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Pirateria - Corte di Giustizia UE: gli amministratori di piattaforme online di condivisione sono responsabili per i file caricati dagli utenti

Pirateria - Corte di Giustizia UE: gli amministratori di piattaforme online di condivisione sono responsabili per i file caricati dagli utenti
Pirateria - Corte di Giustizia UE: gli amministratori di piattaforme online di condivisione sono responsabili per i file caricati dagli utenti

Con la sentenza Stichting Brein, del 14 giugno 2017, la Corte europea di Giustizia dichiara che gli amministratori delle piattaforme di condivisione svolgono un ruolo fondamentale nella messa a disposizione e gestione delle opere, spesso coperte da diritto d’autore, anche se caricate online dagli utenti. Saranno per questo direttamente responsabili per le violazioni del copyright.

La sentenza spiega chiaramente che gli amministratori giocano un ruolo imprescindibile nella possibilità data agli utenti di accedere alle opere caricate e messe online dagli altri utenti della piattaforma.

Ne consegue la responsabilità diretta di tutti gli amministratori o intermediari, grandi giganti del web o di entità minore, detentori dell’onere di vigilare sui contenuti caricati dagli utenti, eventualmente illegali.

 

All’interno dei confini olandesi

In primo grado il giudice olandese accoglie le richieste della Stitching Brein, le quali, però, in appello non godono dello stesso successo.

D’innanzi alla Hoge Raad der Nederlanden, cioè la Corte Suprema dei Paesi Bassi, viene accertato che attraverso la piattaforma TPB sono messe a disposizione del pubblico opere protette senza autorizzazione alcuna del titolare dei diritti; la Corte, però, rileva di non essere in grado di stabilire con certezza se la TPB, con le sue attività, comporti una comunicazione al pubblico di suddette opere, soprattutto quando:

  • vi è un sistema operativo nel quale gli utenti si collegano tra loro (secondo un modello peer to peer) per condividere frammenti di opere che collocate sul loro computer;
  • gestisce un sito Internet sul quale gli utenti possono compiere upload di file torrent che rinviano ai frammenti di siffatte opere; e
  • indicizza sul sito Internet i torrent caricati, in modo tale che i frammenti delle opere possano essere localizzati e gli utenti possono scaricare tali opere sui loro computer, opere che si ricompongono per intero.

In presenza di tali dubbi, la Hoge Raad decide di appellarsi alla Corte di Giustizia europea (CGE), chiedendo se, in questo caso, si configuri una comunicazione al pubblico ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 1 della direttiva 29/2001, profilandosi quindi una violazione del diritto d’autore.

 

Ma come funziona The Pirate Bay?

La Stitching Brein è la fondazione di diritto olandese per la tutela dei diritti d’autore e connessi che ha citato in giudizio la Ziggo BV e la XS4ALL, fornitori di accesso ad Internet, al fine di ottenere un’ingiunzione che bloccasse i nomi di dominio e gli indirizzi IP della piattaforma di condivisione online The Pirate Bay (“TPB”).

The Pirate Bay è una piattaforma sulla quale gli utenti possono condividere, attraverso il protocollo BitTorrent, piccole parti di file dette “torrents”. I seeders, cioè gli utenti che vogliono mettere un proprio file a disposizione di altri utenti, detti leechers, inviano i file torrent ad un server centrale, il tracker, che identifica i seeders disposti a condividere il file ed il file multimediale stesso.

La piattaforma provvederà, poi, ad indicizzare i file caricati, affinché possano essere reperiti dagli utenti e affinché le opere possano essere scaricate mediante download sui computer degli utenti.

L’avvocato generale Szpunar, nelle sue conclusioni presentate l’8 febbraio 2017, al fine di spiegare come funziona TPB, cita il giudice australiano Cowdroy nella sentenza della Federal Court of Australia, del 4 febbraio 2010, Roadshow Films Pty Ltd c iiNet Limited (N. 3) (2010) FCA 24, il quale analizza la piattaforma con la seguente metafora: “il documento condiviso è il tesoro, il cliente bit-torrent è la nave, il documento torrent è la mappa che indica il luogo in cui si trova il tesoro, The Pirate Bay fornisce gratuitamente la mappa del tesoro e il tracker è il vecchio saggio che deve essere consultato per comprendere la mappa”.

