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231 - Cassazione Penale: ammissibile il sequestro impeditivo di cose pertinenti al reato nei confronti degli enti

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La Corte di Cassazione ha stabilito che, in tema di responsabilità amministrativa degli enti, è ammissibile il sequestro cd. impeditivo delle cose pertinenti al reato di cui all’articolo 321, comma 1, del Codice di Procedura Penale, non essendovi sovrapposizione e, dunque, incompatibilità di natura logico-giuridica di detto istituto con le misure interdittive adottate nei confronti della società.

 

Il caso in esame 

A seguito della richiesta del Pubblico Ministero, il Giudice per le Indagini Preliminari aveva ordinato il sequestro preventivo, ai sensi dell’articolo 321 del codice di procedura penale, delle opere costruite e delle somme percepite illecitamente da una società, accusata del reato di truffa aggravata di cui all’articolo 640-bis del codice penale, per aver “indebitamente percepito erogazioni pubbliche attraverso l’artificiosa creazione di tre serre fotovoltaiche, solo apparentemente dedicate a coltivazione agricola e a floricoltura, che aveva indotto in errore il Ministero per lo Sviluppo Economico per il tramite del Gestore dei Servizi Economici (GSE) e determinato, quindi, l’ingiusto profitto consistente nel percepimento di tariffe incentivanti”. In sede di riesame, il Tribunale aveva confermato il sequestro dei beni di cui sopra. 

Avverso quest’ultima decisione, la società proponeva ricorso per cassazione, deducendo l’inammissibilità del sequestro preventivo di cui all’articolo 321, comma 1, del codice di procedura penale (cd. impeditivo) nei confronti degli enti, in ragione di quanto disposto “dall’articolo 53 dlgs 231/2001 che richiama l’articolo 321 limitatamente ai commi 3, 3 bis e 3 ter, escludendo il riferimento al comma primo, ma, anche a livello sistematico in quanto le finalità precauzionali nei confronti di una persona fisica sarebbero del tutto estranee all’ente per il quale è stata previsto il sequestro solo funzionale alla successiva confisca, anche perché, se così non fosse si verrebbe a creare una sovrapposizione tra il sequestro impeditivo e l’interdizione dell’attività”.

 

La decisione della Suprema Corte 

Al fine di dare soluzione alla questione giuridica prospettata, la Corte di Cassazione ha analizzato le disposizioni codicistiche e quelle di cui al Decreto Legislativo n. 231/2001 in tema di sequestro, nonché la Relazione Ministeriale al Decreto citato. 

Da detta analisi emerge che le ipotesi di sequestro previste dal Decreto Legislativo n. 231/2001 sono più limitate rispetto a quelle disciplinate dal codice di rito e, in particolare, non è stata prevista la possibilità di applicare nei confronti degli enti il sequestro impeditivoperché la funzione cautelare da questo assolta (impedire che “la libera disponibilità di una cosa pertinente al reato possa aggravare o protrarre le conseguenze di esso ovvero agevolare la commissione di altri reati”), avrebbe determinato “una incompatibilità con le sanzioni interdittive irrogabili nei confronti delle persone giuridiche”, anch’esse aventi la stessa finalità”. 

In ragione del fatto che: “l’incompatibilità fra il sequestro impeditivo e le misure interdittive ha costituito l’unico motivo per cui il sequestro di cui all’articolo 321/1 del codice di procedura penale è stato ritenuto inapplicabile nei confronti degli enti”, al fine di verificare detta affermazione, i giudici di legittimità hanno proceduto alla definizione del raggio di azione dei due istituti

Come osservato dalla Suprema Corte, “la paventata incompatibilità potrebbe ravvisarsi laddove la misura interdittiva avesse lo stesso effetto di un sequestro impeditivo: ad es., la misura interdittiva dell’esercizio dell’attività (che, può essere disposta anche in via definitiva ex articolo 16), paralizzando l’attività dell’ente può, apparentemente, sortire lo stesso effetto di un sequestro impeditivo che colpisca le cose pertinenti al reato”. 

Tuttavia, si legge nella sentenza, il campo d’applicazione del sequestro impeditivo non coincide con quello delle misure interdittive, per una serie di ragioni: innanzitutto, “per la temporaneità della misura interdittiva, laddove il sequestro è tendenzialmente definitivo ove, all’esito del giudizio di cognizione, sia disposta la confisca”; inoltre, “mentre la misura interdittiva paralizza l’uso del bene criminogeno solo in modo indiretto (quale effetto di una delle misure interdittive), al contrario, il sequestro (e la successiva confisca) colpisce il bene direttamente eliminando, quindi, per sempre, il pericolo che possa essere destinato a commettere altri reati”.

Infine, i giudici evidenziano come il sequestro sia diretto contro le “cose” che abbiano una potenzialità lesiva dei diritti costituzionali, mentre le misure interdittive sono dirette contro la società e i criteri per la loro applicabilità sono parametrati su quelli delle misure cautelari personali

Peraltro, occorre osservare che “se è vero che l’interdizione dell’esercizio dell’attività può paralizzare anche l’utilizzo delle cose "criminogene", è anche vero che nulla vieta all’ente di continuare a disporre di quei beni”, utilizzandoli per attività non sottoposte ad interdittiva o cedendoli a terzi. 

Alla luce di quanto sopra, appare evidente l’esistenza di un distinto ed autonomo raggio di azione del sequestro impeditivo rispetto alle misure interdittive, in contrasto con quanto indicato nella Relazione Ministeriale al Decreto Legislativo n. 231/2001. 

Altra e diversa questione è quella dell’applicabilità dell’istituto nei confronti degli enti

Invero, detta questione è stata risolta dalla Corte con tre distinti argomenti:

(i) dal punto di vista sistematico, l’applicazione del sequestro cd. impeditivo, in quanto istituto generale previsto dal codice di rito, non trova ostacolo di natura logica-giuridica per insussistenza del paventato pericolo di sovrapposizione con altri istituti;

(ii) a livello letterale, occorre rilevare che l’articolo 34 del Decreto 231 rinvia espressamente a tutte le disposizioni del codice di rito, in quanto applicabili;

(iii) secondo un’interpretazione costituzionalmente orientata, la prospettata impostazione eviterebbe il definirsi di un regime privilegiato per gli enti rispetto a quello generale previsto dal codice di rito

Pertanto, la Corte di Cassazione, rigettando la censura proposta, ha enunciato il seguente principio di diritto:

in tema di responsabilità dipendente da reato degli enti e persone giuridiche, è ammissibile il sequestro impeditivo di cui al comma primo dell’articolo 321 del codice di procedura penale, non essendovi totale sovrapposizione e, quindi, alcuna incompatibilità di natura logica-giuridica fra il suddetto sequestro e le misure interdittive”. 

(Corte di Cassazione - Sezione Seconda Penale, Sentenza 20 luglio 2018, n. 34293)