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Suicidio di stato: una discutibile ordinanza propedeutica?

Marina di Ravenna
Ph. Ermes Galli / Marina di Ravenna

1. L'Ordinanza ha fatto notizia. Segno che è considerata (poco, per ora, importa se a ragione o a torto), da una parte, non conforme al «senso comune» e, dall'altra, una novazione giurisprudenziale. Trattasi dell'Ordinanza del Tribunale Ordinario di Ancona, emessa in data 9.6.2021, Presidente Silvia Corinaldesi, Estensore Alessandro Di Taro.

2. Andiamo per gradi. Il Tribunale di Ancona era stato chiamato a pronunciarsi, con ricorso ex articolo 700 c.p.c. del 15. 2. 2021, circa la sussistenza del diritto soggettivo di praticare il suicidio da parte di un cittadino italiano affetto da una patologia irreversibile (fonte per lui di sofferenze fisiche e psichiche, dichiarate intollerabili), mantenuto in vita da trattamenti di sostegno vitale. Il Tribunale era stato chiamato ad accertare previamente ed eventualmente a dichiarare questa sua condizione; ad accertare e dichiarare la sua piena capacità di intendere e volere, nonché l'assenza di condizionamenti della di lui libertà; ad accertare e dichiarare che egli era stato completamente e correttamente informato; ad accertare e dichiarare che la somministrazione di un farmaco (per la precisione il «Tiopentone sodico» in una certa quantità) sarebbe stato idoneo a garantirgli una morte «rapida, efficace e non dolorosa». Il Tribunale, inoltre, era stato chiamato a ordinare al S.S.N. (Sistema Sanitario Nazionale) tramite l'A.S.U.R. (Azienda Sanitaria Unica Regionale) Regione Marche-Area Vasta 2, di provvedere agli accertamenti e alle dichiarazioni di cui sopra, previa acquisizione del parere del Comitato Etico competente. Infine, il Tribunale era stato chiamato a ordinare «di disporre la relativa prescrizione/ricettazione».

Il ricorrente invocava a sostegno delle proprie (presunte) ragioni alcune norme costituzionali, alcune Sentenze della Corte costituzionale, le norme vigenti in tema di «fine vita». Chiedeva, il ricorrente, al Tribunale adito di ordinare all'A.S. convenuta di disporre la prescrizione/ricettazione del «Tiopentone sodico», dichiarandosi disposto a sostenere la relativa spesa nel caso tale prescrizione non fosse prevista a carico del S.S.N..

La A.S.U.R. Regione Marche si è costituita eccependo l'inammissibilità del ricorso e chiedendo, nel merito, il rigetto dello stesso per infondatezza «in fatto e in diritto».

Il Tribunale di Ancona, rigettando il ricorso de quo con Ordinanza 26.3.2021, aveva osservato: a) che i richiami alla giurisprudenza della Corte costituzionale in tema di suicidio assistito richiamati dal ricorrente non sono «conferenti rispetto al caso di specie»; b) che la questione del «fine vita» attende ancora un’adeguata regolamentazione da parte del Legislatore; c) che la Sentenza della Corte costituzionale n. 242/2019 ha rilievo esclusivamente nell’ambito penalistico; d) che questa medesima Sentenza n. 242/2019 non implica il diritto ad ottenere collaborazione per il suicidio assistito da parte di alcuno, nemmeno, quindi, da parte dei sanitari; e) che dall’articolo 2 Cost. discende il dovere dello Stato di tutelare la vita, non di attentarla.

3. Il ricorrente, avendo visto rigettato il ricorso, ha presentato ricorso avverso l’Ordinanza del Tribunale di Ancona datata 26.3.2021. Il Tribunale Ordinario di Ancona adito in appello, valutate le ragioni opposte dall’A.S.U.R. Regione Marche, convenuta, ha rilevato innanzitutto la complessità della questione e ha riconosciuto che essa è attualmente «aperta». In altre parole il Tribunale di Ancona ritiene che sia necessario stabilire, in assenza di una disciplina normativa puntuale, se tra le libertà del paziente «vada annoverato il diritto alla liberazione dalle sofferenze nel più breve tempo possibile» ovvero se egli goda – nel caso liberamente e consapevolmente lo chieda – «del diritto a morire rapidamente e con dignità».

