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Patteggiamento dell’ente e assoluzione del legale rappresentante

Un interessante caso di contrasto di giudicati è stato esaminato dalla Corte d’appello di Trento (sentenza depositata in data 1° febbraio 2022; udienza: 3 dicembre 2021)
Patteggiamento
Patteggiamento

Patteggiamento dell’ente e assoluzione del legale rappresentante


Un interessante caso di contrasto di giudicati è stato esaminato dalla Corte d’appello di Trento (sentenza depositata in data 1° febbraio 2022; udienza: 3 dicembre 2021).


Il fatto

Tizio, legale rappresentante della Società Alfa s.r.l., proponeva istanza di revisione per ottenere la revoca della sentenza di patteggiamento emessa a carico di Alfa.

L’applicazione della pena era intervenuta nell’ambito di un procedimento nei confronti di Tizio e della società di cui era legale rappresentante per gli addebiti di ricettazione e c.d., reimpiego (artt. 648 e 648-ter c.p.) e 25-octies D.lg. 231/2001.

In sede di udienza preliminare, le due posizioni sono state separate, avendo il difensore della società, su scelta dell’amministratore giudiziario all’epoca nominato, chiesto di definirne la posizione con istanza di applicazione della pena di euro 51.600 a titolo di sanzione amministrativa pecuniaria, sulla quale il G.U.P. si è pronunciato con sentenza divenuta irrevocabile.

Nel separato giudizio a carico di Tizio, da me difeso insieme ad altro collega, dopo la pronuncia di condanna di primo grado, era intervenuta sentenza della Corte d’Appello, a sua volta divenuta irrevocabile, che lo aveva mandato assolto dagli addebiti con la formula “perché il fatto non costituisce reato”.


L’istanza di revisione

Secondo Tizio si era venuta a determinare una oggettiva incompatibilità tra l’esito assolutorio nei suoi confronti e l’applicazione della pena nei confronti della società: identico era il capo di imputazione ed identiche apparivano le condotte in entrambi i casi contestate, essendo gli addebiti mossi alla società coincidenti con gli illeciti attribuiti al soggetto in posizione apicale, per i quali si era formato il giudicato assolutorio.

Secondo l’art. 73 D.lg. n. 231/2001, alle sentenze pronunciate nei confronti dell’ente si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni del codice di procedura penale in materia di revisione; inoltre, nella giurisprudenza di legittimità è stato affermato che le impugnazioni dell’imputato persona fisica e dell’ente sono e restano indipendenti, mentre solo l’eventuale risultato positivo si estende al fine di evitare possibili contrasti di giudicati che potrebbero imporre la revisione della sentenza dichiarativa della responsabilità dell’ente stesso.

Sussistendo, pertanto, la situazione descritta dall’art. 630, comma 1, lett. a) c.p.p., Tizio chiedeva la revoca della sentenza di applicazione della pena emessa nei confronti della società Alfa s.r.l. con conseguente proscioglimento dell’ente; chiedeva, altresì, ordinarsi la restituzione della somma versata a titolo di sanzione amministrativa e, infine, disporsi la pubblicazione dell’estratto della sentenza di revisione su un quotidiano locale.


La decisione

La Corte riassume, innanzitutto, i fatti essenziali:

La società è stata tratta a giudizio per rispondere dell’illecito amministrativo di cui all’25-octies D.lg. 231 quale beneficiaria degli illeciti di cui all’art. 648-ter c.p. attribuiti all’amministratore, ed in particolare per aver ricevuto un cospicuo numero di assegni provento di delitto a loro volta pervenuti nella disponibilità del primo; in sostanza, la responsabilità dell’ente è stata affermata, con sentenza di applicazione della pena, con riferimento ai medesimi addebiti ascritti all’amministratore e come diretta conseguenza della responsabilità penale ad egli ascritta.

