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Milan Kundera, una leggenda che non morirà mai

Brno, 1 aprile 1929 - Parigi, 11 luglio 2023
Milan Kundera
Milan Kundera

Milan Kundera, una leggenda vivente

Salutiamo con un commosso ringraziamento il grande scrittore boemo Milan Kundera, che ieri si è spento a Parigi a 94 anni, ripubblicando un articolo uscito in occasione del suo ultimo compleanno a firma di Ciro Niglio.

Milan Kundera compie 94 anni. L’autore del romanzo “L’insostenibile leggerezza dell’essere” è nato infatti il 1° aprile 1929 a Brno, all’epoca in Cecoslovacchia (oggi in Repubblica Ceca). Quando oltre quarant’anni fa, nel 1982, scrisse il suo best seller, era già molto conosciuto in patria e non solo.

Non saprei indovinare quanti ricorderanno oggi questo suo importante traguardo di vita. È un grande scrittore, che, da vivente, è entrato nella storia della letteratura. È molto letto e conosciuto, ma non saprei proprio in quanti lo ricorderemo mentre è ancora in vita. Tanti avranno già pronto il “coccodrillo”, quel necrologio scritto “ante mortem”, che prende il nome dalle lacrime facilmente versate dagli alligatori senza sentimento, ma in modo fisiologico, perché non possono sudare…

In occasione del suo genetliaco, gradirei invece ricordarlo in vita, con tutta la considerazione che le sue opere meritano. Celebrarlo oggi evita poi quel velo di ambiguo dolore, tipico della morte dei personaggi famosi. Eviterei quelle forme di velata ipocrisia da “sepolcri imbiancati” di evangelica memoria. Preferisco ricordarlo con oggettivo apprezzamento, senza il dispiacere tipico del lutto. Come ha scritto proprio Kundera nel suo romanzo “L’identità” del 1997: “Come si può soffrire dell’assenza di chi è presente?”

Lo ritengo uno scrittore di Valore e, per questo, lo inserisco in questa mia rubrica “Esempi di Valore”, con l’augurio che possa festeggiare almeno un’altra decina di questi giorni.

Nella sua raccolta di racconti “Amori Ridicoli” pubblicata 55 anni fa, nel 1968, scriveva: “L’uomo attraversa il presente con gli occhi bendati. Può al massimo immaginare e tentare di indovinare ciò che sta vivendo. Solo più tardi gli viene tolto il fazzoletto dagli occhi e lui, gettato uno sguardo al passato, si accorge di che cosa ha realmente vissuto e ne capisce il senso”. In questo scritto, nel ricordare questo grande scrittore, immagino di essere davanti ad uno dei grandi intellettuali europei dell’ultimo secolo, che merita di essere celebrato già in vita. Come altri grandi della letteratura moderna, non ha vinto il premio Nobel. Questo scritto certamente non sarà letto dai membri dell’Accademia svedese, né ha la pretesa che possa influenzarli. Ho il timore che Kundera entrerà a far parte del gruppo dei grandi scrittori moderni che sono entranti nella Storia della letteratura, pur non vincendo il Nobel. È in ottima compagnia. Con lui, ci sono infatti Lev Tolstoj, Mark Twain, James Joyce, il suo connazionale Franz Kafka, Marcel Proust, Eduardo de Filippo, Jorges Luis Borges e tanti altri…

Cercherò di ricordare la sua vita, ripercorrendone alcune episodi, che analizzerò alla luce di brevi estratti dei suoi scritti. I suoi romanzi, che invito a leggere, sono caratterizzati da elementi fortemente esistenzialisti, che vanno oltre il momento storico. Nel suo "L'immortalità" (1988), scrive "Vivere: nel vivere non c'è alcuna felicità. Vivere: portare il proprio io dolente per il mondo. Ma essere, essere è felicità”.

Essere, più che apparire, è la cifra che ha caratterizzato la sua vita.

