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L’uso e l’abuso del potere cautelare in Italia

potere cautelare
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La decimazione degli innocenti continua costante negli anni. Nel triennio “2018-2020 sono 12.583 le persone sottoposte a misure cautelari del carcere o degli arresti domiciliari assolte o prosciolte, la percentuale è costante nel triennio e si attesta al 10% ogni anno” Relazione al Parlamento del Ministro della Giustizia, dati aggiornati aprile 2021.

 

In questo contributo, esaminiamo i numeri delle misure cautelari applicate nel 2020.

Lo studio si basa sulle ultime statistiche redatte dal Ministero di Giustizia che quest’anno sono state trasmesse, con un certo ritardo, al Parlamento ex Legge 16 aprile 2015 n. 47.

Dalla lettura dei dati, che sono la fotografia della reale situazione in tema di uso della custodia cautelare in Italia, si evincono delle evidenti distonie e la circostanza, non secondaria, che il sistema giustizia continua a creare “innocenti in carcere” in un numero assai maggiore dei dati ufficiali che indicano in 750 le persone indennizzate per l’anno 2020 per l’ingiusta detenzione, gli altri sono “missing” ai radar delle statistiche ufficiali in tema di errori giudiziari.

 

L’uso del potere cautelare in Italia[1]

…Premessa

Entro il 31 gennaio di ogni anno, il Governo (per esso il ministero della Giustizia) ha l’obbligo, imposto dall’art. 15 della L. 47/2015, di presentare alle Camere “una relazione contenente dati, rilevazioni e statistiche relativi all’applicazione, nell’anno precedente, delle misure cautelari personali, distinte per tipologie, con l’indicazione dell’esito dei relativi procedimenti, ove conclusi”.

L’ultimo periodo dello stesso articolo aggiunge che “La relazione contiene inoltre i dati relativi alle sentenze di riconoscimento del diritto alla riparazione per ingiusta detenzione, pronunciate nell’anno precedente, con specificazione delle ragioni di accoglimento e dell’entità delle riparazioni, nonché i dati relativi al numero di procedimenti disciplinari iniziati nei riguardi dei magistrati per le accertate ingiuste detenzioni, con indicazione dell’esito, ove conclusi”.

È agevole comprendere lo scopo di questa prescrizione, non a caso inserita in una legge varata al dichiarato scopo di rimediare a disinvolte prassi legislative e giurisprudenziali il cui comune effetto è stato di riempire le carceri nazionali oltre ogni livello di civiltà e ragionevolezza.

Così si leggeva infatti nella proposta (prima firmataria on. Donatella Ferranti) da cui è derivata la Legge 47: “Il problema carcerario in Italia è cronico e assume dimensioni sempre più preoccupanti, con istituti penitenziari sovraffollati e condizioni detentive sempre meno degne di un Paese civile. Urge trovare soluzioni immediate, in grado non più solo di lenire temporaneamente il problema ma di risolverlo definitivamente. In questa direzione occorre anzitutto una riflessione culturale. Negli ultimi anni la situazione carceraria si è ulteriormente aggravata sotto la pressione di un’ansia di sicurezza, talora assecondata con troppa disinvoltura, che ha germinato una legislazione emergenziale soprattutto preoccupata di prevenire e di punire, senza particolare attenzione per le ricadute sanzionatorie complessive. La stessa prassi giudiziaria si è talora mostrata fin troppo sensibile all’ondata securitaria, favorendo ulteriormente l’espansione dell’uso della leva detentiva a fini sanzionatori e cautelari. Non si tratta allora più soltanto di arginare la piaga del sovraffollamento, che da anni attanaglia il nostro sistema carcerario, né semplicemente di assicurare modalità detentive che rispettino i più basilari diritti dell’individuo, ma più in generale si deve ridare senso e dignità alla forma più drastica di restrizione dei diritti dell’individuo che il nostro ordinamento conosce […] È necessario superare quelle forme surrettizie di presunzione giurisprudenziale che di fatto enucleano la sussistenza di esigenze cautelari dalla sola gravità del reato commesso e puntare su una valutazione rigorosa, che sappia valorizzare il principio della tendenziale prevalenza della libertà sulla restrizione. L’intervento normativo deve quindi tendere a riallineare il sistema italiano agli standard previsti dalla Costituzione e a quelli previsti dalla Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950 e resa esecutiva dalla legge n. 848 del 1955, e dalla sua giurisprudenza. È in queste coordinate che si inscrive la presente proposta di legge”.

È chiaro allora che la relazione imposta dall’art. 15 ha una funzione strumentale: il monitoraggio annuale serve ad offrire al legislatore conoscenza e possibilità di intervento modificativo ove occorra.

