A proposito di un Convegno sul trust
Ho seguito con molta partecipazione l’ultimo congresso dell’Associazione “Il trust in Italia” che avrebbe dovuto svolgersi a Rimini ma che poi si è svolto, com’è naturale in remoto.
Personalmente mi è sembrato un evento assai positivo e un format decisamente da ripetere anche se in futuro non esisteranno più, almeno ce lo auguriamo, indipendentemente dall’impatto sui convegni, i divieti che oggi tengono banco.
Si perde, in questo modo, la possibilità di incontrare persone e di scambiare idee a caldo, ma la qualità del seguimento è indiscutibilmente maggiore perché sono bandite le distrazioni. Il congresso è stato molto ben organizzato oltre che per i temi trattati, anche per la gestione, e il rispetto dei tempi (adeguati, ma non eccessivi) assegnati ai vari interventi, e il materiale messo a disposizione. Se posso trovare una pecca questa risiede nel fatto di aver previsto, allo stesso orario due sessioni di lavoro su temi diversi, così che inevitabilmente uno è andato necessariamente perduto.
La sessione di diritto straniero, affidata a un panel estremamente qualificato (Paolo Bernasconi, , Mark Herbert, Maurizio Lupoi, Paul Matthews e Paolo Panico, è iniziata con un esame e una discussione sulle clausole anti Bartlett, e segnatamente sull’esame della sentenza dalla Court of Final Appel di Hong Kong nella causa Arboit, Sutton and Wise Lords Ltd v DBS, 2019 HKCFA 45, conosciuta anche come Zhang and Ji v DBS Trustee, che ha deciso che le cosiddette clausole Anti Bartlett, contenute nell’atto istitutivo di un family trust di Jersey, hanno il potere di esonerare i trustees da ogni responsabilità per le perdite subite in transazioni effettuate dalla società gestore dalla liquidità del trust per conto dei trustees medesimi. Tema di rilevante impatto oltre che interesse, di cui, i lettori ricorderanno, ci si era occupati nella rubrica del mese di giugno di questa Rivista.
Un altro caso ha preso in esame un problema di arbitrato discusso nel 2019 avanti la Corte di Appello dell’Arkansas (Gibbons e altri v Anderson -Arkansas Court of Appeal), in cui i ricorrenti (co-trustees) avevano appellato il diniego di una domanda che era stata sollevata per deferire all’arbitrato una denuncia presentata dagli appellati (beneficiari).
Gli appellanti sostenevano, nell’appello, che il tribunale avrebbe dovuto imporre il ricorso all'arbitrato perché esisteva un valido accordo fra le parti che contemplava il ricorso a tale procedura. Sostenevano, inoltre, che il tribunale di primo grado aveva errato nel decidere che le questioni relative a una fraud fossero di competenza di una Corte e non degli arbitri.
Un ulteriore questione relativa a un arbitrato era stata sollevata avanti la Corte Suprema delle Bahamas (Matteo Volpi v Delanson Service Limited and Gabriele Volpi - Bahamas Supreme Court),
laddove si trattava di decidere se la corte avesse giurisdizione in base alla s 79 A del Trustee Act 1998; se il caso avrebbe dovuto essere definito attraverso un arbitrato, e infine se i termini del trust prevedevano la giurisdizione esclusiva a favore della Nuova Zelanda.
Altri temi di questa sessione hanno riguardato poi L'errore del trustee: (Representation of Pinnacle Trustees Limited (Jersey, Royal Court); Il trustee (troppo) accomodante verso il disponente e la sua responsabilità: Sofer v Swiss Indepenedent Trustees SA (England and Wales, Court of Appeal); Leggerezze dei professionisti nel momento della istituzione del trust: Bowak v Saxton (England and Wales, High Court); Il significato del termine “administration”: Ivanishvili, Bidzina and others v Credit Suisse Trust Ltd (Supreme Court of Singapore).
Il convegno poi ha dato spazio al diritto penale nell’ambito dei trusts nel cui contesto, attraverso l’esame di alcune recenti sentenze della Cassazione, si è affrontato il tema della intestazione fittizia di beni, della loro sottrazione fraudolenta, e della possibilità di procedere a sequestro dei beni in trust. Tutti temi di rilevante interesse, anche in relazione al frequente ricorso a questo strumento, cui purtroppo continuiamo ad assistere, per finalità fraudolente.
Altri argomenti toccati hanno riguardato quello della società semplice quale trustee e quello dei
patti prematrimoniali e trust. In particolare quest’ultimo tema si sta rivelando in concreto di attuale e rilevante interesse paratico stante quella che potremo definire una sempre più frequente attenzione alla dimensione economica all’interno del matrimonio, in linea con il progressivo rilievo che all’interno di questo contratto viene ad acquistare la materia dei rapporti economici fra coniugi e il desiderio di prevenire le liti in caso di rottura del vincolo. D’altra parte non può neppure tacersi il fatto che è da tempo un classico, nei trust familiari, quello di escludere i coniugi dei figli dai beni a questi spettanti nella successione dei loro genitori.
