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Patrocinio a spese dello Stato: i precedenti penali non ostano all’ammissione

Patrocinio a spese dello Stato
Patrocinio a spese dello Stato

Patrocinio a spese dello Stato e il diniego basato sul reddito presuntivo derivante dai precedenti penali.

Si segnala in proposito l’interessante sentenza della cassazione sez. IV n. 2199/2022 depositata il 19 gennaio. La Suprema Corte stabilisce che il mero richiamo ai precedenti penali senza contestualizzarli è da censurare perché il giudice deve esplicitare le ragioni per le quali l’istante debba ritenersi percettore di redditi, seppur non dichiarati e di provenienza illecita, attraverso il confronto tra il tenore di vita e le dichiarazioni fiscali specificando gli elementi dai quali desumere esistenza e consistenza dei redditi illeciti. Il mero richiamo al casellario non è sufficiente.

Il Fatto

Il Tribunale di Palermo ha rigettato l’opposizione ai sensi dell’art. 99, d.P.R. 115/02, proposta avverso il provvedimento del 7/12/2018, con il quale il Giudice per l’udienza preliminare del Tribunale di Palermo ha rigettato l’istanza di ammissione di M. G. al beneficio del patrocinio a spese dello Stato per i non abbienti.

Quel giudice ha ritenuto che il reddito dell’istante  (valutato in relazione alle risorse di qualsiasi natura delle quali egli disponga, tra le quali i  proventi dell’attività illecita, attestati dai precedenti penali del predetto nel campo dei delitti  contro il patrimonio e in tema di violazione del T.U. stupefacenti) non consentisse di  valutarla positivamente la stessa; egli, secondo il ragionamento del giudice dell’opposizione, non aveva dimostrato come, con il reddito minimo dichiarato, avesse potuto mantenere una  famiglia composta da sei soggetti, tre dei quali minorenni; inoltre, il relativo onere probatorio non poteva gravare sul pubblico ministero o sull’Agenzia delle Entrate.

Nel provvedimento ha richiamato le condanne definitive per reati che sono stati ritenuti indicativi della dedizione professionale del M. G. ad attività illecite remunerative.

Difesa

Avverso il provvedimento ha proposto ricorso la difesa, formulando un motivo unico, con il quale ha dedotto violazione e falsa applicazione della legge in relazione alla presunzione di possidenza di redditi ostativi all’ammissione al beneficio di che trattasi, basata sui precedenti penali del richiedente.

La decisione della Cassazione

Il motivo è fondato. Va ricordato che, ai fini dell’ammissione al beneficio del patrocinio dello Stato per i non abbienti, il giudice deve tener conto anche dei redditi da attività illecite, la cui esistenza può esser provata anche con presunzioni semplici.

Ma bisogna considerare che l’indicazione legale del limite di reddito al di sotto del quale il richiedente ha diritto al beneficio, impone al giudice di indicare sulla scorta di quali elementi possa ritenersi superata detta soglia (cfr. sez. 4, n. 44900 del 18/9/2018, Troiano Roberto, Rv. 274271, in fattispecie “in cui la insussistenza del requisito reddituale era stata desunta esclusivamente dalla presenza di precedenti penali per reati contro il patrimonio, senza considerare che l’unico precedente risalente all’anno di riferimento era un delitto tentato, dal quale dunque il ricorrente non aveva tratto alcun reddito”; n. 53387 del 2/11/2016, Caruso, Rv. 268688, in cui la Corte ha annullato con rinvio l’ordinanza con la quale l’istanza di ammissione era stata rigettata, inferendosi la insussistenza del requisito reddituale esclusivamente dalla presenza di precedenti penali del ricorrente). 

In altri termini, il giudice deve esplicitare le ragioni per le quali l’istante debba ritenersi percettore di redditi, seppur non dichiarati e di provenienza illecita, attraverso il confronto tra il tenore di vita e le dichiarazioni fiscali (cfr. sez. 4, n. 15338 del 30/1/2020, Troiano Roberto, Rv, 278867), specificando gli elementi dai quali desumere esistenza e consistenza dei redditi illeciti (cfr. sez. 4, n. 26056 del 24/7/2020, Schirone Graziano, Rv. 280011). 

Nella specie, il giudice si è limitato a richiamare, senza neppure contestualizzarle, le condanne definitive riportate nel certificato del casellario, omettendo quindi di motivare in ordine alla consistenza, anche approssimativa, di tali redditi e alla loro incidenza sul requisito reddituale riferibile all’anno d’imposta considerato.

Né può ritenersi che una motivazione, ancorché viziata e quindi incensurabile, sia stata offerta mediante il rinvio alla consistenza del nucleo familiare del richiedente, il riferimento risolvendosi in un vero e proprio corto circuito motivazionale, come efficacemente evidenziato in ricorso. 

Stante l’assenza di una motivazione in ordine alla qualità e consistenza dei presunti redditi da attività illecita, da ricavarsi alla stregua di uno scrutinio degli elementi fattuali che hanno condotto a quelle condanne e della rilevanza temporale di esse, del tutto incongruente è, dunque, il richiamo alla natura della presunzione posta dalla norma di riferimento.

In tema di patrocinio e revoca del decreto dei compensi al difensore si può consultare il contributo "Patrocinio a spese dello Stato e revoca del decreto di liquidazione al difensore".