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Matrimonio: risponde di rapina il coniuge che si impossessa con violenza del cellulare dell’altro

Monte Terminillo (Rieti)
Ph. Federico Radi / Monte Terminillo (Rieti)

Con una recente sentenza (4 marzo 2021, n. 8821), la Corte di Cassazione è tornata a pronunciarsi in tema di ingiusto profitto nei reati contro il patrimonio e, in particolare, nel reato di rapina, affermando che, ai fini dell’integrazione della fattispecie, il profitto, oggetto di dolo (specifico) dell’agente, può consistere in qualsiasi utilità, anche solo morale, che l’agente si riprometta di trarre, anche in via mediata, dalla propria azione, che si concretizzi nella sottrazione della cosa mobile altrui e nell’impossessamento della stessa con violenza e minaccia.

Peraltro, dalla convivenza non consegue alcun diritto o consenso tacito alla conoscenza delle comunicazioni personali del partner e rimane illegittima e ingiustificata qualsiasi intrusione nella sfera personale dello stesso avvenuta senza il suo consenso.

Nel caso di specie, l’imputato, condannato in entrambi i giudizi di merito per i reati di rapina e lesioni a danno della moglie, proponeva ricorso per cassazione per violazione di legge e vizio di motivazione, adducendo la liceità dell’impossessamento del telefono della moglie sulla base di una sorta di consenso tacito, derivante dalla convivenza, alla conoscenza delle comunicazioni, anche personali, del coniuge convivente e dell’esistenza di un diritto di ricercare le prove di un fatto relativo alla violazione del dovere civilistico di fedeltà legato al vincolo matrimoniale.

La Corte di Cassazione ha ritenuto tale censura infondata e in contrasto con l’orientamento dominante che ritiene che l’impossessamento del telefono contro la volontà del proprietario integri una condotta antigiuridica e che l’ingiusto profitto possa, in casi del genere, consistere “nell’indebita intrusione nella sfera di riservatezza della vittima, con la conseguente violazione del diritto di autodeterminazione nella sfera sessuale, che non ammette intrusione da parte di terzi e nemmeno del coniuge.

Richiamando un orientamento giurisprudenziale oramai consolidato, la Cassazione ha precisato che “nel delitto di rapina il profitto può concretarsi in ogni utilità, anche solo morale, nonché in qualsiasi soddisfazione o godimento che l’agente si riprometta di ritrarre, anche non immediatamente, dalla propria azione, purché questa sia attuata impossessandosi con violenza o minaccia della cosa mobile altrui, sottraendola a chi la detiene”.

Di conseguenza, secondo i giudici di legittimità, integra il reato di rapina la condotta del soggetto che, con violenza o minaccia, si impossessi del telefono cellulare del coniuge, potendo il profitto oggetto di dolo (specifico) consistere in una utilità anche solo morale, come scoprire le prove del tradimento, da qualificarsi come ingiusto in ragione dell’indebita intrusione nella sfera di riservatezza della vittima, non sussistendo alcun diritto e alcun consenso tacito della vittima alla conoscenza delle comunicazioni personali di quest’ultima, anche se convivente.

Per tali ragioni, la Corte di Cassazione ha ritenuto il ricorso inammissibile, condannando il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al pagamento di un’ulteriore somma a favore della Cassa delle Ammende.