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Ricettazione vs impiego in attività economiche: il reimpiego

L’articolo648-ter Codice penale (Impiego di denaro, beni o utilità di provenienza illecita) punisce chiunque, fuori dei casi di concorso nel reato e dei casi previsti dagli articoli 648 (ricettazione) e 648-bis (riciclaggio), impiega in attività economiche o finanziarie denaro, beni o altre utilità provenienti da delitto” (c.d. reimpiego).

Cosa si intende per “impiego” in attività economiche? Da un punto di vista oggettivo il reimpiego deve essere nettamente distinto dalla ricettazione. Specie perché comporta una pena decisamente più gravosa rispetto alla ricettazione.

Quasi sempre la giurisprudenza concentra l’attenzione esclusivamente sull’elemento soggettivo delle fattispecie. Tuttavia, una volta ravvisato l’elemento soggettivo necessario (come noto anche nella forma del dolo eventuale), il Giudice deve distinguere le fattispecie in relazione a tutti gli elementi essenziali loro propri.

L’elemento specializzante (e anche aggravatore) contenuto nell’articolo 648-ter Codice Penale, l’“impiego in attività economiche”, deve essere esaminato con particolare attenzione. Altrimenti si corre il rischio di una condanna per reimpiego quando invece, in realtà, la condotta è esclusivamente quella della ricezione (e detenzione) di utilità illecite per fini di profitto.

La Corte di Cassazione in più occasioni ha mostrato di focalizzare l’attenzione sulla necessità di individuare atti di impiego veri e propri distinti dalla mera disponibilità di denaro “sporco”. Insomma: se l’utilità illecita entra nella disponibilità di un soggetto, l’atto di impiego penalmente rilevante è il suo successivo utilizzo, in uscita dal patrimonio del soggetto in questione (almeno in prima battuta).

L’impiego va inteso come successivo e distinto utilizzo, come chiarito dalla Cassazione:

L’articolo 648 ter è quindi in rapporto di specialità con l’articolo 648 bis e questo lo è, a sua volta, con l’articolo 648 (Cass. Sez. 4, n. 6534 del 23/03/2000); carattere specifico della condotta dell’articolo 648 ter è quindi la circostanza che l’effetto dissimulatorio deve essere ricercato attraverso l’impiego del denaro o degli altri beni in attività economiche o finanziarie con la consapevolezza della illiceità della suddetta provenienza e della volontà di ottenere l’effetto di occultamento; e se con la previsione sanzionatoria dell’articolo 648 ter Codice Penale si vuole reprimere il reimpiego in attività economiche e finanziarie dei proventi illeciti, deve subito ammettersi che la condotta delle imputate integri la contestata ipotesi in quanto con la previsione sanzionatoria dell’articolo 648 ter Codice Penale, si vuole reprimere il reimpiego in attività economiche e finanziarie dei proventi illeciti. Non vi è infatti alcun dubbio che l’attività delle imputate (e neppure le ricorrenti lo contestano in maniera specifica) ha permesso il reimpiego delle somme illecitamente acquisite da M.L. (vedi pag.17 e 18 sentenza impugnata) ed il delitto di reimpiego punisce proprio le condotte aventi ad oggetto beni o denaro di provenienza illecita, necessariamente successive alla acquisizione illecita delle somme; del tutto inappropriato è, pertanto, parlare di "post factum" non punibile, posto che qualsiasi condotta tesa all’impiego delle somme realizza proprio la fattispecie prevista dall’articolo 648-ter cod. pen. (Cassazione, Sezione Seconda Penale, 11 aprile 2018, n. 20135).

Quanto appena esposto si fonda, peraltro, sulla ratio della norma incriminatrice e sull’individuazione dell’interesse protetto dalla stessa. La disponibilità – acquisizione, detenzione – è già punita dalla ricettazione. È l’utilizzo di tale disponibilità ad integrare il reimpiego.

Sia che si voglia dare un’accezione ampia che più ristretta al termine “impiego” (entrambe sostenute in dottrina), in ogni caso serve qualcosa di più e di diverso dalla mera disponibilità potenziale dell’utilità illecita.

Il termine "impiego" rimanda a nozioni volutamente non tecniche, dovendosi intendere per tale qualsiasi tipo e qualsiasi forma di "utilizzazione" e/o di "investimento" dei capitali illeciti, con l’unica specificazione e limitazione che si tratti di un impiego in attività economiche o finanziarie (Cassazione, Seconda Sezione Penale, II, 14 luglio 2016, n. 33076). 

Tramite l’introduzione dell’articolo 648-ter Codice Penale si è voluto rendere punibile l’attività finale della commissione di illeciti di natura patrimoniale, concretantesi nell’investimento produttivo dei proventi illeciti. L’espressione “investimento produttivo” è usata dalla stessa giurisprudenza di legittimità: “…mentre l’anello terminale sfociante nell’investimento produttivo dei proventi di origine illecita rientra nello spazio di operatività dell’articolo 648-ter Codice Penale” (Cassazione, Quarta Sezione Penale, 15 febbraio 2007 n. 6350).

