza di un mero legato, mentre solo in chiave eccezionale e derogatoria potrà configurarsi una successione a titolo universale.

Se ne desume, pertanto, che il rapporto intercorrente tra il legato e l’institutio ex re certa sia di regola ed eccezione: quando cioè si sia in presenza di un lascito determinato la regola generale è che si tratti di un legato, mentre l’eccezione è che si tratti di un’eredità (ex multis, IEVA, Manuale di tecnica testamentaria, Padova, 1996, p. 33).

B. Parametri di interpretazione della volontà testamentaria

In considerazione del rapporto appena delineato esistente tra l’art. 588, secondo comma, c.c. e il legato, l’istituzione di erede ex certa re potrà ricercarsi unicamente allorquando la dichiarazione testamentaria, nel suo complesso, induca un ragionevole dubbio che, nonostante l’indicazione di cespiti determinati, il testatore abbia voluto chiamare il destinatario di essi ad una successione a titolo universale (DELLE MONACHE, Testamento – Disposizioni generali, in Comm. Schlesinger, Milano, 2005, p. 167 ss.). In tutti gli altri casi, nelle ipotesi cioè in cui dalle disposizioni testamentarie non emerga alcun dubbio sull’intenzione del testatore di istituire un vero e proprio legato, rimane ab origine preclusa per l’interprete qualsiasi ulteriore indagine sulla volontà testamentaria ai fini dell’applicabilità dell’ art. 588, secondo comma, c.c.

Di conseguenza, la presunzione iuris tantum a favore del lascito a titolo particolare potrà essere superata solo nel caso in cui la volontà del testatore di assegnare i beni determinati come quota del patrimonio emerga con certezza dall’interpretazione oggettiva e soggettiva della disposizione testamentaria (BASINI, Lasciti di beni determinati ed istituzione di erede ex re certa, Fam. Pers. succ., 2007, 03, Successioni e nello stesso senso anche, MENGONI, L’istituzione di erede ex re certa secondo l’art. 588, comma 2°, c.c., p. 758, per il quale “il problema se, nel dubbio, la res certa debba ritenersi attribuita a titolo universale o particolare deve certamente risolversi in ogni caso, nel secondo senso”).

Tuttavia, non sempre tale volontà risulterà in modo univoco dall’interpretazione del testamento (Cass. civ., 16-11-1985, n. 5625, ed in dottrina GALGANO, Diritto civile e commerciale, vol. IV, Padova, 2004, p. 239), tenuto conto anche del fatto che la ricostruzione della mens testantis dovrà avvenire ex ipsomet testamento, non aliunde, non extrinsecus (Cass. civ., 26.06.76, n. 2417).

La Corte di Cassazione (Cass. civ. Sez. lavoro, 12-07-2001, n. 9467) ha ritenuto che, al fine “di distinguere tra disposizioni testamentarie a titolo universale - che, indipendentemente dalle espressioni e dalle denominazioni usate dal testatore, sono attributive della qualità di erede - e disposizioni a titolo particolare - che, invece, attribuiscono la sola qualità di legatario - il giudice deve compiere sia una indagine di carattere oggettivo riferita al contenuto dell’atto sia una indagine di carattere soggettivo riferita all’intenzione del testatore. Ne consegue che soltanto in seguito a tali duplici indagini - che sono di competenza del giudice del merito e i cui risultati non sono censurabili in sede di legittimità se congruamente motivati - può stabilirsi se attraverso l’assegnazione di beni determinati il testatore abbia inteso attribuire una quota del proprio patrimonio unitariamente considerato (sicchè la successione in esso è a titolo universale) ovvero abbia inteso escludere l’istituzione nell’"universum ius" (sicchè la successione è a titolo di legato”).

Ne deriva dunque, in primo luogo, che l’utilizzo di espressioni quali “erede” o “eredità” non forniscono segnali univoci a favore della qualificazione come disposizione a titolo universale, costituendo tutt’al più elementi indiziari per ricostruire ed interpretare la volontà del testatore.

