Rassegna della giurisprudenza della Cassazione Civile 2007

Tra le tante pronunce segnalate nell’annuale rassegna della giurisprudenza delle Sezioni Civili della Corte di Cassazione, redatta dall’Ufficio del Massimario della Corte di Cassazione, segnaliamo le seguenti in materia di trasporti marittimi e di agenzia, particolarmente importanti per le imprese.

In tema di trasporti marittimi, una delle modalità più frequenti di trasporto marittimo di merci è attualmente quella attuata per mezzo di container. La particolare struttura di quest’ultimo (un contenitore chiuso e sigillato) ha fatto sorgere già da anni il problema di stabilire se il vettore sia responsabile nel caso soltanto di perdita del container (considerato in sé e per sé l’oggetto del trasporto), ovvero anche nel caso in cui venga smarrita o danneggiata parte della merce contenuta nel container. A tale problema ha dato in parte risposta la sentenza n. 15589, la quale ha stabilito che in caso di trasporto marittimo di merci mediante containers, con clausola full containers load - said to contain, va esclusa - a prescindere da qualsiasi eventuale riserva inserita nella polizza di carico - la responsabilità del vettore, per ammanchi in sede di riconsegna, allorché risulti provato che i contenitori siano stati consegnati dal caricatore chiusi con sigilli (od analoghi sistemi), la cui integrità sia stata constatata all’arrivo: tale prova infatti è sufficiente a superare la presunzione di colpa contrattuale di cui all’art. 1693 cod. civ. a carico del vettore. Se, invece, il vettore abbia assunto la piena responsabilità ex recepto non solo con riferimento al container in quanto tale, ma anche in relazione alla merce in esso contenuta ed al suo peso (quale risultante dalle polizze di carico), egli risponde della eventuale sottrazione anche parziale della merce (sentenza n. 14835).

Particolare interesse, in materia di diritti dell’agente, rivestono le sentenze n. 9538 e n. 16347, con cui la Corte, affrontando la problematica relativa ai presupposti per il riconoscimento dell’indennità dovuta in caso di cessazione del rapporto, ha preso nuovamente posizione in ordine all’interpretazione dell’art. 1751 cod. civ., nel testo modificato dall’art. 4 del d.lgs. n. 303 cit., anche alla luce degli artt. 17 e 19 della direttiva 86/653/CEE del Consiglio, del 18 dicembre 1986, interpretati dalla Corte di Giustizia CEE nella sentenza 23 marzo 2006, in causa C-465/04: al riguardo, premesso che l’inderogabilità della disciplina legale ne comporta la prevalenza su quella meno favorevole per l’agente dettata da regole pattizie, individuali o collettive, è stato ribadito che, ai fini del riconoscimento dell’indennità in questione, il giudice deve sempre applicare la normativa che assicuri all’agente, alla luce delle vicende del rapporto concluso, il risultato migliore; si è quindi affermato che l’indennità contemplata dall’Accordo economico collettivo del 27 novembre 1992 rappresenta per l’agente soltanto un trattamento minimo garantito, il quale può essere considerato di maggior favore soltanto qualora, in concreto, non spetti all’agente l’indennità di legge in misura inferiore. In ordine ai criteri di liquidazione dell’indennità, la citata sentenza n. 16347 ha poi preso atto che, secondo la Corte di Giustizia, l’art. 17 della direttiva non impone un calcolo analitico, ma consente anche il ricorso a metodi di calcolo sintetici, che valorizzino più ampiamente il criterio dell’equità e, quale punto di partenza, il limite massimo di un’annualità media di provvigioni previsto dalla direttiva medesima; ha pertanto affermato che l’attribuzione dell’indennità è condizionata non soltanto alla permanenza, per il preponente, di sostanziali vantaggi derivanti dall’attività di promozione degli affari compiuta dall’agente, ma anche alla rispondenza ad equità dell’attribuzione, in considerazione delle circostanze del caso concreto, ed in particolare delle provvigioni perse dall’agente.