Del resto, è il concreto utilizzo del denaro “sporco” a poter inquinare l’economia legale, il c.d. ordine economico.

Va evidenziato che Cass., II, 8 maggio 2018, n. 35433 esalta tale ratio incriminatrice, addirittura affermando che solo tenendo presente tale criterio, che attiene all’elemento oggettivo del reato, può condividersi la tralatizia posizione giurisprudenziale enunciata con riguardo all’elemento psicologico:

Scopo della norma è quello di tutelare l’inserimento nel tessuto economico lecito e sano di capitali sporchi. In sostanza la disposizione in esame si preoccupa di colpire tutte quelle operazioni insidiose in cui il denaro di provenienza illecita, immesso nel circuito lecito degli scambi commerciali, tende a far perdere le proprie tracce, camuffandosi nel tessuto economico-imprenditoriale.

Solo tenendo presente tale criterio, che attiene all’elemento della condotta del reato, può condividersi il principio enunciato, con riguardo all’elemento psicologico, da questa Corte regolatrice secondo cui "le tre fattispecie di cui agli artt. 648, 648 bis e 648 ter Codice Penale sarebbero accomunati dalla provenienza dei beni da delitto, e si distinguerebbero invece sotto il profilo soggettivo per il fatto che la ricettazione richiede solo il dolo di profitto, mentre la seconda e la terza richiedono la specifica finalità di far perdere le tracce dell’origine illecita, con l’ulteriore peculiarità, quanto alla terza, che detta finalità dev’essere perseguita mediante l’impiego delle risorse in attività economiche o finanziarie...." (Cass. n.  6534 del 2000; n.  18103 del 2003; n. 19907 del 2009; n. 33076 del 2016).

La Suprema Corte ha affermato che la condotta di impiego può consistere nelle seguenti attività, tutte sempre e immancabilmente successive alla ricezione di utilità di provenienza illecita:

- costruzione di immobili (Cass., IV, 8 settembre 2005 n. 33058)

La sentenza sancisce la possibilità di concorso tra reimpiego e trasferimento fraudolento di valori in un caso in cui il denaro di provenienza illecita è stato utilizzato “nella realizzazione degli immobili, immessi in attività economiche lecite da parte di soggetti cui tali beni sono stati attribuiti in proprietà”.

Cass. II, 27 giugno 2018, n. 35659 

1. Il Tribunale di Lodi, adito in sede di riesame, con ordinanza in data 08/03/2018 confermava il decreto del 17/05/2016 con il quale il Giudice delle indagini preliminari del Tribunale di Lodi aveva disposto il sequestro preventivo, finalizzato alla confisca anche per equivalente, dei beni di proprietà di DGS, indagato per i reati di cui agli artt. 110 e 648 ter cod. pen. (capo c.); articolo 8 comma 1 D. Lgs. 74/2000 (capo d.) e articolo 4 D. Lvo 74/2000 (capo e.) sino a concorrenza della somma di euro 6.136.459.873,00.

1.1. Secondo l’impianto accusatorio, ritenuto comprovato nell’ ordinanza di sequestro cautelare, il DG risultava responsabile di illeciti tributari nonché del riciclaggio dei proventi di tali illeciti reimpiegati anche per la costruzione di un centro commerciale realizzato su un terreno sito nel comune di San Giuliano Milanese ed oggetto di una più ampia indagine riguardante pure fatti di corruzione.“

- acquisto di beni immobili (Cass. V, 15 gennaio 2020, n. 13311)

“La sentenza concerne la contestazione del reato di cui agli artt. 56, 648-ter Codice Penale per avere impiegato i proventi dei reati tributari e societari per l’acquisto del medesimo immobile suindicato stipulando accordi nell’anno 2018 sia con la M. s.r.l., pagando la caparra da conti esteri intestati alla S. e A. Corporation, sia con la V. s.r.l., così compiendo atti diretti in modo non equivoco ad intestare tali immobili alle società di diritto bulgaro denominate S. LTD e S. Corporation a lui riconducibili, così ostacolando concretamente l’identificazione della provenienza delittuosa del denaro e delle altre utilità utilizzate per l’acquisto degli immobili, non riuscendo nell’intento per cause indipendenti dalla propria volontà e segnatamente per la dichiarazione di fallimento della V.”

- acquisto di beni mobili (Cass. II, 07/237262)

La Corte ha condannato per reimpiego un imputato che aveva impiegato una certa somma di denaro di provenienza da delitti di contrabbando nell’acquisto di 2 imbarcazioni.

- per coprire crisi di liquidità, onorare impegni assunti con le banche e i fornitori, incrementare l’attività aziendale (Cass. pen. n. 2737/2011)

Il sequestro preventivo funzionale alla confisca del profitto del reato di cui all’articolo 648 ter Codice Penale, può riguardare una intera società e il relativo compendio aziendale quando sia riscontrabile un inquinamento dell’intera attività della stessa, così da rendere impossibile distinguere tra la parte lecita dei capitali e quella illecita.

