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Teoria della pena: perché bisogna punire?

Teoria della pena: perché bisogna punire?
Teoria della pena: perché bisogna punire?

Abstract

In questo articolo l’autore analizza la teoria della pena e le risposte formulate sulla giustificazione di essa. La sua attenzione si sofferma sulle teorie retributive, preventive e rieducative. Infine, osserva gli elementi di criticità delle teorie rieducative.

In this paper the author analyses the theory of punishment and the answers made about the justification for it. His attention focuses on wage, preventive and re-educational theories. Finally, he observes the critical elements of the re-educational theories.

 

Introduzione

Nel presente lavoro verrà analizzata la teoria della pena. In particolare, dopo averne considerato la natura e il significato, l’attenzione si focalizzerà sulle teorie di giustificazione della pena.

La pena come afferma Francesco Carnelutti [1946: 24] ha un significato particolare, che ne fa una sottospecie, ben distinta, del castigo” cioè si può tranquillamente ritenere che la pena ha “efficacia repressiva” [Carnelutti, 1946: 27]. In tal senso “il carattere della pena […] è afflittivo” [Carnelutti, 1946: 28].Quindi si può ritenere che il termine pena abbia un significato ben preciso: come scrive Carnelutti [1940: 78] “questa parola, che allude al male da infliggere al trasgressore, scolpisce il carattere economico della sanzione, la quale colloca tra due mali chi ha la tentazione di trasgredire: il male dell’osservanza (sacrificio dell’interesse, a carico del quale si risolve il precetto) e il male della inosservanza del precetto”.

Andando ora ad analizzare le teorie della pena, bisogna comprendere le risposte che sono state date alla domanda perché bisogna punire? Si ritiene che per rispondere a tutti i corollari e alle problematiche relative a tale domanda, occorre far riferimento alle teorie di giustificazione della pena.

Nello scenario dottrinale e filosofico sono state avanzate numerose teorie per giustificare la pena, che possono essere ricondotte, essenzialmente, a tre categorie:

  • teorie retributive;
  • teorie preventive;
  • teorie rieducative.

 

1. Le teorie retributive

Le teorie retributive vedono nella pena il corrispettivo del reato, utilizzando le parole di Mario Jori e Anna Pintore [2014: 271] sono “concezioni che guardano indietro, rispetto al momento di inflizione della pena, cioè al reato”. La pena dunque è, in queste teorie per Jori e Pintore [2014: 271], un fine: “al male del reato deve essere fatto seguire il male della punizione”. In particolare, come scrive Carnelutti [1946: 26], la pena ha una funzione molto importante: “la pena serve a ristabilire moralmente la situazione anteriore al male compiuto”.

2. Le teorie preventive

Alle teorie retributive si contrappongono le teorie preventive, esse vedono nella pena lo strumento idoneo che attraverso il timore della sanzione possono scongiurare la commissione di reati. Secondo Jori e Pintore [2014: 273], sono teorie che “guardano avanti, cioè alle conseguenze dell’inflizione della pena”.

Le teorie preventive si dividono, in base all’angolo prospettico cui guardano, in teorie di prevenzione generale e di prevenzione speciale.

Vi sono le teorie della prevenzione generale, cioè alcune di queste ritengono che la previsione della norma incriminatrice dissuada la collettività dalla commissione del reato, altre ritengono che sia la constatazione dell’applicazione della pena a distogliere dal porre in essere la condotta criminosa. Altre teorie parlano di prevenzione speciale, cioè l’applicazione della pena potrebbe prevenire la commissione di altri reati da parte del soggetto a cui la pena viene applicata.

3. Le teorie rieducative

Le teorie più particolari sono quelle rieducative, per questo motivo nonostante siano ricondotte da molti autori alle teorie preventive, meritano, a mio avviso, di essere rimarcate e trattate separatamente quasi fossero una categoria autonoma. Alcune di queste sono chiamate anche teorie della difesa sociale quando si ancorano al concetto di pericolosità sociale. Esse si sganciano dalla colpevolezza e mirano ad eliminare la pericolosità sociale dell’individuo. Secondo Jori e Pintore [2014: 274], in queste teorie “la pena si trasforma […] in un trattamento terapeutico individualizzante, non commisurato alla gravità del reato bensì rapportato alla personalità del reo”. La “pena” quindi dovrebbe essere applicata fino a quando le esigenze terapeutiche perdurano. Secondo le teorie rieducative si deve mirare alla rieducazione e correzione dei comportamenti del reo.

4. Alcune riflessioni sulle teorie rieducative

Si aprono numerosi problemi riguardo alle teorie della difesa sociale e rieducative, ad esempio sul principio di legalità della pena, perché, utilizzando le parole di Jori e Pintore [2014: 274], tale principio in termini di pena “esige che la sua durata massima sia predeterminata per legge”.

Esistono, infatti, alcuni limiti della pena. Tra le prime fonti normative a riguardo, va ricordata la Déclaration des droits de l’homme et du citoyen del 26 agosto 1789, la quale prevede: “la loi ne doit établir que des peines strictement et évidemment nécessaires, et nul ne peut être puni qu’en vertu d’une loi établie et promulguée antérieurement au délit, et légalement appliquée”.

In molte Costituzioni sono previsti dei limiti all’applicazione della pena.

Ad esempio, nella Costituzione italiana all’articolo 25 è stabilito che “nessuno può essere punito se non in forza di una legge che sia entrata in vigore prima del fatto commesso”. Questa previsione risponde alle esigenze di certezza del diritto, di uguaglianza dei cittadini davanti alla legge ed in un senso ancor più ampio alla giustizia. Inoltre, le critiche a tali teorie risiedono nel fatto che bisognerebbe fare riferimento ad altre fonti, a volte anche extragiuridiche, per comprendere quando sia integrata la situazione di pericolosità sociale e quando questa venga meno.

La rieducazione per molti autori presenta dei vantaggi ed eticamente viene sentita come più giusta. Luciano Eusebi [1997] ritiene che l’idea rieducativa costituisca l’unico riferimento il quale dia sicuro rilievo nella riflessione sulla pena al destino dell’uomo che delinque, imponendo che questi continui a essere considerato, non solo formalmente, membro della società; e come, in questo senso, essa soltanto tragga conseguenze tangibili dalle riflessioni sulla corresponsabilità sociale nella genesi dei comportamenti criminali”.

 

Bibliografia

Carnelutti, Francesco, 1940. Teoria generale del diritto. Roma: Il Foro italiano.

Carnelutti, Francesco, 1946. Teoria generale del diritto. Roma: Il foro italiano.

Eusebi, Luciano, 1997. Dibattiti sulla teoria della pena e “mediazione”. In: “Rivista italiana di diritto e procedura penale”, 3/1997, pp. 811-837.

Jori, Mario e Pintore, Anna, 2014. Introduzione alla filosofia del diritto. Torino: Giappichelli.