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Pausare: voce del verbo far pausa per pensare bene

Alcuni verbi suonano strani. Pausare è proprio uno di quelli che intuisci quale azione stanno a significare
PAUSARE
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Pausare: voce del verbo far pausa per pensare bene


Alcuni verbi suonano strani. Pausare è proprio uno di quelli che intuisci quale azione stanno a significare, eppure non comprendi se puoi usarlo solo con gli amici, in modo ironico, o anche nei grandi eventi.

Sembra nuovo di zecca in realtà appartiene al latino tardo. Sì, perché gli umanisti stan sempre radicati in quei secoli dove l’uomo era al centro senza, nondimeno, voler stabilire un antropocentrismo a-relazionale.

Verbo antico le cui vestigia occorre recuperare nella contemporaneità. Immediatamente evoca il far pausa, ovvero interrompere un’attività per darsi un tempo di sospensione.

Se lo attracchiamo alle ingegnose elucubrazioni che l’essere umano ha escogitato per stimolare i suoi cinque sensi, troviamo pause nel parlare, nello scrivere, nella musica ed anche in altri campi.

La pausa è un elemento decisivo, indispensabile, vitale.

È sorella minore del silenzio.

Rimembriamo, per brevità, l’influenza che essa riveste nella musica; addirittura, nell’espressione sonora gregoriana assume sembianze figurative neumatiche che la fanno apparire opera d’arte sia nel tratto sia nell’ascolto.

Contrassegnata, a volte, dall’indefinitezza e dalla variabilità, il manifesto ad libitum, può apparire come un capriccio, in realtà esprime l’armonia interiore dell’esecutore.

Per rimanere ancora in ambito canoro, nell’alveo che generò l’italica lingua, il secolo XIII, si parla di vox ammissa – chiara l’assonanza con la nostra famigliare «omissione»: il non proferir verbo – e di vox prolata, il pronunciare esplicito.

In epoca rinascimentale fan capolino le pause «indiziali», una sorta di «cassetta degli attrezzi» indispensabile per muoversi nelle aggrovigliate mensurabilis del tempo.

Dai tacet ai sospiri il pausare è l’indice del riprendersi per rigenerarsi.

Non intendiamo evocare la grande pausa contemplativa del «settimo giorno», bensì incunearci nel divertissement (distrazione) pascaliano per fugare il dubbio che il sostare in pausa rappresenti una de-responsabilizzazione riguardo la tenue o spietata consistenza dei problemi i quali, in misura più o meno grande, affliggono il nostro essere personale.

Il far pausa, con consapevolezza, reca seco l’essere gravido del voler pensar bene.

Ed il pensar bene è salute, sensatamente olistica, per la persona. Calamitare a noi pensieri positivi, armoniosi e sinfonici vuol dire raccogliere il nostro «at-tendere» alla crescita della nostra interiorità.

Il pensare bene ed il pensare il bene, traguarda il cronologico muovendosi verso il tempo-qualità: è la svolta verso il cambiamento. Quest’ultimo, tuttavia, è esigente, non s’attiva allo schiocco delle dita! Richiede l’orientamento impegnato dell’animo.

Pensare bene e pensare il bene significa crescere: il mestiere più faticoso dell’uomo!

L’esistenza è una grande avventura e, contemporaneamente, una grande narrazione a sé stessi ed a chi condivide con noi il vivere.

Il sentirsi ingabbiati in una presenzialità negativa, senza spiragli futuri, costituisce l’eutanasia di quella radice spirituale che abita il nostro essere.

Pensare bene e pensare il bene è trasformarci scegliendo ciò che è ben-essere, da non confondere con un ben-avere insoddisfacente e disidentificatore.

In definitiva, per iniziare, pausiamo per pensar bene e pensare il bene ovvero il nostro essere felici.