In secondo luogo, la Corte esamina la motivazione della sentenza assolutoria di Tizio:

l’esito è stato determinato dalla ritenuta insussistenza dell’elemento soggettivo richiesto dalla fattispecie di cui all’art. 648-ter c.p. affermandosi, per le ragioni diffusamente argomentate in quella sede, che Tizio non poteva sospettare che le risorse impiegate da tale Caio per effettuare giocate per conto di un'altra persona fossero in realtà provento di delitti commessi da tale Sempronio, dipendente infedele di un istituto di credito che aveva negli anni sottratto danaro a diversi correntisti della banca; in particolare la Corte veneziana ha ritenuto, per le modalità delle scommesse che Caio effettuava presso il punto di gioco … (gestito dalla società Alfa), con pagamento delle puntate mediante assegni circolari e non con danaro contante e sempre previa sua identificazione, che non vi fossero elementi tali da far insorgere un qualche ragionevole sospetto sulla provenienza di tali importi specie in ragione del fatto che Caio affermava di agire per conto di una terza persona, modalità assolutamente lecita e riconosciuta stante la normativa in essere.

A questo punto, viene esaminata una possibile obiezione concernente il contenuto della sentenza di patteggiamento:

potrebbe dunque obiettarsi che la sentenza emessa secondo tale modalità, che prescinde dall’accertamento di responsabilità ma si risolve in un accordo negoziale tra le parti del processo in forza del quale, sulla scorta dei soli atti a disposizione e con rinuncia alla difesa nel merito, il soggetto imputato fruisce di un trattamento più favorevole, non sia suscettibile di revisione per contrasto di giudicati qualora l’esito assolutorio sia stato conseguito in un procedimento che non si sia svolto con tale peculiare modalità, tanto che si è talvolta dubitato che la sentenza emessa ex art. 444 c.p.p. possa essere revocata per contrasto con altra pronuncia irrevocabile specie se essa sia conseguita ad un procedimento in cui vi sia stata valutazione meritale da parte dell'organo giudiziario.

La Corte, invece, ha ritenuto preferibile l’orientamento interpretativo che ammette la possibilità di revoca, qualora il contrasto vada ad investire i fatti posti a fondamento della sentenza di applicazione della pena, nel senso che risulti dimostrato che il successivo accertamento giudiziale abbia investito i presupposti logico-fattuali della pronuncia revocanda.

In altri termini, se la sentenza assolutoria si connota per l’oggettiva esclusione di un necessario presupposto logico di quella revocanda si dovrà necessariamente revocare la sentenza di patteggiamento che, al contrario, conserverà i suoi effetti qualora ciò non sia in concreto rilevabile.

È certamente corretto affermare che vi è diretta connessione logica tra il fatto costituente reato, commesso dall’amministratore, e la responsabilità della persona giuridica, sicché altrettanto corretta appare la consequenziale osservazione per cui, venendo meno la responsabilità penale del primo, viene meno anche quella di tipo amministrativo della seconda.

Dalla formulazione stessa degli addebiti appariva evidente che la società Alfa fosse stata chiamata a rispondere per illeciti penali attribuiti al suo amministratore e posti in essere a suo vantaggio; l’illiceità degli apporti patrimoniali conseguiti dipendeva, secondo l’ipotesi accusatoria, dal fatto che Tizio aveva reimpiegato nella società, al fine di garantirle maggiori entrate, somme provento di illecito, commettendo il delitto di cui all’art. 648-ter c.p.

Vi era, dunque, nella stessa formulazione dell’accusa, un rapporto di stretta interdipendenza logico-fattuale tra le condotte penalmente illecite di Tizio e gli incrementi delle entrate della società.

Tuttavia, dall’addebito di cui all'art. 648-ter c.p. Tizio risultava essere stato definitivamente assolto, non costituendo più quelle condotte illecito penale, e ciò si è riverberato direttamente sull’affermata responsabilità amministrativa della società.

Infine, nella motivazione si precisa che non è applicabile, nel caso di specie, il principio stabilito dall’art. 72 D.lg. 231 che pare presupporre che siano contemporaneamente pendenti le impugnazioni proposte rispettivamente dall’ente e dall’imputato, prevedendo un reciproco effetto estensivo.

La Corte ha accolto la domanda di revisione e disposto la revoca della sentenza di patteggiamento della società ; di conseguenza, ha ordinato la restituzione in suo favore della somma versata a titolo di sanzione amministrativa nonché la pubblicazione dell’estratto della

 sentenza di revisione su un quotidiano locale (“stante l’evidente clamore che in quella comunità ha suscitato la vicenda e l’altrettanto comprensibile interesse alla riabilitazione del nome commerciale”), secondo quanto previsto dall’art. 642 c.p.p.