…I numeri

È bene premettere che i dati richiesti dal ministero della Giustizia sono stati tramessi dal 76% degli uffici giudiziari interessati.

Nell’anno precedente avevano risposto l’86% degli uffici, quindi si registra un calo non indifferente e sul punto c’è anche un deficit di trasparenza in merito agli uffici inadempienti e alle eventuali iniziative ispettive da intraprendere da parte del Ministero per far rispettare l’obbligo di trasmissione dei dati.

Il campione raccolto è comunque significativo. Questa constatazione non toglie nulla tuttavia alla gravità della mancata risposta di una percentuale tutt’altro che trascurabile di sedi giudiziarie e alla conseguente incapacità del ministero di raccogliere la totalità dei numeri d’interesse.

Fatta questa necessaria premessa, nel 2020 risultano emesse 82.199 misure cautelari personali così divise (schema 1): 520 custodie cautelari in luoghi di cura o strutture (0,6% del totale); 24.928 custodie cautelari in carcere (30,3%); 21.949 custodie agli arresti domiciliari con o senza “braccialetto” (26,7%); 11.655 divieti o obblighi di dimora (14,2%); 11.445 allontanamenti dalla casa familiare o divieti di avvicinamento alla parte offesa (13,9%); 11.642 obblighi di presentazione alla polizia giudiziaria (14,2%); 60 divieti di espatrio (0,1%).

 

I dati quantitativi del 2020 a prima vista farebbero sperare in una inversione di tendenza nell’applicazione delle misure cautelari, si registrano circa 12.000 misure in meno rispetto al 2019 che, al contrario, sono quasi uguali a quelle del 2018 (81.962 nel 2019, 83.539 nel 2018).

In realtà la stessa relazione evidenzia che la diminuzione di misure cautelari è dovuta alla pandemia: “I dati del triennio si possono reputare ben confrontabili tra loro, pur essendo diverse le percentuali degli uffici rispondenti, a motivo dell’elevato tasso di rispondenza del biennio 2018-2019 e delle stime effettuate per il 2020 per ovviare al problema della mancata risposta da parte di alcuni uffici abbastanza significativi. Dal confronto risulta evidente una diminuzione significativa del numero totale delle misure emesse nell’anno 2020, dovuta molto probabilmente agli effetti della pandemia a tutt’oggi ancora in corso, che hanno fortemente rallentato, specie nei primi mesi dell’anno 2020, l’attività degli uffici (come anche rappresentato da alcuni cancellieri ai quali erano stati richiesti chiarimenti proprio in merito alla diminuzione).”

Un’ulteriore sezione della relazione riguarda l’analisi delle misure emesse per tipologia nei maggiori tribunali di capoluogo. Negli schemi 3.3 e 3.4 sono indicati i tribunali di Roma, Milano, Torino, Catania e Napoli dall’esame dei dati emerge che nei tribunali di Catania e Napoli la custodia cautelare in carcere raggunge livelli particolarmente elevati, rappresentando lo strumento più utilizzato.

Nei tribunali di Catania e Napoli se sommiamo le misure cautelari degli arresti domiciliari con o senza braccialetto e in carcere arriviamo a dati significativamente preoccupanti. A Catania il 73,6% a Napoli il 78,52% delle misure applicate si tramutano in custodia in carcere o agli arresti domiciliari.  

Registriamo l’assenza dei dati per i tribunali di Reggio Calabria e Catanzaro.

 

Analisi delle misure emesse nei procedimenti definiti e iscritti nel 2020

È bene precisare, così da fugare ogni equivoco, che anche in questo caso l’unità di misura è sempre costituita dalle misure cautelari e non dai procedimenti.

Quando dunque nel paragrafo 4.2 della relazione si afferma che il numero di definizioni per il 2020 è pari a 31.455, si vuole intendere che sono stati definiti procedimenti nel cui ambito sono state emesse 31.455 misure cautelari personali.

Questi sono i numeri dei procedimenti “cautelati” conclusi con condanna (schema 8 pagina 16 relazione): 18.675 conclusi con condanna non definitiva; 2.639 conclusi con condanna non definitiva condizionalmente sospesa; 7.272 conclusi con condanna definitiva (schema 8) tra i quali 1.909 con condanna sospesa condizionalmente.

Questi sono i numeri dei medesimi procedimenti conclusi con assoluzione o proscioglimento (schema 8): il totale ammonta a 3.331 di cui 462 conclusi con sentenza definitiva di assoluzione, 1.745 conclusi con sentenza non definitiva di assoluzione, 289 conclusi con sentenza definitiva per altro, 662 conclusi con sentenza definitiva e non definitiva rientranti nelle categorie di proscioglimento a vario tiolo (ex artt. 129 – 425 – 469 – 529 – 531 c.p.p.).

