x

x

Tamara de Lempicka

Tamara de Lempicka
Tamara de Lempicka
Tamara de Lempicka

Andando a trovare D’Annunzio nella sua dimora-monumento a Gardone, Tamara de Lempicka dava per scontate due cose: il proprio interesse per l’immaginifico e lo scontro prevedibilissimo che ne sarebbe derivato. La bella polacca pensava di poter aggiungere un ritratto di personaggio illustre al proprio catalogo di pittrice celebre; il poeta la vide subito e unicamente come una bella preda da aggiungere ai suoi ricchi trofei di caccia.

È con questi propositi che si videro, si studiarono e infine si lasciarono senza essere approdati a niente.

Nessuno dei due era disposto a concedersi, sia pure nei ruoli diversi della posa o dell’alcova, rinunciando al proprio titolo di protagonista. Cosa poteva interessare al vate di essere visto e giudicato come un ritratto della de Lempicka? E per Tamara, cosa rappresentava fisicamente il non più giovane ‹nano in divisa›? Si trovarono così ad agire su uno stesso piano ma sul quale non c’era posto per due; potevano benissimo comprendersi nell’idea di sottofondo, comune a entrambi, del vivere inimitabile, nel quale l’uno rimane il riconosciuto maestro e apostolo e l’altra una parziale versione al femminile, ma non potevano in alcun modo collaborare.

Tamara de Lempicka è, prima di ogni altra cosa, un personaggio, un personaggio che trova nella pittura la possibilità e la giustificazione al proprio modo di vivere e al desiderio di esibirsi. A Parigi, la sua casa-studio non è altro che un teatro di posa dove lei recita giorno dopo giorno la commedia di una vita interamente costruita senza lasciare niente al caso e senza che l’amore o il dolore abbiano accesso oltre la barriera della forma.

Faceva anche lei parte di quei personaggi che reagirono con stizza, cultura e stravaganza alla fine di una civiltà, osando l’impossibile e sfidando il fato con l’arma strafottente dello stile. All’avvento mortificante delle masse rispondeva il sussulto esasperato di un’aristocrazia che per la prima volta nella storia accomunava quella del sangue e quella dell’ingegno nella consapevolezza che, il nuovo sbandierato ordinamento che si profilava, le avrebbe mortificate entrambe allo stesso modo.

La pittura della de Lempicka, se pure ha vaghi riferimenti negli antichi, si cita in proposito il manierismo del Pontormo, di fatto è un prodotto del proprio tempo e talmente ad esso legato da potersi definire, secondo un abusato modo di dire, “datato”, e datato con irrimediabile precisione.

Questa pittura, che ha del cartellone pubblicitario, del figurino di mode e della trasgressione erotica, ha però un aspetto atipico, nel panorama dell’arte di quel periodo, che è prerogativa di pochi autori che si ritrovano nel desiderio, spesso unicamente estetizzante, di reagire alla montante volgarità plebea e materialista, con una forma di spiritualismo che può assumere aspetti diversi e contrastanti pur tendendo al medesimo fine.

La de Lempicka studia pittura con il mite Maurice Denis, ha per secondo maestro André Lhote, e di questo le tracce visibili resteranno, ma non si perita di assimilare tutto ciò che può servirle senza curarsi della provenienza, venga dal passato o s’imponga nel presente, abbia sapore di restaurazione o impegno d’avanguardia: poiché con la sua prepotente personalità da irrequieto eterno femminino sarà sempre in grado di strumentalizzare ogni apporto al proprio tornaconto senza neppure troppo curarsi di nascondere le appropriazioni.

Per questo, senza nulla togliere ai meriti d’indagine usati al riguardo da Calvesi, si potrebbe dire che ha avuto buon gioco nel trovare referenti, nell’accostare la volitiva Tamara alle geometrie metalliche di Fernand Leger come alle larve esangui dell’espressionista sui generis Adolf Wildt, al pacato decorativismo di Gino Severini o all’anemico Felice Casorati; ma si potrebbe aggiungere anche il Primo Conti dei primi anni venti quando gonfia smisuratamente le figure. Da ognuno di loro, direttamente o per affinità di ricerca ed escludendo Leger, Tamara recepisce e fa sua quell’astrazione formale prestata al figurativo riscoperto dai vari “ritorni all’ordine”. Un figurativo che ricorda spesso Gregorio Sciltian e la giustificazione in un trompe l’oeil, l’inganna occhi, ora non più in grado d'ingannare altri sensi.

Ma Tamara ha anche qualcosa di suo da immettere nel proprio mondo pittorico, per esempio un gigantismo inquietante che informa spesso le sue figure anche quando abbandonano i gonfiori degli inizi. Gli insoliti personaggi dei suoi quadri, personaggi e di particolare suggestione, entrano sempre a fatica nelle pur ampie tele, e non è infrequente che debbano piegare la testa per mostrarsi intere. Il ritratto del primo marito Tadeus Lempicki, è un enorme cappotto vuoto da dove esce, quanto basta, una testa dal viso crucciato, bloccata in un momento di angoscia o di stanchezza a giustificazione di un’atmosfera pesante e minacciosa.

In questo modo di rappresentare un mondo, che è ormai solo di apparenza e di volontà fini a sé stesse, la qualità pittorica è pressoché inconsistente ma forse neppure interessa: Tamara de Lempicka è un caso, un incidente necessario, un dono del momento che comunque rappresenta. È lo specchio deformante necessario per ritrarre al vero una realtà forzata dai tempi che volgono alla fine.

Nella pittura elegante di questa donna che celebra il rimpianto, ogni personaggio si presenta con i propri attributi come le immagini dei santi nell’iconografia cristiana. Il Dottor Boncard ha in mano una provetta e accanto il microscopio, la sciatrice è inserita in un angolo nevoso di Saint-Moritz, alla Duchessa de la Salle gli stivaloni lucenti bastano come presentazione e S.A.I. le Gran Duc Gabriel sembra attendere sdegnoso il martirio avvolto nella divisa di alamari e con le mani appoggiate sulla sciabola.

Un mondo concluso, esaurito, fatuo e di sole apparenze?

Può darsi, ma quanto fascino è ancora presente in quelle pose, in quelle residue dignità, in quello sdegno più eloquente di un insulto. Fermati sulla tela grazie al lavoro di una donna per più versi eccezionale e con il gusto e la volontà di sbalordire, questi personaggi già licenziati dalla storia ripetono a noi osservatori distratti la loro angoscia di attori ritardatari che insistono nel declamare la parte davanti a una platea ormai vuota.

1994 - Milano

Tamara de Lempicka
Tamara de Lempicka
Tamara de Lempicka

 

Tamara de Lempicka
Tamara de Lempicka