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Semplicità

Spiaggia di punta Braccetto, Ragusa
Ph. Simona Loprete / Spiaggia di punta Braccetto, Ragusa

Semplicità è una parola umile, mite, quasi dimessa e parrebbe persino fuori moda qualora la si raffronti con la profusione di parole formate dai prefissi iper-, mega-, macro-, super-, maxi-, o, al contrario, mini-, micro-, nano-. Si va al supermercato o all’ipermercato, si utilizzano maxischermi, si acquistano super-cellulari e minicomputer, si progettano mega-strutture e microchip, si lavora sulle nanotecnologie, si parla di ipertrofia normativa, di macrocategorie concettuali, ci si affligge per il super-lavoro. Sembra non esservi quasi più spazio per cose o attività semplici.

Etimologicamente, il termine «semplicità» rimanda a qualcosa di essenziale, basilare, non artefatto: il prefisso sin- (che sta per sine, al pari del greco a- privativo) si lega al -plectere latino (piegare): è semplice ciò che viene piegato una sola volta. Ne possiamo dedurre, per via di astrazione generalizzante, che è semplice ciò che si caratterizza per il minimo intervento antropico.

Nella prospettiva comportamentale, la semplicità viene spesso confusa con altre dimensioni dell’essere o dell’apparire. Può essere scambiata con l’umiltà o con la modestia, identificata con la naturalezza o con la sobrietà, ma anche con l’ingenuità e con la mancanza di malizia, con la spontaneità e persino con la pochezza; può essere confusa con l’apparire sottotono o dimessi e persino con la dabbenaggine, quando ci si approfitta della semplicità altrui; spesso indica ciò che è facile, intuibile, privo di complicazioni.

Eppure, la semplicità, se correttamente intesa, ha una sua intrinseca grandezza, innegabile sebbene non ostentata; quanto più la si persegue, tanto più appare una vetta irraggiungibile.

Una spia dell’uso nobile del termine semplicità deriva dalla botanica. I «semplici» sono le piante officinali: spesso spontanee non sono certo umili o povere, potendo da esse ricavarsi efficaci medicamenti. Sono semplici perché nella loro unicità e riconoscibilità – il più delle volte sono specie botaniche da cui non è necessario creare cultivar – forniscono elementi importanti per offrire terapie, benessere o sollievo. Gli antichi monasteri avevano il giardino dei semplici ed era l’angolo più prezioso, forse quello esteticamente meno appagante ma senz’altro il più utile in termini di promozione del bene collettivo. Pare che in un’antica pergamena di origine medievale si descriva con dovizia di particolari la composizione di uno di questi giardini di erbe mediche, in cui figurano sedici diverse specie di piante.

E allora lasciamoci ispirare dai giardini medievali – in cui immancabili, tra i semplici, erano le rose (per le loro virtù curative già individuate da Plinio il Vecchio) – e pensiamo alla semplicità come a un modo di essere, a una virtù tutta da riscoprire, nella vita privata come in quella lavorativa.

Quando incontriamo la fatica del vivere o percepiamo il limite di noi stessi difronte ad eventi o organizzazioni difficili da governare, dovremmo cercare anzitutto la semplicità, a partire dalla capacità di scegliere parole adeguate a comunicare o spiegare realtà complesse.

Per farsi capire occorre farsi ascoltare, e per farsi ascoltare occorre utilizzare un linguaggio il più possibile accessibile, che non vuol dire elementare o impreciso bensì essenziale, chiaro e univoco: in una parola, semplice.

La semplicità è anche, in particolare nel mondo del lavoro, uno stile comunicativo che consente di tagliare il «troppo» e il «vano» dalle molte parole che vengono quotidianamente pronunciate o scritte, e di andare con autenticità e gentilezza al cuore delle cose.

Semplicità significa andare incontro alle nostre emozioni, saperle riconoscere sotto lo strato più o meno spesso ma comunque opaco della rabbia, della frustrazione e della paura, sentimenti ci alienano dai noi stessi e ci allontanano dai nostri bisogni più profondi. Semplicità è rinunciare a indossare maschere che schermano al punto di renderci irriconoscibili al prossimo. Semplicità è dialogare in modo chiaro ma senza intenti rivendicativi o sarcastici, senza dire per dimostrare, puntualizzare per umiliare, esplicitare per colpire.

Semplicità è guardare alle relazioni interpersonali partendo dalla capacità di ritrovare stili di vita più essenziali, dialogicità più trasparenti, tali da condurre a scelte sostenibili eticamente, prima ancora che economicamente.

La via per raggiungere la propria dimensione di semplicità è complessa e lastricata di errori, ma porta a un recupero di energie vitali da destinare alle cose e alle relazioni importanti, senza dilapidare il proprio tempo, come avrebbe detto Confucio, in attività di poco peso. E chissà che questo non comporti anche il recupero di una dimensione di felicità interiore, grazie al progressivo abbandono di ogni sovrabbondanza e inutile complicazione atta solo a indurre entropia.