Questo ruolo ausiliario assunto da TPB che indicizza i file e fornisce un motore di ricerca è il fulcro della questione: costituisce questa attività una comunicazione al pubblico delle opere?

 

La risposta della CGE: vi è comunicazione volontaria al pubblico

La Corte ha confermato la sussistenza di una “comunicazione al pubblico”, e fornisce quattro criteri di analisi al fine di giudicare.

In primis, si realizza un atto di comunicazione quando, con piena coscienza delle conseguenze del caso, l’intervento è attuato al fine di consentire ai clienti accesso ad un’opera protetta, clienti che altrimenti avrebbero grosse difficoltà – se non impossibilità – nel fruire dell’opera.

È vero che le opere sono messe online dagli utenti stessi, ma la Corte rileva che in questo caso gli amministratori, attraverso la messa a disposizione e gestione della piattaforma, intervengono con piena cognizione delle conseguenze della propria attività. Anzi, gli stessi amministratori hanno espressamente manifestato su blog e forum della TPB l’obiettivo di mettere a disposizione opere protette, incitando gli utenti a realizzarne copia.

A seguire, la Corte valuta anche il carattere lucrativo o meno della comunicazione, e TPB genera considerevoli introiti pubblicitari.

Infine valuta altri due criteri: se l’opera è trasmessa ad un pubblico non presente nel luogo in cui la comunicazione ha origine, e se è indifferente che il pubblico usufruisca davvero dell’opera presente online. Anche questi due criteri sussistono nel caso preso in esame dalla CGE, che al punto 42 afferma che la piattaforma è utilizzata da “un numero considerevole di persone”, e che molti hanno scaricato file multimediali dalla piattaforma.

 

Conclusioni

Gli eurogiudici hanno quindi stabilito che la nozione di comunicazione al pubblico comprende la messa a disposizione e la gestione online di una piattaforma di condivisione, come la TPB, la quale mediante l’indicizzazione di metadati torrent e la fornitura di una barra di ricerca, risulta utile a tutti quegli utenti che vogliono localizzare su Internet le opere protette o sono interessati a condividerle con gli altri utenti tramite una rete peer-to-peer.

In particolare, secondo la Corte: “La nozione di «comunicazione al pubblico», ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 1, della direttiva 2001/29/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 22 maggio 2001, sull’armonizzazione di taluni aspetti del diritto d’autore e dei diritti connessi nella società dell’informazione, deve essere interpretata nel senso che essa ricomprende la vendita di un lettore multimediale, come quello di cui al procedimento principale, nel quale sono state preinstallate estensioni, disponibili su Internet, contenenti collegamenti ipertestuali a siti web liberamente accessibili al pubblico sui quali sono state messe a disposizione del pubblico opere tutelate dal diritto d’autore senza l’autorizzazione dei titolari di tale diritto.”; inoltre: “Le disposizioni dell’articolo 5, paragrafi 1 e 5, della direttiva 2001/29 devono essere interpretate nel senso che atti di riproduzione temporanea, su un lettore multimediale come quello di cui al procedimento principale, di un’opera tutelata dal diritto d’autore ottenuta via streaming su un sito web appartenente a un terzo che offre tale opera senza l’autorizzazione del titolare del diritto d’autore non soddisfano i requisiti indicati nelle menzionate disposizioni”. Pertanto lo streaming non sarà esentato dal divieto di riproduzione.

La sentenza potrebbe avere ampi effetti interni agli Stati Membri, i cui giudici potrebbero operare seguendo l’orientamento espresso dalla CGE in tutti i casi in cui operatori online permettono di condividere contenuti di proprietà di terzi, i quali non hanno dato l’autorizzazione. Tali operatori possono essere grandi colossi come Google, Youtube e Facebook, ma può trattarsi anche di piccoli forum, blog o giornali online.