Tra le tante pronunce segnalate nell’annuale rassegna della giurisprudenza delle Sezioni Civili della Corte di Cassazione, redatta dall’Ufficio del Massimario della Corte di Cassazione, segnaliamo le seguenti in materia di trasporti marittimi e di agenzia, particolarmente importanti per le imprese.

In tema di trasporti marittimi, una delle modalità più frequenti di trasporto marittimo di merci è attualmente quella attuata per mezzo di container. La particolare struttura di quest’ultimo (un contenitore chiuso e sigillato) ha fatto sorgere già da anni il problema di stabilire se il vettore sia responsabile nel caso soltanto di perdita del container (considerato in sé e per sé l’oggetto del trasporto), ovvero anche nel caso in cui venga smarrita o danneggiata parte della merce contenuta nel container. A tale problema ha dato in parte risposta la sentenza n. 15589, la quale ha stabilito che in caso di trasporto marittimo di merci mediante containers, con clausola full containers load - said to contain, va esclusa - a prescindere da qualsiasi eventuale riserva inserita nella polizza di carico - la responsabilità del vettore, per ammanchi in sede di riconsegna, allorché risulti provato che i contenitori siano stati consegnati dal caricatore chiusi con sigilli (od analoghi sistemi), la cui integrità sia stata constatata all’arrivo: tale prova infatti è sufficiente a superare la presunzione di colpa contrattuale di cui all’art. 1693 cod. civ. a carico del vettore. Se, invece, il vettore abbia assunto la piena responsabilità ex recepto non solo con riferimento al container in quanto tale, ma anche in relazione alla merce in esso contenuta ed al suo peso (quale risultante dalle polizze di carico), egli risponde della eventuale sottrazione anche parziale della merce (sentenza n. 14835).

Particolare interesse, in materia di diritti dell’agente, rivestono le sentenze n. 9538 e n. 16347, con cui la Corte, affrontando la problematica relativa ai presupposti per il riconoscimento dell’indennità dovuta in caso di cessazione del rapporto, ha preso nuovamente posizione in ordine all’interpretazione dell’art. 1751 cod. civ., nel testo modificato dall’art. 4 del d.lgs. n. 303 cit., anche alla luce degli artt. 17 e 19 della direttiva 86/653/CEE del Consiglio, del 18 dicembre 1986, interpretati dalla Corte di Giustizia CEE nella sentenza 23 marzo 2006, in causa C-465/04: al riguardo, premesso che l’inderogabilità della disciplina legale ne comporta la prevalenza su quella meno favorevole per l’agente dettata da regole pattizie, individuali o collettive, è stato ribadito che, ai fini del riconoscimento dell’indennità in questione, il giudice deve sempre applicare la normativa che assicuri all’agente, alla luce delle vicende del rapporto concluso, il risultato migliore; si è quindi affermato che l’indennità contemplata dall’Accordo economico collettivo del 27 novembre 1992 rappresenta per l’agente soltanto un trattamento minimo garantito, il quale può essere considerato di maggior favore soltanto qualora, in concreto, non spetti all’agente l’indennità di legge in misura inferiore. In ordine ai criteri di liquidazione dell’indennità, la citata sentenza n. 16347 ha poi preso atto che, secondo la Corte di Giustizia, l’art. 17 della direttiva non impone un calcolo analitico, ma consente anche il ricorso a metodi di calcolo sintetici, che valorizzino più ampiamente il criterio dell’equità e, quale punto di partenza, il limite massimo di un’annualità media di provvigioni previsto dalla direttiva medesima; ha pertanto affermato che l’attribuzione dell’indennità è condizionata non soltanto alla permanenza, per il preponente, di sostanziali vantaggi derivanti dall’attività di promozione degli affari compiuta dall’agente, ma anche alla rispondenza ad equità dell’attribuzione, in considerazione delle circostanze del caso concreto, ed in particolare delle provvigioni perse dall’agente.