4. La questione è veramente complessa. Anche perché l’Ordinamento giuridico della Repubblica italiana evidenzia sempre più aspetti schizofrenici. Esso, infatti, è caratterizzato da una pluralità di rationes inconciliabili fra loro. Certamente esso offre i criteri per superare le proprie contraddizioni. Questi criteri sono dati innanzitutto dalla gerarchia delle fonti. Per la qualcosa le norme ordinarie, qualora contrastino con quelle costituzionali e il contrasto sia riconosciuto e dichiarato, sono destinate a perdere vigore. Esse «decadono», quindi, qualora sia dichiarata formalmente la loro illegittimità costituzionale. Il problema, allora, è quello di vedere se la Costituzione attraverso il riconoscimento del diritto all’autodeterminazione (assoluta)[1] riconosce il diritto soggettivo al suicidio assistito e all’eutanasia.

5. Va ricordato, a questo proposito, che la Dottrina maggioritaria è dell’avviso che il riconosciuto diritto all’autodeterminazione assoluta consente ciò che, talvolta, i Codici vietano. D’altra parte, si deve prendere atto che la giurisprudenza della Corte costituzionale ha riconosciuto non solo che l’autodeterminazione della persona è uno dei due cardini sui quali si regge l’ordinamento costituzionale repubblicano (cfr., per esempio, Sentenza n. 334/1996), ma anche che essa è un diritto soggettivo costituzionalmente garantito e persino sovraordinato agli obblighi definiti inderogabili e stabiliti dalla stessa Costituzione (cfr. Sentenza n. 467/1991). Trattasi di una tesi – e nel caso della Sentenza della Corte costituzionale n. 467/1991 di un’ermeneutica della Legge fondamentale della Repubblica italiana avente efficacia, com’è noto, erga omnes – dagli effetti dirompenti: l’Ordinamento giuridico sarebbe, così, sottoposto alle diverse, anche contrastanti, autodeterminazioni soggettive. Non si tratterebbe nemmeno della sola anarchia, poiché l’anarchia non rivendica per sé alcuna tutela (definita) giuridica (se ciò facesse, cadrebbe in un’aporia). Nel caso de quo si va «oltre», molto «oltre»: si sostiene, infatti, che l’anarchia soggettiva troverebbe legittimazione costituzionale. Intendiamoci: anche la Corte costituzionale può incorrere in errori. Tuttavia, trattandosi del Collegio deputato all’interpretazione ufficiale della Costituzione, l’ermeneutica che esso offre non è una semplice opinione, sia pure autorevole: essa è «lettura» che vincola tutti. Difficile, poi, è sostenere che la Costituzione presuppone e richiama un «altro» ordine, diverso da quello positivistico e a questo superiore. Basterebbe considerare, per escludere la sostenibilità di questa tesi, il suo articolo 1 e la sovranità (come supremazia) da essa affermata per rendere insostenibile ogni interpretazione che affermi che il diritto naturale classico sta a fondamento della Legge fondamentale della Repubblica italiana. Ritenere che la Costituzione inserisca i diritti fondamentali all’interno di un ordinamento naturale - come sostengono alcuni qualificati e stimati giuristi (per esempio Mauro Ronco[2]) – è tesi insostenibile sia per la Weltanschuung politica adottata dall’Assemblea costituente, sia per il testo di Costituzione adottato da questa dopo ampio e approfondito dibattitto, sia per la coerente giurisprudenza della Corte costituzionale. È stato ormai ampiamente dimostrato che la Costituzione è fondamento e giustificazione del laicismo radicale, il quale necessariamente esclude ogni richiamo trascendente il testo della Costituzione[3].

6. Non solo. La stessa Corte costituzionale è stata chiamata in passato a pronunciarsi intorno a questa questione. Il verbo «riconosce» dell’articolo 2 Cost. aveva, infatti, tratto (e trae tuttora) in inganno diversi giuristi, i quali ritenevano (e ancora ritengono) che il «riconoscimento» implichi l’esistenza previa del diritto come giustizia. Sostennero questa tesi (soprattutto nel decennio che seguì l’entrata in vigore della Costituzione repubblicana) diversi Autori, sia giuristi sia uomini politici (alcuni dei quali erano stati membri dell’Assemblea costituente). La Corte costituzionale, però, ha tagliato corto: con la Sentenza n. 98/1979 essa ha stabilito che il «riconoscimento» non implica alcun «accoglimento». Esso, al contrario, «pone» i diritti, anche quelli fondamentali. Per la qualcosa tutto il diritto sta nell’Ordinamento positivo. I diritti – affermò la Corte costituzionale – sono interpretabili a «fattispecie aperta». Perciò ammettono un’evoluzione, un’evoluzione coerente con le norme poste e da queste legittimamente deducibile.