 

…Quello che dicono i numeri

I numeri hanno parlato e raccontano una brutta storia.

La custodia carceraria è la misura cautelare più utilizzata, a dispetto del principio che assegna alla detenzione carceraria la funzione di ultima trincea, a cui ricorrere solo quando sia stata accertata e adeguatamente motivata l’impossibilità di ricorrere a misure meno afflittive.

La custodia carceraria e gli arresti domiciliari rappresentano da soli quasi il 58% delle misure emesse, oscurando e relegando sullo sfondo le numerose possibilità alternative offerte dal codice di rito.

Circa il 10% dei procedimenti “cautelati” si conclude con un esito che sconfessa, la necessità della misura. Se è vero che in alcuni casi questo può essere accaduto per sviluppi istruttori non preventivabili inizialmente, è ugualmente vero che nella maggior parte dei casi era al contrario prevedibile un esito tale da rendere inutile la cautela.

La Relazione nel suo linguaggio dei numeri dice: “abbiamo un totale di esiti assolutori e di proscioglimento a vario tiolo del 10% circa ossia 1 misura su 10 è stata emessa in un procedimento che avuto poi come esito l’assoluzione/proscioglimento della persona” (pagina 18 relazione).

Se passiamo dalle percentuali ai numeri, vediamo che nel triennio 2018-2020 sono 12.583 le persone sottoposte a misure cautelari del carcere o degli arresti domiciliari assolte o prosciolte, la percentuale è costante nel triennio e si attesta al 10% ogni anno (schema 8 bis pagina 18).

A questi numeri e percentuali di innocenti dobbiamo sommare i procedimenti che si concludono con una sentenza di condanna definitiva o non definitiva con sospensione condizionale della pena, in questo caso con esiti che sconfessano sia pure a posteriori la necessità della misura.

La Relazione con il suo linguaggio li definisce “In linea con l’esito atteso, ma non con la normativa, sono invece le due percentuali medie del 6,3% e del 8,2% per un totale di misure emesse pari al 14,5%”, sono le 4.548 persone arrestate con misure cautelari personali coercitive che all’esito del procedimento hanno avuto la pena sospesa e quindi hanno patito la misura in contrasto con la previsione dell’art. 275 comma 2 bis c.p.p. “Non può essere applicata la misura della custodia cautelare in carcere o quella degli arresti domiciliari se il giudice ritiene che con la sentenza possa essere concessa la sospensione condizionale della pena”.

I numeri parlano e basta volerli leggere.

 

Considerazioni finali

I numeri e le percentuali esposte sono lì a ricordare quanto peso abbiano tuttora quelle ansie securitarie di cui parlava l’on. Ferranti nella proposta che ha portato alla Legge 47/2015 e quali pesanti conseguenze ne derivino.

Cesare Beccaria scriveva: “Il carcere è la semplice custodia d’un cittadino finchè sia giudicato reo, e questa custodia essendo essenzialmente penosa, deve durare il minor tempo possibile e dev’essere meno dura che si possa. Il minor tempo dev’esser misurato e dalla necessaria durazione del processo e dall’anzianità di chi prima ha un diritto di esser giudicato”.

Il suo monito è stato dimenticato.

 Che fare?

Il dibattito sugli eccessi cautelari e le tante riflessioni colte e documentate di studiosi prestigiosi non hanno finora sortito l’auspicato cambio di passo e lo stesso legislatore del 2015 ha visto frustrate le sue aspettative.

Eppure bisogna ugualmente continuare a tenere alta l’attenzione sul tema e continuare ad alimentare l’idea che esista un altrove possibile, più rispettoso della dignità umana e dei principi fondamentali sui quali si regge la nostra comunità.

È ugualmente indispensabile che i difensori di chi subisce un provvedimento cautelare potenzialmente adottino linee reattive di elevata efficacia e inizino fin dalle primissime fasi a inserire esplicitamente tra gli argomenti di contrasto gli indirizzi giurisprudenziali tracciati dalla Corte di Strasburgo così da poterne più facilmente rilevare la violazione in ogni fase e grado del giudizio e, ove occorra, anche dinanzi alla stessa Corte.

È auspicabile che la giurisdizione assecondi con sempre maggiore convinzione un uso limitato e meditato del potere cautelare e respinga ogni suggestione che gli assegni scopi diversi da quelli fisiologici.

Serve insomma uno sforzo corale e ognuno può dare il suo apporto.

 

[1] La relazione ministeriale di cui si parla in questo contributo è consultabile a questo Link.