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Smart Working: il ritorno al lavoro in presenza nella P.a.

Lo smart working cessa di essere una modalità ordinaria di svolgimento del lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni

Ombre medioevali
Ph. Luca Martini / Ombre medioevali

Smart working nella P.a.: il superamento voluto dal Ministero della Funzione pubblica

‹‹Lettera ai difensori (ipocriti) dello smart working nella Pa››: questo il titolo dell’articolo del Ministro per la pubblica amministrazione Renato Brunetta, pubblicato sul Foglio lo scorso 9 settembre.

Letto il titolo non stupisce che il Ministro definisca lo smart working nella pubblica amministrazione ‹‹una forma di lavoro domiciliare forzato, realizzata nel giro di pochi giorni›› e, dunque, una forma di lavoro ben lontana da ciò che lo smart working dovrebbe essere: un modello di organizzazione del lavoro ispirato a flessibilità, autonomia, obiettivi e responsabilità.

Pur riconoscendo i meriti “sanitari” del ricorso allo smart working e senza negare il ruolo centrale avuto da quest’ultimo nell’assicurare la continuità dei servizi oltre che nel tutelare la salute dei dipendenti pubblici, il Ministro afferma che ‹‹ciò che è stato sperimentato non può certo definirsi né smart working nell’accezione manageriale classica, né lavoro agile […] come definito dalla legge 81/2017››.

I motivi per cui lo smart working nel pubblico impiego si è rivelato, secondo il Ministro, nulla più che ‹‹una mera traslazione fuori ufficio delle logiche proprie della prestazione in presenza››, sono illustrati dallo stesso Brunetta:

  • non esiste una piattaforma sicura dedicata allo smart working nella pubblica amministrazione, né vi è stata una digitalizzazione dei servizi e una reingegnerizzazione dei processi;
  • non vi è stata nessuna sensibilizzazione e formazione specifica dei lavoratori sullo smart working;
  • non vi è stata alcuna definizione di luoghi, tempi, strumenti della prestazione ed esercizio dei poteri datoriali con riferimento allo svolgimento del lavoro in smart working;
  • non vi è stata alcuna definizione di obiettivi prestazionali specifici e misurabili volti a riconoscere maggiore autonomia e a responsabilizzare il dipendente quando, invece, tali elementi ‹‹dovrebbero essere al centro dell’adozione dello smart working››;
  • non è stata prestata la dovuta attenzione ai tempi, al diritto alla disconnessione e alla “utilizzabilità” della dimora privata come luogo di svolgimento principale della prestazione in smart working;
  • non vi è stata la programmazione, la definizione di target ed obiettivi, né l’adozione di strumenti informatici utili alla raccolta ed alla analisi dei dati per il monitoraggio dei risultati raggiunti;
  • nessuna conoscenza è stata acquisita nel tempo sul benessere del lavoratore in smart working.

Francamente è difficile capire quante di queste criticità relative allo smart working nel pubblico impiego non dipendano, in larga parte, proprio dal Ministero della Funzione pubblica che (avendone l’intenzione) ben potrebbe adoperarsi per superarle.

Lo fa presente, fra gli altri, anche il Prof. Domenico De Masi sulle pagine del Fatto Quotidiano del 14 settembre scorso, dove rimprovera al Ministro Brunetta di aver impietosamente liquidato lo smart working nella Pubblica amministrazione, esperienza rivelatasi cruciale per le sorti del Paese in piena pandemia, come un ‹‹banale e più comodo lavoro da casa››.

Tuttavia per il Ministro, nonostante lo smart working si sia rivelato ‹‹un passaggio utile ad aumentare la consapevolezza sui vantaggi del lavoro da remoto e ad accelerare l’alfabetizzazione informatica dei dipendenti pubblici››, è necessario tornare al lavoro in presenza.

 

Il decreto sul rientro in presenza dei dipendenti pubblici dal 15 ottobre 2021

Con decreto del Presidente del Consiglio dello scorso 23 settembre, lo smart working ha cessato di essere una modalità ordinaria di svolgimento del lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni ed il Ministro Brunetta ha potuto disciplinare, con apposito decreto, il tanto desiderato ritorno al lavoro in presenza di tutti i dipendenti pubblici.

Ogni amministrazione dovrà adottare le misure organizzative necessarie all’attuazione di tale decreto assicurando, sin da subito, la presenza in servizio del personale preposto alle attività di sportello e di ricevimento degli utenti (front office) e dei settori preposti all’erogazione di servizi all’utenza (back office), anche tramite la flessibilità degli orari di sportello e di ricevimento dell’utenza.

Per evitare concentrazioni di personale sul luogo di lavoro nella stessa fascia oraria è consentita la massima flessibilità oraria in entrata e in uscita (anche derogando alle modalità previste dalla contrattazione collettiva).

In attesa, poi, della definizione di una disciplina dello smart working in sede di contrattazione collettiva e dell’individuazione delle modalità e degli obiettivi dello smart working nell’ambito del Piano integrato di attività e organizzazione (Piao), che ogni amministrazione dovrà adottare entro il 31 gennaio 2022, il ricorso allo smart working potrà essere autorizzato, secondo la legislazione vigente, soltanto nel rispetto delle seguenti condizioni:

  • assicurazione della piena erogazione dei servizi agli utenti;
  • adeguata rotazione del personale in smart working, con prevalenza - per ciascun dipendente - del lavoro in presenza;
  • impiego di una piattaforma digitale o di un cloud o, comunque, di strumenti tecnologici idonei a garantire la più assoluta riservatezza dei dati e delle informazioni trattati durante lo smart working;
  • un piano di smaltimento del lavoro arretrato, qualora sia stato accumulato;
  • fornitura al personale di apparati digitali e tecnologici adeguati allo svolgimento della prestazione in smart working
  • prevalente svolgimento in presenza del lavoro dei soggetti titolari di funzioni di coordinamento e controllo, dei dirigenti e dei responsabili dei procedimenti ammistrativi.

Il decreto prevede, inoltre, che l’accordo individuale di cui all’art. 18, legge n. 81/2017 (c.d. “legge Madia”) – che torna ad essere la normativa di riferimento per lo smart working -  definisca almeno:

  1. gli specifici obiettivi della prestazione resa in smart working;
  2. le modalità e i tempi di esecuzione della prestazione e della disconnessione del lavoratore, nonché eventuali fasce di contattabilità;
  3. le modalità e i criteri della misurazione della prestazione, anche ai fini del proseguimento dell’attività in smart working.

Sono fatti salvi solo quegli accordi individuali stipulati prima dell’entrata in vigore del decreto che rispettino le condizioni da quest’ultimo introdotte per lo smart working o che vi si adeguino.

Ad ogni modo, si legge nel decreto, sarà rapidamente avviato un confronto con le organizzazioni sindacali per l’adozione di specifiche linee guida.

A nulla, insomma, sembrano essere serviti i buoni risultati faticosamente conseguiti con lo smart working in alcune organizzazioni (ad es. INPS e Banca d’Italia) di fronte alla linea dura del Ministero della Funzione pubblica: il lavoro in presenza nella P.a. sembra avere più il carattere della fatalità che quello della ragionevolezza e dell’opportunità.