Interessante, poi, la sessione dedicata ai beneficiari litisconsorti che si è arricchita dell’apporto di più di una sentenza da parte delle corti di merito e della Cassazione, dall’esame delle quali emerge il principio secondo cui il beneficiario è litisconsorte necessario solo nel caso in cui l’atto si stato posto in essere a titolo oneroso: Corte d’Appello Milano, 2 luglio 2020; Corte di Cassazione, 26 maggio 2020; Corte d’Appello Torino, 18 maggio 2020; Corte d’Appello L’Aquila, 11 maggio 2020; Corte d'Appello Bolzano, 9 maggio 2020; Tribunale Prato, 20 aprile 2020; Tribunale Lucca, 10 aprile 2020; Tribunale di Latina, 30 maggio 2019.
Un argomento sempre di rilevante interesse, è stato affrontato congiuntamente da parte dal Presidente Picciotto e dell’Avv. Tonelli, in merito al trust irriconoscibile, con una analisi della legislazione straniera particolarmente puntuale, in cui l’avvocato ha svolto, in questo caso il ruolo di consulente del giudice su alcuni aspetti controversi della giurisprudenza di Jersey. Nel corso del suo intervento il dott. Picciotto ha manifestato le sue perplessità a proposito di quanto di recente affermato dalla Corte di Cassazione riguardo al fatto che il riconoscimento del trust da parte del legislatore, effettuato attraverso la ratifica della Convenzione dell’Aja, esenterebbe il trust dal sottostare, di volta in volta, al un giudizio di meritevolezza essendo questo già stato effettuato a monte dal legislatore. In effetti, come anche i contratti tipici, in cui la meritevolezza dello schema astratto è sicuramente stata previamente valutata dal legislatore, non si sottraggono a un esame, in concreto, del loro impiego, così anche nel caso del trust non ci si potrà sottrarre dall’effettuare l’esame dello scopo che in concreto si vuol perseguire per valutare la liceità o meno dello scopo per il quale il trust viene impiegato.
Anche sul tema della revocatoria si è svolto un serrato dibattito, che ha registrato, in particolare, un dissenso rispetto alle recenti pronunce della Cassazione che mirano a estendere, anche all’atto istituivo del trust, gli effetti della declaratoria di inefficacia che colpisce l’atto o gli atti di disposizione in danno dei creditori del disponente.( Corte di Cassazione, 6 luglio 2020; Tribunale Bari, 24 giugno 2020; Corte d'Appello Milano - 17 aprile 2020; Corte d'Appello di Ancona, 24 ottobre 2019; Corte di Cassazione, 15 ottobre 2019; Corte di Cassazione, 30 settembre 2019; Corte di Cassazione, 15 aprile 2019)
La sessione dedicata al fisco non ha potuto che prendere atto con soddisfazione di quanto in questi anni si è andato predicando sulla non imponibilità dei conferimenti effettuati in trust - essendo ormai stato acquisito che gli stessi sconteranno l’imposta proporzionale al momento del loro trasferimento ai beneficiari – e sulla neutralità dei conferimenti effettuati nel caso di trust di garanzia o liquidatori.
Suggestivi gli interventi della Dott.ssa Bernardo e del notaio Muritano (Trust persona fisica e giuridica) a margine di un provvedimento del giudice del registro delle imprese di Roma (Decreto del 22 aprile 2018, n. 12758/15 v.g.). Il punto, non affrontato nel decreto, riguardava il tema della soggettività del trust 2463-bis, comma 1, codice civile, secondo cui solo persone fisiche possono partecipare a una S.r.l. semplificata con conseguente nullità dell’atto di trasferimento effettuato a favore di chi non sia persona fisica e siccome il trust non può essere “parificato” a una persona fisica pur essendo l’ufficio di trustee è rivestito da una persona fisica, non può essere socio di una S.r.l. semplificata.
La parte dedicata agli argomenti vari ha spaziato in una serie di ambiti molto eterogenei, la cui trattazione ha suscitato interesse sia per la loro attualità sia perché sfuggono, almeno nella maggior parte dei casi ad analisi più specifiche (Trust e banche, trust multicollettivo per il dopo di noi,il regolamento della camera arbitrale, i trust liquidatori, i titolari effettivi nell’ambito dei trusts, per citare solo alcuni temi) così pure come si è rivelata ricca si spunti preziosi la sessione dedicata al dopo di noi e all’esame delle esperienze professionali maturate in questo ambito. Più ostica – almeno per chi scrive – la ricerca di uno spazio per il trust nell’ambito di blockchain e degli smart contracts.
Vorrei chiudere però questa schematica ricognizione soffermandomi un momento su due interventi del prof. Lupoi che mi sono sembrati particolarmente stimolanti.
