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Santa Caterina da Siena e la povertà del Predicatore

Brooklyn Museum - St.Catherine of Siena
Brooklyn Museum - St.Catherine of Siena

Tante povertà

Nel mio personale percorso vocazionale la conoscenza di san Domenico di Caleruega è stata graduale e, in un certo senso, successiva al mio impegno con lui. Fu cioè solo dopo aver riconosciuto la chiamata del Signore a servirlo nell’Ordine dei Frati Predicatori che risposi alla necessità di conoscerne il fondatore. Credo che chiunque sia stato innamorato comprenda bene di cosa sto parlando: solo dopo che il cuore è rimasto folgorato dalla misteriosa bellezza della persona amata, intuizione sublime simile più ad un aroma vitale che ad una visione, l’amante consente all’intelletto di conoscere ciò che ha già riconosciuto come suo bene. A quel punto la ragione, con la sua preziosa e grigia precisione, non ha altro compito che dare un nome ed una lode ad una bellezza già nota.

Fatto sta che, a quel punto, una delle prime domande che mi posi fu quale senso avesse la povertà per un Ordine di predicatori e di studiosi della verità. Da buon italiano, immerso quindi nella gloria che fu del Poverello d’Assisi, il mio pensiero corse subito al confronto con i nostri fratelli Minori, che fanno di madonna Povertà la loro prediletta. Non si trattava solamente di porre un parallelismo storico, poiché in gioco c’era non soltanto la nuda verità dei fatti, ma anche la forma che doveva assumere quella materia buia che era la mia vita spirituale. Ciò che davvero m’interessava era comprendere come la virtù della povertà s’inserisse nella vita interiore di una persona che, come me, sentiva di avere nella salvezza delle anime la sua chiamata.

Voi, cari lettori, potreste chiedervi a mezza voce, da galantuomini quali siete, perché dovrebbe interessarvi una questione così personale come questa. Comprendendo la ragionevolezza di una simile obiezione, vi risparmio tutte le domande e le risposte che mi sono dato e vi propongo subito una breve riflessione, guidata ed ispirata da santa Caterina da Siena, terziaria domenicana, che, almeno così mi auguro, potrà aiutare anche voi a capire il posto che la povertà ha nella vita del cristiano.

 

Diverse fondamenta

La grande santa senese, nel suo Dialogo[1], parla della povertà e afferma che se tutti gli ordini religiosi sono fondati su di essa, non in tutti questa possiede la stessa centralità. Ella dice che «[…] non in ognuno di essi è l’elemento principale, anche se tutte le vie sono fondate in questo; ma avviene come delle virtù: tutte le virtù hanno vita dalla carità, e nondimeno, come in altri luoghi t’ho detto, c’è chi ha come caratteristica l’una e chi l’altra, e nondimeno tutti stanno nella carità. Così questi. Francesco poverello ebbe come caratteristica la vera povertà, mettendo a fondamento della sua navicella, per affetto d’amore, appunto la povertà […]»[2].

Ciò che qui santa Caterina intende dire è che proprio come la carità, fondamento di ogni altra virtù, è base necessaria della vita morale dell’individuo, pur non avendo necessariamente una posizione di centralità, così la povertà, pur radice di ogni via di perfezione cristiana, può essere o meno l’elemento principale delle specifiche vie.

Il discorso può apparire astruso ma in realtà muove da un’idea relativamente semplice. Per meglio comprenderla, consentitemi un esempio banale: è indubitabile che per ogni essere umano una dieta sana e completa è fondamentale per la buona riuscita di qualunque attività; tuttavia, per un professionista in scienze dell’alimentazione, questo specifico elemento diventa centrale sotto molti punti di vista, tanto da assumerne un ruolo guida nella sua esistenza. Allo stesso modo, la povertà cristiana, ossia la volontaria rinunzia ai beni in quanto elementi necessari alla felicità, è fondamentale, in diversa misura, per ogni discepolo di Cristo; tuttavia, per i santi seguaci di Francesco, questo elemento diventa non solo primario, ma addirittura metro della comunione con il Signore.

Sembra ora possibile concludere che se l’Ordine dei Frati Minori venne fondato su tale pilastro, e poiché l’Ordine dei Frati Predicatori possiede una differente base, allora la povertà, per questi ultimi, deve avere un ruolo altrettanto differente.

Santa Caterina, giungendo alla medesima conclusione, afferma che «E se tu guardi la navicella del padre tuo Domenico, diletto mio figlio, egli l’ordinò con ordine perfetto, perché volle che attendessero solo all’onore di me e salvezza delle anime col lume della scienza. Sopra questo lume volle porre il suo fondamento, senza però essere privato della povertà vera e volontaria: […]. ma come obiettivo più propriamente suo prese il lume della scienza, per estirpare gli errori che a quel tempo erano emersi. […]. Su quale mensa fa mangiare i suoi figli, col lume della scienza? Alla mensa che è la croce, […]. Domenico non vuole che i suoi figli attendano ad altro se non a stare su questa mensa col lume della scienza, a cercare solo la gloria e lode del mio nome e la salvezza delle anime. E perché non attendano ad altro, toglie loro la cura delle cose temporali e vuole che siano poveri»[3].