(Corte di Giustizia dell’Unione Europea - Seconda Sezione, Sentenza 26 aprile 2017, Causa C-527/15)

Con la sentenza Stichting Brein, del 14 giugno 2017, la Corte europea di Giustizia dichiara che gli amministratori delle piattaforme di condivisione svolgono un ruolo fondamentale nella messa a disposizione e gestione delle opere, spesso coperte da diritto d’autore, anche se caricate online dagli utenti. Saranno per questo direttamente responsabili per le violazioni del copyright.

La sentenza spiega chiaramente che gli amministratori giocano un ruolo imprescindibile nella possibilità data agli utenti di accedere alle opere caricate e messe online dagli altri utenti della piattaforma.

Ne consegue la responsabilità diretta di tutti gli amministratori o intermediari, grandi giganti del web o di entità minore, detentori dell’onere di vigilare sui contenuti caricati dagli utenti, eventualmente illegali.

 

All’interno dei confini olandesi

In primo grado il giudice olandese accoglie le richieste della Stitching Brein, le quali, però, in appello non godono dello stesso successo.

D’innanzi alla Hoge Raad der Nederlanden, cioè la Corte Suprema dei Paesi Bassi, viene accertato che attraverso la piattaforma TPB sono messe a disposizione del pubblico opere protette senza autorizzazione alcuna del titolare dei diritti; la Corte, però, rileva di non essere in grado di stabilire con certezza se la TPB, con le sue attività, comporti una comunicazione al pubblico di suddette opere, soprattutto quando:

  • vi è un sistema operativo nel quale gli utenti si collegano tra loro (secondo un modello peer to peer) per condividere frammenti di opere che collocate sul loro computer;
  • gestisce un sito Internet sul quale gli utenti possono compiere upload di file torrent che rinviano ai frammenti di siffatte opere; e
  • indicizza sul sito Internet i torrent caricati, in modo tale che i frammenti delle opere possano essere localizzati e gli utenti possono scaricare tali opere sui loro computer, opere che si ricompongono per intero.

In presenza di tali dubbi, la Hoge Raad decide di appellarsi alla Corte di Giustizia europea (CGE), chiedendo se, in questo caso, si configuri una comunicazione al pubblico ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 1 della direttiva 29/2001, profilandosi quindi una violazione del diritto d’autore.

 

Ma come funziona The Pirate Bay?

La Stitching Brein è la fondazione di diritto olandese per la tutela dei diritti d’autore e connessi che ha citato in giudizio la Ziggo BV e la XS4ALL, fornitori di accesso ad Internet, al fine di ottenere un’ingiunzione che bloccasse i nomi di dominio e gli indirizzi IP della piattaforma di condivisione online The Pirate Bay (“TPB”).

The Pirate Bay è una piattaforma sulla quale gli utenti possono condividere, attraverso il protocollo BitTorrent, piccole parti di file dette “torrents”. I seeders, cioè gli utenti che vogliono mettere un proprio file a disposizione di altri utenti, detti leechers, inviano i file torrent ad un server centrale, il tracker, che identifica i seeders disposti a condividere il file ed il file multimediale stesso.

La piattaforma provvederà, poi, ad indicizzare i file caricati, affinché possano essere reperiti dagli utenti e affinché le opere possano essere scaricate mediante download sui computer degli utenti.

L’avvocato generale Szpunar, nelle sue conclusioni presentate l’8 febbraio 2017, al fine di spiegare come funziona TPB, cita il giudice australiano Cowdroy nella sentenza della Federal Court of Australia, del 4 febbraio 2010, Roadshow Films Pty Ltd c iiNet Limited (N. 3) (2010) FCA 24, il quale analizza la piattaforma con la seguente metafora: “il documento condiviso è il tesoro, il cliente bit-torrent è la nave, il documento torrent è la mappa che indica il luogo in cui si trova il tesoro, The Pirate Bay fornisce gratuitamente la mappa del tesoro e il tracker è il vecchio saggio che deve essere consultato per comprendere la mappa”.