Dopo il successo mondiale ottenuto nel 1984 con il suo "L'insostenibile leggerezza dell'essere", ha deciso di vivere in modo riservato nella sua patria d'adozione, la Francia, accanto alla donna della sua vita, la moglie Vera Hrabankova. Proprio come ha scritto nel citato capolavoro: "vivere nella verità, non mentire né a sé stessi né agli altri, è possibile soltanto a condizione di vivere senza pubblico. Nell'istante in cui qualcuno assiste alle nostre azioni, volenti o nolenti ci adattiamo agli occhi che ci osservano, e nulla di ciò che facciamo ha più verità. Avere un pubblico, pensare a un pubblico, significa vivere nella menzogna."

Era ancora studente quando, nel 1948, si iscrisse al partito comunista. Fu poi espulso nel 1950, a causa di alcune critiche alla politica culturale del partito presenti nella sua corrispondenza. Erano state scritte da un suo amico, ma, secondo i metodi di una dittatura, fu ritenuto anche lui colpevole. Dopo sei anni, fu riammesso, così consentendogli l'attività accademica, che gli permise di diventare un punto di riferimento nel dibattito culturale mitteleuropeo.

Nel 1968 si schierò apertamente a favore della "Primavera di Praga". Per questo motivo fu costretto a lasciare il posto di docente. Fu un episodio che lo segnò in modo profondo, dimostrando il suo coraggio e la coerenza del suo pensiero. Ambienterà il suo capolavoro proprio durante quel tragico periodo. Nel 1970, "vittima delle sue opinioni", fu nuovamente e definitivamente espulso dal partito. Scriverà poi nel suo romanzo “L'ignoranza” (2001): “Per quanto tremenda possa essere, una dittatura fascista sparirà insieme al suo dittatore, sicché la gente può continuare a sperare. Il comunismo invece, sostenuto dall'immensa civiltà russa, è, per una Polonia, per un'Ungheria (non parliamo dell'Estonia!), un tunnel senza fine. I dittatori sono mortali, la Russia è eterna. La sventura dei paesi da cui veniamo consiste nel fatto che non esiste la speranza.” Era un pensiero rivolto agli anni della “cortina di ferro”, che fortunatamente è stata abbattuta. Quei paesi dell’Europa centrale sono oggi democrazie, ma la Russia è ancora lì, come i fatti di questi mesi ci stanno insegnando…

Nel 1975 emigrò volontariamente in Francia, ove ha insegnato alle Università di Rennes e di Parigi. Nel 1979 gli fu tolta la cittadinanza cecoslovacca dopo la pubblicazione de “Il libro del riso e dell'oblio”, un romanzo scritto in sette parti, “in forma di variazioni”, come scrisse l’autore. Il regime, che già da tempo aveva vietato le sue opere, non gradì lo scritto, iniziando proprio dalle seguenti prime battute che riportano un fatto vero:

Nel febbraio 1948 il dirigente comunista Klement Gottwald si affacciò al balcone di un palazzo barocco di Praga per parlare alle centinaia di migliaia di cittadini che gremivano la piazza della Città Vecchia. Fu un momento storico per la Cecoslovacchia. Un momento fatale, come ce ne sono uno o due in un millennio. Gottwald era circondato dai suoi compagni e proprio accanto a lui c'era Clementis. Faceva freddo, cadevano grossi fiocchi di neve, e Gottwald era a capo scoperto. Clementis, premuroso, si tolse il berretto di pelliccia che portava e lo posò sulla testa di Gottwald. La sezione propaganda diffuse in centinaia di migliaia di esemplari la fotografia del balcone da cui Gottwald, con il berretto di pelo in testa e il compagno a fianco, parlava al popolo. Su quel balcone cominciò la storia della Cecoslovacchia comunista. Dai manifesti, dai libri di scuola e dai musei, ogni bambino conosceva quella foto. Quattro anni dopo Clementis fu accusato di tradimento e impiccato. La sezione propaganda lo cancellò immediatamente dalla storia e, naturalmente, anche da tutte le fotografie. Da allora Gottwald, su quel balcone, ci sta da solo. Lì dove c'era Clementis c'è solo la nuda parete del palazzo. Di Clementis è rimasto solo il berretto che copre la testa di Gottwald.