Nella fattispecie, si trattava di una società che aveva utilizzato capitali di provenienza illecita, per coprire crisi di liquidità, onorare gli impegni assunti con le banche e i fornitori, ed incrementare l’attività aziendale.

- acquisto e cessione dei c.d. diritti d’aiuto comunitari (Cass., II, 11 settembre 2019, n. 49524)

1.6. Ad avviso di questa Corte, indipendentemente dalla scelta interpretativa che si intenda seguire, la condotta considerata nell’imputazione cautelare possiede in astratto le caratteristiche che, in ogni caso, conducono a ritenere integrata la fattispecie di reato, esclusa dal provvedimento impugnato. L’impiego dei diritti di aiuto, ove risulti dagli atti di indagine che sia stato effettuato mediante utilizzazione nell’ambito di un’attiva d’impresa agricola, mediante atti di trasferimento ripetuti e ravvicinati, in favore di soggetti che operano solo nominalmente come imprenditori agricoli, ovvero mediante operazioni rivolte a dotare di apparente legittimità le caratteristiche dei beni stessi, rappresenta strumento di dissimulazione della provenienza delittuosa, proprio in conseguenza della peculiarità del sistema di sostegno c.d. disaccoppiato, che può facilmente nascondere l’effettiva provenienza dei titoli, una volta immessi nel mercato e trasferiti attraverso successivi passaggi (non risultando decisiva l’assenza di collegamento tra i titoli e la proprietà dei beni destinati all’impresa agricola - terreni o bestiame - quale sintomo logico della provenienza delittuosa del bene).

1.7. Sotto altro profilo, è evidente che l’impiego consapevole di diritti di aiuto di provenienza delittuosa (e, dunque, non ancorato ai presupposti di legittimità previsti dalle fonti nazionali e comunitarie) nell’esercizio di attività d’impresa ha quale effetto quello di alterare il sistema economico dell’imprenditoria agricola, assicurando a taluni un vantaggio competitivo illecito e privando i competitori onesti delle risorse che il sistema nazionale e dell’Unione intende garantire agli stati dell’Unione e ai loro agricoltori, in ragione di presupposti e caratteristiche che fissano in misura predeterminata l’ammontare dei diritti concedibili ad ogni singolo stato.

In due occasioni, la S.C. ha ritenuto impiego penalmente rilevante l’utilizzo di denaro “sporco” per pagamenti in nero.

Cass. II, 14 settembre 2018, n. 48593

Al S., in sintesi, è contestato di avere ricevuto in contanti da RMC la somma complessiva di 378.700,00 euro. Somma che sarebbe provento di vari delitti di frode fiscale, bancarotta, appropriazione indebita, indebita compensazione e della quale il S., utilizzandola in pagamenti in nero per la gestione della società F., avrebbe ostacolato l’identificazione della provenienza delittuosa.

Cass. II, 11 dicembre 2019, n. 8499

Si è detto che, nella sostanza, secondo la difesa, la somma pervenuta alla società S. sarebbe stata "impiegata" qualora, ad esempio, con la stessa si fossero acquistati beni strumentali, mentre l’impiego non vi è stato in quanto il denaro servì per pagare i dipendenti e, quindi, non fu reimmesso nel circuito economico imprenditoriale.

Invero, la somma provento della distrazione fu immessa in detto circuito nel momento in cui l’impresa, che esercitava un’attività economica grazie al lavoro dei propri dipendenti, incassò la somma e la destinò al pagamento delle loro retribuzioni.”

Davvero rilevante Cass., II, 15 aprile 2016, n. 30429, la quale, dopo aver riassunto il rapporto tra le fattispecie di ricettazione, riciclaggio e reimpiego così si esprime:

“Tanto premesso, però, deve rilevarsi che l’apparato argomentativo della sentenza impugnata non offre elementi sufficienti ad una corretta qualificazione del fatto contestato al P., alla luce dei principi così esposti.

La sentenza riferisce anche del sequestro di numerosi documenti (una scheda di mastro, fotocopie di numerosi assegni, ecc.) dai quali si è ricavata conferma che "il S. investisse denaro in detta società", ed ha rilevato anche che gli assegni ed il contante che il S. portava alla AL s.r.l. non venivano registrati nella contabilità ufficiale di questa.

Non risulta espletata, però, alcuna perizia contabile volta alla ricostruzione del flusso finanziario ed all’individuazione di eventuali investimenti effettuati dalla società, che non appaiono emergere dalla sentenza, né in questa risulta altrimenti specificato e dimostrato se i proventi dell’esercizio abusivo dell’attività finanziaria da parte del S. siano stati nei fatti impiegati nella gestione della società AL o reimpiegati in ulteriori attività economiche e finanziarie.”

Ebbene, la Corte ha disposto annullamento con rinvio in quanto:

Non emergono, pertanto, dalla sentenza impugnata elementi sufficienti ad una corretta qualificazione giuridica della condotta descritta nel capo di imputazione, di per sé suscettibile di realizzare diverse figure criminose…

Il caso è emblematico: sussisteva una disponibilità di denaro “sporco” ma non erano stati dimostrati “eventuali investimenti effettuati dalla società”.