Questo ruolo ausiliario assunto da TPB che indicizza i file e fornisce un motore di ricerca è il fulcro della questione: costituisce questa attività una comunicazione al pubblico delle opere?

 

La risposta della CGE: vi è comunicazione volontaria al pubblico

La Corte ha confermato la sussistenza di una “comunicazione al pubblico”, e fornisce quattro criteri di analisi al fine di giudicare.

In primis, si realizza un atto di comunicazione quando, con piena coscienza delle conseguenze del caso, l’intervento è attuato al fine di consentire ai clienti accesso ad un’opera protetta, clienti che altrimenti avrebbero grosse difficoltà – se non impossibilità – nel fruire dell’opera.

È vero che le opere sono messe online dagli utenti stessi, ma la Corte rileva che in questo caso gli amministratori, attraverso la messa a disposizione e gestione della piattaforma, intervengono con piena cognizione delle conseguenze della propria attività. Anzi, gli stessi amministratori hanno espressamente manifestato su blog e forum della TPB l’obiettivo di mettere a disposizione opere protette, incitando gli utenti a realizzarne copia.

A seguire, la Corte valuta anche il carattere lucrativo o meno della comunicazione, e TPB genera considerevoli introiti pubblicitari.

Infine valuta altri due criteri: se l’opera è trasmessa ad un pubblico non presente nel luogo in cui la comunicazione ha origine, e se è indifferente che il pubblico usufruisca davvero dell’opera presente online. Anche questi due criteri sussistono nel caso preso in esame dalla CGE, che al punto 42 afferma che la piattaforma è utilizzata da “un numero considerevole di persone”, e che molti hanno scaricato file multimediali dalla piattaforma.

 

Conclusioni

Gli eurogiudici hanno quindi stabilito che la nozione di comunicazione al pubblico comprende la messa a disposizione e la gestione online di una piattaforma di condivisione, come la TPB, la quale mediante l’indicizzazione di metadati torrent e la fornitura di una barra di ricerca, risulta utile a tutti quegli utenti che vogliono localizzare su Internet le opere protette o sono interessati a condividerle con gli altri utenti tramite una rete peer-to-peer.

In particolare, secondo la Corte: “La nozione di «comunicazione al pubblico», ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 1, della direttiva 2001/29/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 22 maggio 2001, sull’armonizzazione di taluni aspetti del diritto d’autore e dei diritti connessi nella società dell’informazione, deve essere interpretata nel senso che essa ricomprende la vendita di un lettore multimediale, come quello di cui al procedimento principale, nel quale sono state preinstallate estensioni, disponibili su Internet, contenenti collegamenti ipertestuali a siti web liberamente accessibili al pubblico sui quali sono state messe a disposizione del pubblico opere tutelate dal diritto d’autore senza l’autorizzazione dei titolari di tale diritto.”; inoltre: “Le disposizioni dell’articolo 5, paragrafi 1 e 5, della direttiva 2001/29 devono essere interpretate nel senso che atti di riproduzione temporanea, su un lettore multimediale come quello di cui al procedimento principale, di un’opera tutelata dal diritto d’autore ottenuta via streaming su un sito web appartenente a un terzo che offre tale opera senza l’autorizzazione del titolare del diritto d’autore non soddisfano i requisiti indicati nelle menzionate disposizioni”. Pertanto lo streaming non sarà esentato dal divieto di riproduzione.

La sentenza potrebbe avere ampi effetti interni agli Stati Membri, i cui giudici potrebbero operare seguendo l’orientamento espresso dalla CGE in tutti i casi in cui operatori online permettono di condividere contenuti di proprietà di terzi, i quali non hanno dato l’autorizzazione. Tali operatori possono essere grandi colossi come Google, Youtube e Facebook, ma può trattarsi anche di piccoli forum, blog o giornali online.

(Corte di Giustizia dell’Unione Europea - Seconda Sezione, Sentenza 26 aprile 2017, Causa C-527/15)