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Furto - Cassazione Penale: la stanza d’ospedale non costituisce privata dimora

Furto - Cassazione Penale: la stanza d’ospedale non costituisce privata dimora
Furto - Cassazione Penale: la stanza d’ospedale non costituisce privata dimora

La Corte di Cassazione ha stabilito che la stanza di degenza di un ospedale non costituisce luogo di privata dimora, in quanto, da un lato, la titolarità dello ius excludendi alios non appartiene al singolo ammalato ma a terzi (direttore dell’ospedale o primario del reparto ove il paziente è ricoverato) e, dall’altro, il rapporto che lega il paziente ospedaliero alla stanza che lo ospita è privo dei requisiti della stabilità e dell’apprezzabile durata. Pertanto, il furto perpetrato al suo interno non può integrare la fattispecie di cui all’articolo 624-bis Codice Penale.

 

Il caso in esame

La Corte d’Appello di Torino aveva confermato la sentenza emessa dal Tribunale dello stesso luogo di condanna di un soggetto per il reato di furto in abitazione aggravato dalla destrezza (artt. 624-bis e 625, comma 1, n. 4), c.p.) per aver sottratto un telefono cellulare introducendosi all’interno della stanza di ospedale ove la persona offesa era ricoverata.

Avverso la suddetta sentenza l’imputato proponeva ricorso per cassazione, lamentando vizio di motivazione e violazione di legge in ragione della mancata riqualificazione della condotta contestata in quella di cui all’articolo 624 Codice Penale, non costituendo la stanza di ospedale un luogo di privata dimora.

 

La decisione della Suprema Corte 

La Cassazione ha ritenuto il ricorso fondato.

Il ragionamento dei giudici di legittimità, pur traendo le proprie premesse dai principi enunciati dalla Suprema Corte, nella sua più autorevole composizione, nella sentenza n. 31345 del 2017, concernente la riferibilità del concetto di privata dimora rilevante ai sensi dell’art. 624-bis c.p. ai luoghi di lavoro, giunge a conclusioni dissimili da quelle adottate dai giudici di merito.

I giudici di Cassazione enunciano gli indici cui ancorare la classificazione di un luogo come di privata dimora, così come definiti dalla sentenza delle Sezioni Unite: “a) utilizzazione del luogo per lo svolgimento di manifestazioni della vita privata (riposo, svago, alimentazione, studio, attività professionale e di lavoro in genere), in modo riservato ed al riparo da intrusioni esterne; b) durata apprezzabile del rapporto tra il luogo e la persona, in modo che tale rapporto sia caratterizzato da una certa stabilità e non da mera occasionalità; c) non accessibilità del luogo, da parte di terzi, senza il consenso del titolare”.

Secondo la Suprema Corte, nel caso di specie difetterebbero alcuni importanti requisiti necessari per la qualificazione del luogo in cui è stato realizzato il furto (stanza di ospedale) come privata dimora.

Sebbene la stanza di degenza di un ospedale sia luogo in cui la persona ivi ricoverata compie atti della propria vita privata, anche intimi, è pur vero che ciò può avvenire in via non riservata, non sussistendo in capo al paziente un incondizionato ius escludendi alios.

A parere dei giudici di legittimità, “la stanza assegnata ad uno o più pazienti è fisiologicamente accessibile al personale medico e paramedico addetto alla cura ed all’assistenza del paziente, che può farvi ingresso e permanervi ad libitum in ragione delle esigenze specifiche di ciascun ammalato, senza che quest’ultimo vi possa opporre un’esigenza di riservatezza. Non solo: da una parte, la stanza normalmente non può essere chiusa a chiave e, dall’altra, vi possono avere accesso, negli orari consentiti dalla direzione, soggetti che si rechino a visitare ed assistere i pazienti, dei quali l’ammalato non può esercitare il diritto di escludere la presenza, quantomeno laddove si tratti di visitatori del compagno di stanza”. Un effettivo ius escludendi alios sussisterebbe solo in capo al direttore dell’ospedale ovvero al primario del reparto, in quanto è ad essi che è riferito il possesso qualificato dei locali e la competenza a disciplinarne l’accesso.

Inoltre, nel caso in processo, difetterebbero due fondamentali requisiti del rapporto tra soggetto e luogo in cui lo stesso si trova individuati dalla Suprema Corte nella decisione sopra richiamata, ossia quello della “stabilità” e della “durata apprezzabile”, in quanto “il soggetto ricoverato in una struttura sanitaria non ha un rapporto qualificato e stabile con l’ospedale che lo ospita”, essendo tale rapporto legato esclusivamente alle esigenze di diagnosi e cura per cui si è reso necessario il ricovero, da cui dipendono anche i tempi di permanenza nel suddetto luogo.

In conclusione, per le ragioni sopra esposte, la Suprema Corte, ritenuta l’ipotesi di cui all’articolo 624 Codice Penale, ha annullato la sentenza impugnata, con rinvio ad altra sezione della Corte d’Appello di Torino per un nuovo esame in merito al trattamento sanzionatorio.

(Corte di Cassazione - Sezione Quinta Penale, Sentenza 27 novembre 2018, n. 53200)