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Pane, Vino e Formaggio

Parte seconda: il Centro-Sud Italia
centro e sud Italia
centro e sud Italia

Il pasto più semplice, l’abbinamento più comune, può diventare anche il più sofisticato quando i prodotti che lo compongono sono tutti di altissimo livello. Pane, Vino e Formaggio. I tre elementi per eccellenza della nostra tradizione e di quella francese.

Come ho già avuto modo di raccontare nell’articolo dedicato ai formaggi del nord Italia, non amo i luoghi comuni e non amo nemmeno i diminutivi! Quante volte mi sono sentito ripetere: “Ci porti un po’ dei suoi formaggini, con quelle buone marmellatine!”. Uno si sforza di cercare prodotti di alta qualità, notevole personalità e, magari, anche difficili da trovare… e poi li sente chiamare con il diminutivo! Di che farsi cadere le braccia!

Facezie a parte, è indubbio che gli abbinamenti tra cibo e vino hanno una forte componente personale, così come un forte radicamento territoriale e storico. Quando il mercato non ci rendeva disponibile ogni giorno tutto e il suo contrario, gli abbinamenti si facevano con i prodotti disponibili del territorio. Così è normale pensare che il pesce, sulla costa centro adriatica, fosse abbinato con vini rossi. Ma il gusto cambia e l’accesso ai prodotti, i più disparati, ci permette di apprezzare infinite combinazioni, talvolta fondate esclusivamente sul gusto personale, talvolta ragionate sulla base delle caratteristiche intrinseche dei prodotti stessi.

L’Italia, su tutto il suo territorio, possiede un patrimonio caseario inarrivabile, per varietà, per qualità e per radicamento storico culturale. Solo la Francia può vantare qualcosa di simile. A fianco di un’industria molto potente e radicata, resistono realtà artigianali di alta qualità, che ci regalano, si fa per dire, prodotti di altissimo livello e, soprattutto, rappresentativi del territorio.

Dopo l’excursus sul nord, passiamo alle regioni del centro-sud italiano, dove troviamo, come ovvio, formaggi completamente diversi.

La fascia del centro Italia a sud della Linea Gotica è indubbiamente caratterizzata, senza per questo voler generalizzare, dalla presenza del Pecorino e della Caciotta, quest’ultima ricca di combinazioni varie, perché preparate con miscele diverse di latti, a seconda delle disponibilità stagionali.

Non è facile individuare un abbinamento ideale per questi prodotti tanto variegati, ma cerco di proporre qualche indicazione che aiuti a districarsi. La Casciotta di Urbino, che possiamo prendere come prototipo della tipologia di questi formaggi a latte misto e pasta molle, per la freschezza degli aromi e per l’accesso facile. Il consiglio è inevitabilmente di accompagnarlo con un Verdicchio dei Castelli di Jesi il Coroncino dell’omonima Fattoria, un vino immediato e allo stesso tempo di notevole profondità. Per le forme più mature, mi sento di proporre un vino indubbiamente anomalo per la regione, e forse per l’Italia intera, il Colli Pesaresi Pinot Nero Focara della Fattoria Mancini, un Pinot Nero delicato e profumato che non rischia di sopraffare il formaggio.

Le Marche, al loro confine nord con la Romagna, propongono poi anche il Formaggio di Fossa, che già conosciamo. Ma ci fornisce la possibilità di abbinamenti diversi, che in questa regione ci riportano ovviamente al Verdicchio e in questo caso consiglio di fare una piccola ricerca per trovare le annate più mature del Verdicchio dei Castelli di Jesi Cuprese di Colonnara. In azienda, fino a qualche tempo fa, avevano diverse annate, tra cui una monumentale 1999, che per la sua morbidezza e aromaticità si abbina perfettamente a questo formaggio. Oppure, in rosso, il Conero Riserva Dorico di Moroder, mia vecchia passione; Montepulciano di struttura e rotondità straordinarie che accompagnano bene il Fossa.