Nel 1981, per volontà del presidente Mitterrand, Milan Kundera ottenne la cittadinanza francese. Il francese divenne poi la lingua dei suoi romanzi, non concedendo a nessuno per decenni i diritti di traduzione in lingua ceca. Il suo capolavoro “L'insostenibile leggerezza dell'essere”, scritto nel 1982, è stato pubblicato in Repubblica Ceca solo nel 2006.

I suoi scritti sono principalmente romanzi e saggi. Nei suoi romanzi del periodo francese svilupperà poi uno stile personale, il "romanzo-saggio", alternando elementi tipicamente narrativi a parentesi saggistiche. Come ha scritto nel suo citato capolavoro “un romanzo non è una confessione dell'autore, ma un'esplorazione di ciò che è la vita umana nella trappola che il mondo è diventato”.

Nel ringraziare il mio attento lettore, che è arrivato fino a qui, voglio concludere riportando una sua riflessione, tratta da “L’insostenibile leggerezza dell’essere”, che mi ha particolarmente colpito sin dalla prima lettura e che trovo immortale, come il suo autore:

“Chi pensa che i regimi comunisti dell'Europa Centrale siano esclusivamente opera di criminali, si lascia sfuggire una verità fondamentale: i regimi criminali non furono creati da criminali, ma da entusiasti, convinti di aver scoperto l'unica strada per il paradiso. Essi difesero con coraggio quella strada, giustiziando per questo molte persone. In seguito, fu chiaro che il paradiso non esisteva e che gli entusiasti erano quindi degli assassini. Allora tutti cominciarono a inveire contro i comunisti: "Siete responsabili delle sventure del paese (è impoverito e ridotto in rovina), della perdita della sua indipendenza (è caduto in mano alla Russia), degli assassinii giudiziari." Coloro che venivano accusati rispondevano: "Noi non sapevamo! Siamo stati ingannati Noi ci credevamo! Nel profondo del cuore siamo innocenti!" La discussione si riduceva a questa domanda: "Davvero loro non sapevano? Oppure facevano solo finta di non aver saputo nulla?"

Tomas seguiva la discussione (così come la seguivano tutti i dieci milioni di cechi) e si diceva che tra i comunisti c'era sicuramente chi non era del tutto all'oscuro (dovevano pur sempre aver sentito parlare degli orrori che erano stati commessi e che venivano ancora commessi nella Russia postrivoluzionaria). Ma era probabile che la maggior parte di loro non ne sapesse davvero nulla. E si disse che la questione fondamentale non era: "Sapevamo o non sapevamo?", bensì: "Si è innocenti solo per il fatto che non si sa? Un imbecille seduto sul trono è sollevato da ogni responsabilità solo per il fatto che è un imbecille?"

Ammettiamo pure che un procuratore ceco che all'inizio degli Anni Cinquanta chiedeva la pena di morte per un innocente sia stato ingannato dalla polizia segreta russa e dal proprio governo. Ma ora che sappiamo tutti che le accuse erano assurde e i giustiziati innocenti, com'è possibile che quello stesso procuratore difenda la purezza della propria anima e si batta il petto: “La mai coscienza è senza macchia, io non sapevo, io ci credevo.” La sua irrimediabile colpa non risiede proprio in quel 'Io non sapevo! Io ci credevo!'?

Fu allora che a Tomas tornò in mente la storia di Edipo: Edipo non sapeva di dormire con la propria madre ma, quando capì ciò che era accaduto, non si sentì innocente. Non poté sopportare la vista delle sventure che aveva causato con la propria ignoranza, si cavò gli occhi e, cieco, partì da Tebe.”