TAR Brescia: legittimazione del consigliere comunale ad impugnare atti deliberativi
Ad avviso dei giudici amministrativi questi comportamenti del consigliere non denotano disinteresse verso l’argomento trattato o tantomeno acquiescenza preventiva rispetto alla volontà che sarebbe poi emersa dal consiglio ma, al contrario, essi rafforzano il presupposto dell’interesse ad agire, costituito dalla differenziazione tra l’opinione del consigliere e la volontà consiliare.
Il caso esaminato dai giudici riguardava un comune il cui consiglio comunale aveva prima adottata e poi approvata una deliberazione con la quale veniva modificata la destinazione urbanistica di una determinata area di proprietà comunale sita all’interno del perimetro di un piano di lottizzazione.
E per l’appunto contro la modifica della destinazione urbanistica proponeva ricorso un consigliere comunale adducendo specifiche censure di illegittimità.
Secondo il Tar non è necessario che il consigliere esprima un voto negativo e neppure che manifesti in anticipo la sua contrarietà all’oggetto della deliberazione attraverso iniziative pubbliche come, ad esempio, la presentazione di osservazioni in merito allo stesso. È sufficiente, invece, che non concorra in positivo a formare la volontà consiliare, perché solo in quest’ultima ipotesi risulta impossibile tracciare una linea di demarcazione con l’organo di appartenenza. Pertanto se il consigliere non apporta alcun contributo all’adozione o all’approvazione del provvedimento in contestazione, conserva il diritto di far valere ogni circostanza utile a caducare il provvedimento stesso.
Ad avviso del Collegio giudicante il limite esterno alla facoltà di proporre impugnazione da parte del consigliere è costituito dall’assenza di connessione tra il ricorso e l’esercizio del mandato e il collegamento con il munus pubblico non può essere circoscritto alle sole questioni formali riguardanti la procedura di approvazione dei provvedimenti (come il calcolo dei termini di convocazione, il rispetto dell’ordine del giorno, la corretta applicazione delle modalità di voto) ma si estende anche a quei profili dei provvedimenti approvati che sminuiscono senza giustificazione il contributo o l’attività dei consiglieri dissenzienti o rappresentano una conseguenza dell’erronea interpretazione dei fatti posta alla base della scelta di una determinata procedura di approvazione.
(Tribunale Amministrativo per la Lombardia - Brescia, Sentenza 7 marzo 2008, n. 214).
[Dott. Francesco Navaro]
Ad avviso dei giudici amministrativi questi comportamenti del consigliere non denotano disinteresse verso l’argomento trattato o tantomeno acquiescenza preventiva rispetto alla volontà che sarebbe poi emersa dal consiglio ma, al contrario, essi rafforzano il presupposto dell’interesse ad agire, costituito dalla differenziazione tra l’opinione del consigliere e la volontà consiliare.
Il caso esaminato dai giudici riguardava un comune il cui consiglio comunale aveva prima adottata e poi approvata una deliberazione con la quale veniva modificata la destinazione urbanistica di una determinata area di proprietà comunale sita all’interno del perimetro di un piano di lottizzazione.
E per l’appunto contro la modifica della destinazione urbanistica proponeva ricorso un consigliere comunale adducendo specifiche censure di illegittimità.
Secondo il Tar non è necessario che il consigliere esprima un voto negativo e neppure che manifesti in anticipo la sua contrarietà all’oggetto della deliberazione attraverso iniziative pubbliche come, ad esempio, la presentazione di osservazioni in merito allo stesso. È sufficiente, invece, che non concorra in positivo a formare la volontà consiliare, perché solo in quest’ultima ipotesi risulta impossibile tracciare una linea di demarcazione con l’organo di appartenenza. Pertanto se il consigliere non apporta alcun contributo all’adozione o all’approvazione del provvedimento in contestazione, conserva il diritto di far valere ogni circostanza utile a caducare il provvedimento stesso.
Ad avviso del Collegio giudicante il limite esterno alla facoltà di proporre impugnazione da parte del consigliere è costituito dall’assenza di connessione tra il ricorso e l’esercizio del mandato e il collegamento con il munus pubblico non può essere circoscritto alle sole questioni formali riguardanti la procedura di approvazione dei provvedimenti (come il calcolo dei termini di convocazione, il rispetto dell’ordine del giorno, la corretta applicazione delle modalità di voto) ma si estende anche a quei profili dei provvedimenti approvati che sminuiscono senza giustificazione il contributo o l’attività dei consiglieri dissenzienti o rappresentano una conseguenza dell’erronea interpretazione dei fatti posta alla base della scelta di una determinata procedura di approvazione.
(Tribunale Amministrativo per la Lombardia - Brescia, Sentenza 7 marzo 2008, n. 214).
[Dott. Francesco Navaro]