In Toscana il Pecorino la fa indubbiamente da padrone e ogni territorio ha la sua versione. Il Pecorino Toscano lo si trova su tutto il territorio della regione e con stagionature diverse. Mi sento di proporre in abbinamento con le forme più fresche un Bianco Toscano San Martino de La Busattina, in cui la breve macerazione sulle bucce e la presenza della Malvasia, conferiscono una struttura e una ricchezza aromatica adatte allo scopo. Ma la Toscana è terra di vini rossi e allora provate, sempre con le forme più giovani o di media stagionature, il Pacina dell’omonima azienda di Castelnuovo Berardenga, stile chiantigiano di fattura classica, rustico e profumato. Un formaggio che amo molto e che preferisco maturo, è il Pecorino di Pienza, con la sua caratteristica buccia nera, piccantino e molto saporito, a cui mi piace abbinare una coppia di vini di alto profilo: il Chianti Classico riserve il Poggio del Castello di Monsanto o il Vin San Giusto di San Giusto a Rentennano, un vinsanto denso e quasi violentemente aromatico.

Per quanto riguardo il vino, la Toscana ha subito nell’arco di trent’anni una evoluzione molto importante ed è difficile individuare uno stile territoriale “unitario”. Certo, non è possibile non citare anche vini così importanti come Le Pergole Torte di Montevertine o il Brunello di Montalcino di Biondi Santi. A ognuno le proprie preferenze! Anche secondo la propria disponibilità a investire…Ahimè, la Toscana è un marchio che si paga a caro prezzo!

In Umbria, il Pecorino di Norcia, anch’esso con caratteristiche differenti, a seconda della stagionatura e del metodo di produzione, mi serve per citare un vino particolare e decisamente fuori dal coro: il Montefalco Sagrantino di Paolo Bea, un vino di classicità quasi disarmante, ben lontano dalle patacche caramellose che il mercato ci impone. Provare per credere!

Un posto di primo piano, non fosse altro che il per il suo riferimento storico, lo detiene il Pecorino Romano, prodotto tra Lazio, Sardegna in prevalenza, e provincia di Grosseto. Un formaggio caratteristico, con una presenza di sale molto evidente, che viene molto usato nella preparazione di piatti di pasta, tipici della gastronomia regionale, come la Carbonara o l’Amatriciana.

Su questo formaggio e su molte delle preparazioni che lo vedono protagonista, propongo di abbinare un vino di difficile reperibilità, il Coenobium del Monastero Suore Cistercensi Trappiste di Vitorchiano. Un vino intensamente aromatico, con la giusta morbidezza. Ne esiste anche una versione prodotta con macerazione sulle bucce, appena più austera, da riservare ai formaggi più stagionati, da gustare al naturale.

Un altro prodotto, che effettivamente non si può definire formaggio, molto apprezzato e diffuso è la Ricotta Romana. A discapito del nome, la troviamo un po’ su tutto il territorio. Prodotta da latte ovino, si caratterizza per un sapore decisamente più pieno rispetto alle altre ricotte e la apprezzo proprio per questo. Viene molto utilizzata in preparazioni culinarie, ma anche consumata da sola, ottima per la sua leggerezza e per la freschezza. Difficile abbinare un vino, molto dipende da con cosa si accompagna la Ricotta, ma un buon punto di partenza potrebbe essere il Grechetto Poggio della Costa di Sergio Mottura, fresco, sapido e giustamente morbido.

Tornando sul versante Adriatico, l’Abruzzo, con i suoi pascoli sembra rappresentare l’ambiente ideale per la produzione di formaggi artigianali di qualità. A tal proposito, mi piace ricordare la figura di Gregorio Ruotolo, personaggio caratteristico, a partire dal modo di presentarsi, di un attaccamento atavico alla terra e ai suoi prodotti: Pecorini e Caciocavalli di varie stagionature sono i suoi cavalli di battaglia, ma anche altri piccoli e grandi esperimenti. I prezzi dei suoi formaggi sono alti, ma ne vale la pena! Ma l’Abruzzo è anche terra di grandi vini, sempre di stampo artigianale!

I due nomi che non si possono dimenticare sono, ovviamente, Emidio Pepe e Valentini, che, su due versanti territoriali e stilistici diversi, rappresentano le punte di eccellenza della regione.