Uno ha riguardato “trust, flussi giuridici e fonti di produzione del diritto” traendo spunto da un contributo pubblicato nel 2018 sul Foro Italiano. “Il flusso giuridico è qualunque dato esterno a un sistema che è percepito come risolutivo rispetto a un tema che i meccanismi interni di quel sistema non sono in grado di regolare giuridicamente in modo soddisfacente”. Il trust costituisce appunto il prodotto di questo flusso che è stato recepito dall’ordinamento (italiano) nel quale si è inserito autorevolmente. La teoria dei flussi spiega infatti che l’ordinamento, verso il quale il flusso è diretto, o recepisce il flusso o lo rigetta, come è accaduto per esempio per quanto riguarda il fenomeno del sistema delle “primarie” usato per selezionare i candidati a una carica che, dopo una serie di tentativi nella ricerca di una regolamentazione condivisa, non sembra aver fatto breccia nel sistema e, infatti, si trova oggi in una fase sicuramente recessiva e residuale. Quanto al trust, il suo recepimento è avvenuto nell’arco di alcuni anni attraverso il riconoscimento costante sia da parte della dottrina, che dell’attività svolta dalle corti di merito che, quindi, anche prima dei ripetuti interventi della Cassazione in merito, hanno determinato il successo di questo inserimento che ora ha trovato riscontro anche a livello legislativo, come istituto cioè il cui uso è entrato di diritto, per esempio, nell’ambito della legge sul “dopo di noi”.
Ma forse, il punto di maggior interesse – quello dei flussi era in fondo un tema non nuovo – lo ha fornito un breve intervento del Prof Lupoi che – dopo aver sostanzialmente introdotto il trust in Italia e averlo fatto comprendere, in senso lato, come cultura oltre che come tecnica redazionale a un cospicuo numero di professionisti, di ricercatori e di studiosi, dopo aver costruito il negozio di affidamento fiduciario, che ha avuto immediato riconoscimento da parte del legislatore con la legge sul dopo di noi, e che è presente in un disegno di legge presentato alla Camera – ha nuovamente sparigliato le carte in tavola rimettendo in discussione la tecnica redazionale di un atto di trust alla quale lo stesso Lupoi ha dedicato più di un volume e per cui ha predisposto anche un articolato formulario.
Ora Lupoi teorizza un diverso approccio. Il suo ragionamento, dunque, muove da un assunto: gli atti di trust che vengono scritti possono essere anche tecnicamente perfetti (ma dobbiamo anche pensare che non sempre lo sono), ma non sono sovente comprensibili e compresi neppure da coloro che ne sono i destinatari, vale a dire il disponente e i beneficiari a causa di un linguaggio troppo tecnico e poco familiare al profano. Il primo obiettivo è allora quello di redigere un atto che sia giuridicamente ineccepibile, ma che sia di immediata comprensione anche da parte dei destinatari e degli utilizzatori di questo strumento anche se questo può voler dire sacrificare qualcosa alla tecnica redazionale a favore di un linguaggio più piano e discorsivo. Un altro aspetto è quello della lunghezza, ci troviamo di fronte ad atti di dieci, dodici, a volte quindici pagine che risultano insopportabili e ridondanti. Quindi occorre intanto ridurne drasticamente la lunghezza.
Una prima indicazione è quella di espungere dal contenuto standard di un atto quelle disposizioni che ricalcano previsioni contenute nella Convenzione dell’Aja e da ritenere ormai acquisite senza che sia necessario ripeterle ogni volta: i beni sono separati da patrimonio del trustee, non entrano nella sua successione, e via dicendo.
La seconda indicazione è quella di utilizzare la possibilità, prevista dalla Convenzione dell’Aja, di far ricorso al depeçhage che consente di disciplinare il trust facendo ricorso alle leggi di diversi paesi, utilizzando, seguendo le indicazioni del Prof. Lupoi, segnatamente le leggi di Jersey e quella di San Marino, riservando a quest’ultima la disciplina delle figure tipiche del trust: disponente, beneficiario, guardiano, e lasciando alla legge di Jersey l’impalcatura dell’atto.
Questa indicazione, in questa sede appena accennata, rappresenta una nuova sfida a cimentarsi su un terreno per il quale il formulario che lo stesso Lupoi aveva apprestato rappresentava allo stesso tempo un supporto e un tranello. Un supporto perché lo strumento contemplava in pratica una casistica amplissima e tale da dare una risposta alle più svariate esigenze, ma al tempo stesso una trappola e uno strumento pericoloso nelle mani di chi non avesse una robusta formazione alle spalle e che non potesse vantare con il trust e con il suo mondo, una pratica collaudata perché dava a tutti l’illusione di poter redigere, con poco sforzo, un atto
E infatti, se qualcuno si volesse prendere la briga di andare a leggere gli atti redatti dalle Alpi ai monti Nebrodi troverebbe che, nella quasi totalità, si rifanno agli schemi e al lessico usato nel formulario.
D’altra parte l’esigenza di chiarezza e di comprensione da parte anche dei non addetti appare giustamente essere stata, finora, troppo trascurata e giunto dunque il momento per ripensare il modo di stilare un atto, anche per rendere il trust meno estraneo di quanto tuttora sia, almeno al grande pubblico.
È una sfida ancora più grande, se vogliamo perché abbandonare le sicurezze che un percorso tracciato offre per percorrere sentieri nuovi sotto il profilo del linguaggio, ma tali da rispondere alle stesse esigenze di completezza e di rispetto delle norme, non appare certamente un compito facile.