 

Il Predicatore viaggia leggero

Anche se sviluppato in poche righe, il discorso della santa senese è un perfetto sunto non solo dello specifico carisma che san Domenico trasmise ai suoi figli, ma anche del posto che la povertà, radice di ogni santità, occupa in esso. Per il frate Predicatore quella via maestra alla perfezione, all’amore per Cristo, che il Minore identifica nella povertà, assume i fascinosi tratti del lume della scienza.

Il termine “lume” suggerisce non tanto la luce di per se stessa, quanto la sua diffusività, il suo potere di illuminare. Ciò che il domenicano ricerca, e sul quale fonda la sua esistenza, non è quindi la semplice conoscenza di Cristo, ma la capacità d’irradiare la Verità sugli uomini per la salvezza della loro anima. Si tratta di una forma d’intimità con il Signore che ha la sua peculiarità nel saperne tradurre l’inarrivabile perfezione in parole e segni capaci di raggiungere anche le anime più lontane. Anche in questo caso credo che l’amore umano possa aiutarci a comprendere: che un bambino ami una buona madre è del tutto naturale e altrettanto normale è che quello stesso, divenuto adulto, continui ad amare la donna che gli ha dato la vita. La differenza non sta nell’intensità del sentimento, ma nella capacità di esprimerlo: quel fuoco che il bambino può solo accogliere nel suo ardore, l’adulto è in grado di esprimerlo, di comprenderlo nei suoi caratteri e nelle sue cause, e quindi di comunicarlo.

Il frate Predicatore quindi ha il cuore del proprio carisma nel contemplare e ricercare Cristo in quanto comunicabile al prossimo, il tutto per l’edificazione e la salvezza delle anime. Santa Caterina spiega il ruolo della povertà, in ordine ad un tale fine, utilizzando l’immagine della mensa. Questa rappresenta il luogo del nutrimento, laddove l’uomo trova di che sostentare la propria vita; il lume della scienza, nutrimento spirituale sia del frate che di coloro cui egli predica, vien trovato, consumato potremmo dire, in relazione alla croce. Il santo legno diviene quindi tavola imbandita sulla quale il domenicano si nutre e nutre dell’intimità con Cristo. Ma poiché questa tavola, questa comunione, ha nella spoliazione di sé e nella donazione totale il suo senso più profondo, ecco che la povertà diviene utile strumento che dona al Predicatore la libertà di farsi nudo di fronte al Signore.

Quando un elemento di vita spirituale si fa troppo alto, si ha sempre l’impressione che esca dal nostro mondo, simile a quei soli lontani di cui possiamo solo immaginare la bellezza. In realtà, più un invito alla santità si eleva, maggiore è la luce che diffonde sulla bassezza della nostra vita, purché l’umiltà ci consenta di tenere gli occhi aperti.

Ciò cui san Domenico invitò i suoi figli, e che santa Caterina da Siena così splendidamente comprese, è uno stile di vita nel quale la povertà materiale dona all’uomo quella semplicità di spirito che consente all’innamorato di relativizzare ogni difficoltà che si frappone fra lui e l’amata.

Il povero Predicatore è quindi colui che è talmente concentrato sull’intima conoscenza del suo Signore da dare ai beni che possiede un’importanza solo sussidiaria, al limite funzionale al perseguimento del suo scopo. Egli, potremmo dire, non si spoglia di beni per farsi povero, ma per acquisire la libertà del povero.

Penso che questo modello di povertà possa essere molto edificante per l’uomo contemporaneo, poiché non parla di una svalutazione dei beni, ma di un loro orientamento ad una conoscenza di Cristo che non è solo studio, ma sublime ricerca, simile all’osservazione attenta che l’innamorato fa della sua amata. Chi quindi vuole farsi povero assieme a san Domenico inizi desiderando Cristo, aspirando ad ascoltare ogni nota della Sua melodia e, nel consumarsi in un tale santo desiderio, scoprirà che spogliarsi dei beni non sarà una violenza, ma la naturale necessità di chi, per amare come Egli ama, deve per forza viaggiare leggero.

 

[1] Cf. Caterina da Siena, Dialogo, a cura di Giuliana Cavallini e Elena Malaspina, ESC e ESD, Bologna 2017.

[2] Caterina, Dialogo, pp. 1159-1161.

[3] Ivi, pp. 1161-1163.

Testo consigliato

  • Caterina da Siena, Dialogo, a cura di Giuliana Cavallini e Elena Malaspina, ESC e ESD, Bologna 2017.