Ma voglio iniziare la rassegna la mia breve rassegna dei formaggi di questa regione con un formaggio che amo molto e che in passato ha rappresentato un “must” delle mie scorribande in centro Italia, in Umbria per lo più, la Scamorza. Formaggio a pasta filata dalla tipica forma, caratteristico un po’ di tutto il centro-sud, di diverse stagionature e talvolta affumicata. Quest’ultima, tagliata a metà appoggiata dal lato della buccia, passatela sulla griglia; il calore la ammorbidisce e il carbone ne enfatizza la nota fumé. Una vera e propria golosità da gustare con il Trebbiano d'Abruzzo Vigna di Capestrano di Valle Reale, un vino macerato di notevole dinamica che equilibra perfettamente la grassezza del formaggio. Ovviamente, il Pecorino d’Abruzzo, prodotto in tutta la regione e disponibile anche in questo in diverse stagionature. Sulle forme più fresche mi sento di consigliare un vino che non amo molto, ma che può effettivamente svolgere un ruolo importante, il Trebbiano d'Abruzzo Marina Cvetic di Masciarelli; vino denso che mantiene una freschezza linfatica che aiuta a enfatizzare l’aromaticità del formaggio. Sulle forme più mature, senz’altro il Montepulciano d'Abruzzo Prologo di De Fermo, un vino che unisce alla proverbiale morbidezza del vitigno, una ruvidezza che gli dona fascino.

Nel panorama dei pecorini abruzzesi, vale la pena citare il Pecorino di Farindola, per la sua unicità produttiva, che prevede l’utilizzo di caglio suino e la lavorazione esclusivamente femminile. Quest’ultima caratteristica non conferisce, ovviamente, una nota particolare, ma ci regala un disciplinare rispettoso della tradizione, alla quale, forse, dovremmo prestare più attenzione. Si consuma tendenzialmente maturo, ma mi piace abbinare un vino, a mio parere unico e mitico, il Cerasuolo d'Abruzzo di Valentini. Se avete la fortuna di trovare una bottiglia di annate storiche come la 1988 o al 1979 di questo vino, potrete gustare l’immenso! Ma anche le versioni più recenti, prodotte da Francesco, dopo la scomparsa del vate Edoardo, uniscono la proverbiale forza di questo vino a un tocco di pulizia olfattiva e di immediatezza in più. Rischia di sovrastare il formaggio, ma provate, sarà un piacere!

Spostandosi ancora a sud, sempre sul versante adriatico, mi piace ricordare tra i tanti Caciocavalli, il Caciocavallo Podolico del Gargano; prodotto dal latte delle vacche di razza Podolica, ricco dei sentori dei pascoli montani. Una pasta filata di lunga stagionatura, ricco e saporito, al quale mi sento di abbinare un rosso di carattere come il Molise Aglianico Contado di Di Majo Norante.

Tra i Pecorini, ovviamente, il Canestrato Pugliese; anch’esso disponibile in diverse stagionature, mi sento di abbinarlo ai vini di Cosimo Taurino, produttore fuori dalle mode, i cui vini mantengono una delicata freschezza, capace di ravvivarne la fruizione. In particolare, il Salice Salentino Riserva e, per le forme più mature, il Patriglione. Questo vino, prodotto da uve passite, presenta una densità prepotente che rischia, anche in questo caso, di sovrastare il formaggio, ma la sua eleganza lo distingue in un panorama produttivo troppo spesso volgare.

Ma la Puglia è indissolubilmente legata all’immagine della Burrata. Formaggio fresco a pasta filata, stile mozzarella, aggiunto di panna, tutto dedicato agli amanti dei formaggi vaccini freschi e “burrosi”. In questa regione che non vanta, a mia conoscenza, una tradizione consolidata di vini bianchi, voglio proporre un abbinamento, forse anomalo, con il Salento Five Roses di Leone de Castris, che se non altro evoca, con il formaggio, la ricerca del riparo dalla calura estiva.

Terra forse trascurata, quella della Basilicata, che ci regala comunque una produzione interessante, sia per quanto riguarda i prodotti caseari, che per i vini. Mi piace ricordare tra gli alti, il Canestrato di Moliterno, da latte misto ovino e caprino, ricco e sapido, al quale abbino l’Aglianico del Vulture Riserva Caselle di D'Angelo, dove insiste una eleganza rara al sud.

Ritorno sul versante tirrenico e in Campania, voglio citare due formaggi tra i tanti, conosciuti e no, tipici di questa regione. La Mozzarella di Bufala e il Provolone del Monaco. La prima è protagonista di uno delle preparazioni culinarie più, a mio avviso immeritatamente, note; non cito nemmeno il nome! Ma mi piace abbinare la Mozzarella di Bufala con un vino improbabile come l’Asprinio d’Aversa Spumante Metodo Classico Extra Brut di Grotta del Sole; fresco e sapido, contribuisce ampiamente a “condire” il formaggio. Lo so, a volte sono un po’ eretico!