In questo senso, “al fine di stabilire se l’attribuzione di beni determinati configuri istituzione di eredità o legato, deve innanzitutto considerarsi il contenuto della disposizione, cioè il modo di attribuzione dei beni secondo il criterio stabilito dalla legge, mentre l’attribuzione formale del titolo di erede (o di legatario) può essere valutata solo come elemento confermativo del risultato delle indagini condotte sull’obiettiva consistenza della disposizione. Ai sensi del secondo comma dell’art. 588 c.c., l’assegnazione di beni determinati può essere interpretata come disposizione a titolo universale qualora risulti che il testatore, pur avendo indicato beni determinati, abbia in effetti inteso assegnare questi come quota del patrimonio ereditario. A tal fine l’indagine, di carattere obiettivo circa il contenuto dell’atto (…) e di carattere soggettivo sull’intenzione del testatore deve essere più completa e penetrante di quella necessaria quando invece il testatore detta le disposizioni con riferimento alla quantità indeterminata dei suoi beni” (Cass. civ., 16.11.85, n. 5624).

Del resto, anche nella giurisprudenza di merito, si ritiene che “nella successione testamentaria si ha institutio ex re certa allorquando il testatore, al di là delle espressioni usate, attribuisca beni determinati o un complesso di beni con l’intenzione di assegnarli come quota del patrimonio e, quindi, a titolo universale. In virtù del suddetto principio, nell’ipotesi in cui il testatore, senza mai utilizzare l’espressione erede o legatario, lasci la disponibilità dei propri conti correnti a più persone (con percentuali differenti), mentre, quanto all’unico immobile, provveda ad una diversa attribuzione, deve ritenersi che la disposizione relativa alla liquidità sia stata fatta a titolo di legato” (Trib. Roma Sez. lavoro (Ord.), 12-02-2003).

In secondo luogo, poi, nemmeno l’ulteriore criterio della proporzionalità di valore tra il bene determinato oggetto della disposizione e quello dell’intero asse ereditario potrebbe avere rilevanza decisiva. Infatti, mentre parte della giurisprudenza maggiormente datata (Cass.civ., 12.05.71, n. 1368, cfr. anche Cass. civ., 26.10.72, n. 3282) attribuiva valore a tale criterio, ritenendo che “l’istitutio ex re certa deve considerarsi istituzione di erede quando il de cuius ha considerato la res certa in rapporto alla totalità del suo patrimonio, come quota di esso, da determinarsi in concreto attraverso il rapporto proporzionale tra il valore della res certa attribuita e il valore dell’intero asse” , oggi la giurisprudenza e la dottrina dominante (BIGLIAZZI GERI – BRESCIA – BUSNELLI – NATOLI, Diritto civile, 4, Le successioni a causa di morte, Torino, 1997) ritiene che la sola adozione della regola della proporzionalità non sia di per sé sufficiente ad accertare la reale mens testantis, dato che il valore della res certa finirebbe pur sempre a corrispondere ad una quota, foss’anche minima, dell’intero asse ereditario.

Di conseguenza, ne deriva il necessario ricorso anche ad altri criteri interpretativi, all’interno di un’indagine ermeneutica diretta a stabilire le effettive intenzioni del de cuius.

In questo senso, secondo l’opinione dominante, si potranno utilizzare anche i cd. elementi extratestuali (MENGONI, L’istituzione di erede ex re certa secondo l’art. 588, comma 2°, c.c., p. 758, BASINI, Lasciti di beni determinati ed istituzione di erede ex re certa, Fam. Pers. succ., 2007, 03, Successioni, Cass. civ., 19.02.01, n. 3940), ma unicamente nella misura in cui questi consentano di chiarire una volontà emersa nella scheda testamentaria e non mai per ricostruire un intento rimasto del tutto inespresso.

In sintesi, dunque, qualora dall’interpretazione del dettato testamentario non emerga con chiarezza l’intenzione del de cuius e permangano dei fondati dubbi sulla volontà di istituire un eredità ex re certa, allora si imporrà a carico dell’interprete l’arduo compito di attribuire valore ad una serie di elementi indiziari, sulla base di una lettura congiunta ed integrata del dettato testamentario, che esalti e prediliga il senso complessivo delle dichiarazioni, piuttosto che il singolo particolare, di per sé irrilevante.