7. Si tratta, allora, di considerare se dalle norme costituzionali, in particolare dagli articoli 2 e 13 Cost., sia «ricavabile» coerentemente e fondatamente il diritto di scelta se, quando e come morire.

Il Tribunale di Ancona sembra individuare nella Sentenza della Corte costituzionale n. 242/2019 un’integrazione della norma penale (cioè dell’art 580 c.p.) in presenza di alcuni presupposti tassativamente individuati, non una dichiarazione di illegittimità costituzionale della stessa norma penale.

Dopo aver considerato normativa costituzionale ed ordinaria in vigore e le regole deontologiche stabilite in particolare dagli articoli 3, 8, 17 del Codice deontologico dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri, conclude, riconosce e ordina: a) che il ricorrente ha diritto di pretendere dall’ASUR Marche l’accertamento, con riferimento al caso di specie, della sussistenza dei presupposti elencati nella Sentenza della Corte costituzionale n. 242/2019. Ciò ai fini della non punibilità di un «aiuto al suicidio» (eventualmente) praticato in suo favore da parte di un soggetto terzo; b) la verifica sull’effettiva idoneità ed efficacia della modalità, della metodica e del farmaco prescelti dall’istante per assicurarsi la morte più rapida, indolore e dignitosa possibile; c) che l’ASUR Marche deve provvedere all’accertamento e alla verifica richiesti, previa acquisizione del parere del Comitato Etico territorialmente competente, nonché all’accertamento dell’irreversibilità della patologia, alla fonte delle sofferenze fisiche e psichiche qualificate dal ricorrente intollerabili, alla di lui capacità di prendere decisioni libere e consapevoli, alla idoneità del farmaco individuato per conseguire l’effetto di una morte rapida, indolore e dignitosa.

Dunque, il Tribunale di Ancona ha ordinato l’acquisizione di tutti i presupposti (attualmente considerati) necessari per praticare il suicidio assistito senza incorrere nella commissione di reati. Trattasi, dunque, di un’Ordinanza propedeutica al richiesto suicidio di Stato.

8. Le due Ordinanze del Tribunale di Ancona – quella di rigetto del 26.3.2021 e quella di accoglimento del 9.6.2021 – rivelano problemi ermeneutici che emergono da due linee interpretative opposte anche se interne al medesimo sistema giuridico. Né l’una né l’altra sembrano totalmente condivisibili. La prima – quella adottata dall’Ordinanza di rigetto del 26.3.2021 – non è condivisibile sia perché i richiami alla giurisprudenza costituzionale in tema di suicidio assistito, fatti dal ricorrente, sembrano (contrariamente a quanto sostiene l’Ordinanza) «conferenti» al caso di specie (un principio affermato non può non rilevare per la generalità dei casi) sia perché l’Ordinamento (contrariamente a quanto affermato sia dalla prima sia dalla seconda Ordinanza) regolamenta – sia pure solamente in parte – la questione del «fine vita». Lo fa – è vero – sulla base di rationes diverse, anzi contrapposte: il Codice penale in vigore considera la vita bene indisponibile e come tale lo tutela; la Legge n. 219/2017 relativa alle Disposizioni anticipate di trattamento (cosiddetto «testamento biologico») ne consente sostanzialmente la disponibilità. E ciò sulla base del cosiddetto principio di autodeterminazione soggettiva assoluta, accolto dalla Costituzione. Inoltre, non è condivisibile quanto sostiene la prima Ordinanza secondo la quale l’articolo 2 Cost. attribuirebbe allo Stato il dovere di tutelare la vita. Ciò, infatti, è vero relativamente. Lo Stato, anche dalla Costituzione, è chiamato a tutelare la vita qualora essa sia considerata bene da tutelare dal soggetto. In altre parole l’Ordinamento non vincola a e non impone un rispetto assoluto della vita. Esso la garantisce a chi la vuole conservare. Anzi, si dovrebbe osservare che nemmeno questa garanzia è assicurata in termini assoluti. Se fosse garantita la vita in termini assoluti la Legge n. 194/1978 (la cosiddetta “Legge dell’aborto”) dovrebbe essere considerata costituzionalmente illegittima. Anche la (proclamata) garanzia del diritto alla procreazione responsabile, del riconoscimento del valore sociale della maternità e la tutela della vita umana sin dall’inizio (articolo 1, c. I, Legge n. 194/1978) è subordinata alla volontà soggettiva di procreare e al desiderio, altrettanto soggettivo, della maternità. Non si tratta, quindi, di una tutela assoluta. Anzi, nel caso dell’aborto procurato, irrilevante è la vita del nascituro, quindi il bene vita in sé: quello che conta è solamente la volontà della gestante. In breve: la tutela della vita è un bene da tutelare se considerato tale dal soggetto. Non sarebbe bene in sé: è l’accoglimento pieno del diritto all’autodeterminazione assoluta da parte del soggetto, il quale utilizza l’Ordinamento per la realizzazione di qualsiasi sua volontà. La prima Ordinanza, quindi, sembra «leggere» ideologicamente l’articolo 2 Cost.. Ignora completamente, così, la giurisprudenza costante della Corte costituzionale.