Il Provolone del Monaco, tipico della tradizione casearia napoletana e sorrentina, si inscrive nella progenie dei Caciocavalli stagionati, molto stagionati e ci consegna un gusto deciso, aromatico e sapido. In questo caso propongo un abbinamento che guarda più alla classicità del prodotto, come il Taurasi Radici Riserva di Mastroberardino. Anche se in anni recenti le scelte produttive sono andate verso una produzione più “commerciale”, rappresenta sempre un prodotto di qualità e un compagno ideale per questo formaggio.

Mi dispiace, ma non conosco a sufficienza i prodotti enologici della Calabria. Tutti gli assaggi che ho fatto, mi hanno lasciato perlomeno indifferente. Perciò mi vedo costretto a saltare a piè pari questa terra ricca e aspra allo stesso tempo.

Le isole! La Sicilia, terra ricca di tradizione culinaria; incrocio nel pieno del mediterraneo di culture diverse, ci dona prodotti di notevole personalità. Tra i tanti, mi piace ricordare il Ragusano, formaggio a pasta filata, da latte vaccino, stagionato, ricco e aromatico. Lo abbino senza esitazioni ai vini di COS; per le forme più giovani, il Bianco Ramì, fresco e di gradevole intensità aromatica e il Cerasuolo di Vittoria Classico, per le forme più stagionate, esempio di purezza e di naturalezza produttiva.

E il Piacentinu Ennese, da latte ovino, addizionato di zafferano e grani di pepe, è un formaggio stagionato di rara complessità aromatica. Quindi azzardo un abbinamento perlomeno anomalo, con il Marsala Superiore Secco The Thousand delle Cantine Mothia.

La Sardegna, grande isola! Bellissima e odiosa, per la sua “vocazione” turistica estiva! Oltre alla produzione già citata del Pecorino Romano, propone una vasta gamma di prodotti caseari, tra cui spicca, ovviamente, il Fiore Sardo! Un Pecorino di buona stagionatura, che può presentare una leggera affumicatura e perciò richiede inevitabilmente l’abbinamento con un vino rosso di grande personalità come il Tenores di Dettori. Ma non voglio trascurare nemmeno l’abbinamento con un vino come il Latinia, vino da uve stramature della Cantina Santadi, dinamico e complesso, per accompagnare le forme più ricche. E il Casizolu, variante insulare del Caciocavallo, a pasta filata, proposto anche in questo caso in differenti stagionature, lo abbino con piacere al Vermentino di Gallura i Graniti di Pedra Majore, ricco e complesso, ma senza eccessi, e Ajana di Ferruccio Deiana, per le forme più stagionate, un rosso ricco e “moderno”, che non trascura i legami e territoriali e amplifica l’aromaticità del formaggio.

La Sardegna propone, poi, un formaggio estremo come il Casu Marzu, colonizzato dalle larve della mosca del formaggio. Purtroppo, non sono mai riuscito ad andare oltre la repulsione visiva per la presenza dei vermi e non l’ho mai assaggiato. Quindi non saprei come proporvelo.

So di non essere stato generoso nei confronti delle regioni del sud Italia, ma confesso di non amare, salvo qualche rara occasione, i vini del sud. L’enologia italiana ha subito negli ultimi trent’anni una evoluzione evidente e talvolta ondivaga. Questo discorso vale in particolare per il sud: un caso su tutti il successo del recupero irresponsabile delle vigne sulle pendici dell’Etna, che ci ha restituito nella maggior parte dei casi, vini caricaturali. Opinione, ovviamente, del tutto personale.

Il pane, anche se la sua posizione è di comprimario, oggi quasi superfluo dal punto di vista strettamente alimentare, merita un discorso a parte. I nostri genitori hanno attraversato la miseria, la guerra e la fame; per loro, avere un pezzo di pane, quando possibile, significava un pezzo di pane nero, fatto con gli scarti delle farine più nobili. Per loro il pane buono era il pane “bianco”. In Italia troviamo una importante tradizione di pani, tutti “bianchi”, molto importante e variegata: giusto per citarne qualcuno, il ferrarese, il toscano, la michetta milanese, il pugliese anche se è fatto con la semola e tanti altri ce ne sono.

Oggi, fortunatamente, ritroviamo un interesse maggiore alla produzione di pani da farine integrali, o semi integrali, più ricche di gusto e più rispettose della natura dei cereali. Magari lievitati con lievito madre. Si tratta, ovviamente di gusti più ricchi, complessi e decisamente più invadenti. Attenzione all’abbinamento, per il gusto, talvolta leggermente amarognolo e per l’acidità!