Quello che è condivisibile, invece, della prima Ordinanza è l’affermazione che la Sentenza della Corte costituzionale n. 242/2019 non riconosce affatto il diritto di ottenere collaborazione da parte di terzi per il suicidio assistito. Cosa, invece, prescritta, per esempio, per l’aborto procurato, soprattutto nel caso in cui la gestante versi in pericolo di vita[4].

Con riferimento all’Ordinanza del Tribunale di Ancona del 9.6.2021, va osservato innanzitutto che è difficile vedere integrazioni ove ci sono censure, le quali rappresentano significative «aperture» (contrarie alla ratio della norma censurata). Non sembra condivisibile, perciò, la tesi secondo la quale la Sentenza della Corte costituzionale n. 242/2019 ha integrato la norma penale, cioè l’articolo 580 c.p.. Come abbiamo già osservato in una Nota[5], pubblicata in questa Rubrica il 10.12.2019 (a commento della Sentenza della Corte costituzionale de qua), a nostro avviso, la Corte costituzionale ha operato una sostituzione del contenuto normativo dell’articolo 580 c.p. e, prima ancora, ha sostituito il valore da adottare come criterio normativo: il bene vita è stato sostituito dal bene libertà; non dalla libertà responsabile ma dalla «libertà negativa», vale a dire dalla libertà esercitata con il solo criterio della libertà cioè irrazionalmente.

Inoltre, va osservato che l’Ordinanza del Tribunale di Ancona prescrive una forma di collaborazione al suicidio assistito. La prescrive all’ASUR Marche imponendole, innanzitutto, di acquisire dati e di certificare presupposti per la realizzazione del proposito suicida del ricorrente. Ciò non rientra negli obblighi dell’ASUR Marche (né di qualsiasi altra A.S.) e non può essere desunto dalla Sentenza della Corte costituzionale n. 242/2019 più volte citata.

Infine, per l’Ordinanza de qua all’ASUR Marche sono imposte verifiche che rappresentano forme positive di collaborazione al suicidio (l’idoneità di un farmaco a procurare una morte rapida, indolore e dignitosa). La prescrizione è legittima? A noi sembra che da un divieto (astenersi da) non si possa passare alla prescrizione di un comportamento attivo (obbligo di), il quale implica un dovere che tale non è nemmeno sotto il profilo della solidarietà: la solidarietà, infatti, non è complicità!

 

[1] Sulla questione si rinvia al documentato lavoro di R. DI MARCO, Autodeterminazione e diritto, Napoli, Edizioni Scientifiche Italiane, 2017.

[2] Cfr. M. RONCO, Scritti patavini, I/II, Torino, Giappichelli, 2017, p. 1894.

[3] Si rinvia, a questo proposito, alle analisi dell’attuale decano dei giuspubblicisti italiani, Pietro Giuseppe Grasso, sintetizzate nel suo libro Costituzione e secolarizzazione, Padova, Cedam, 2002.

[4] La prescrizione può essere «letta» in (almeno) due modi. Una sua «lettura» potrebbe portare a ritenere che il Legislatore abbia inteso prescrivere questa prestazione – comunque moralmente discutibile – perché ha considerato la vita bene in sé. Una seconda «lettura» - quella che pare sostenibile con maggiore fondamento – è rappresentata, invece, dal fatto che la vita della gestante va salvata perché essa la vuole salvare ricorrendo alla pratica dell’aborto procurato.

[5] Cfr. D. CASTELLANO – R. DI MARCO, Le motivazioni della Corte costituzionale sul «suicidio assistito»: ulteriore atto di «protezione dell’anarchia» da parte del giuspositivismo assoluto.