Tribunale di Nola: ordinanza di archiviazione per truffa processuale mediante denuncia di sinistro inesistente

TRIBUNALE DI NOLA

ORDINANZA DI ARCHIVIAZIONE

- art. 409 c.p.p. comma 5 -

Il Giudice per le Indagini Preliminari, Dottor Francesco Gesuè Rizzi Ulmo,

letti gli atti del procedimento penale indicato in epigrafe nei confronti di soggetti da identificare;

esaminata la richiesta di archiviazione del Pubblico Ministero, pervenuta in Tribunale in data 3.3.2006;

esaminata, a seguito della camera di consiglio tenutasi in data 19.12.2006, la opposizione alla archiviazione presentata dalla persona offesa

osserva

Ad avviso di questo giudice la richiesta di archiviazione può essere accolta, apparendo superflui gli ulteriori temi di indagine indicati dalla persona offesa nella sua opposizione.

Invero, va rilevato quanto segue.

Il querelante lamenta, in sintesi, di essere stato vittima di un tentativo di truffa in quanto tale G.E. dapprima gli faceva pervenire, tramite il suo legale, una lettera raccomandata con la quale, denunciando un sinistro inesistente, gli avanzava una richiesta di risarcimento danni; e, poi, gli faceva pervenire, per le medesime ragioni, un atto di citazione in giudizio dinanzi al Giudice di Pace.

Il P.M. ha chiesto l’archiviazione ritenendo che il fatto non sia costitutivo di illecito penale.

Orbene, ritiene questo giudice che nel caso di specie non sia configurabile il reato di truffa bensì quello di cui all’art. 642 c.p. comma 2.

Invero, rispetto al querelante la truffa (tentata) non è rinvenibile né nell’invio della lettera raccomandata con richiesta di risarcimento né nella notificazione dell’atto di citazione, non potendosi tali comportamenti qualificare come artifizi o raggiri idonei a trarre in inganno il destinatario della raccomandata e della citazione, atteso che quest’ultimo non può non essere ben consapevole, checché venga affermato nella lettera raccomandata e nell’atto di citazione, di non aver cagionato alcun sinistro (salvo voler ritenere l’assurdo che una lettera raccomandata o un atto di citazione di tal fatta possano avere la capacità di convincere il destinatario di aver commesso ciò che invece egli non ha mai commesso).

Né si può opinare che, in virtù dell’atto di citazione, sia stata posta in essere una cd. truffa processuale (o, meglio, un tentativo di truffa processuale).

Secondo le ricostruzioni di dottrina e giurisprudenza si parla di truffa processuale allorquando gli artifizi ed i raggiri sono posti in essere da una parte processuale nel corso di un procedimento davanti all’autorità giudiziaria e sono volti a trarre in inganno il giudice, il quale, in virtù della falsa rappresentazione di cui è vittima, emette una sentenza favorevole all’ingannatore e sfavorevole per la controparte, con conseguente ingiusto profitto per il primo ed ingiusto danno per la seconda.

Ebbene, secondo la giurisprudenza assolutamente prevalente, confortata da autorevoli voci dottrinali, la cd. truffa processuale, così come sopra delineata, non integra gli estremi dell’illecito penale, non rientrando essa nella previsione dell’art. 640 c.p.: vedi, in tal senso, tra le pronunce più recenti, Cass., sez. 5, 6.6.1996, n° 7346, Schiavone; Cass., sez. 6, 6.11.1996, Ortis; Cass., sez. 6, 2.12.1999, n° 4026.

Vi è solo una sentenza di senso contrario, pronunciatasi in favore della configurabilità della truffa processuale, vale a dire Cass., sez. 2, 29.10.1998, n° 6335, Santini.

Ciò posto, ritiene lo scrivente giudice di potere aderire all’orientamento assolutamente maggioritario che esclude la configurabilità della truffa processuale.

Invero, la giurisprudenza della Suprema Corte che si pronuncia nel senso della inconfigurabilità della truffa processuale si basa, per giungere a questo suo pronunciamento, su di una rigorosa analisi degli elementi costitutivi del reato di truffa, per giungere così alla conclusione che nella ipotesi di cd. truffa processuale manca, rispetto alla fattispecie astratta di truffa delineata dal legislatore nell’art. 640 c.p., un elemento costitutivo fondamentale, vale a dire l’atto dispositivo (che, per quanto non espressamente citato dalla norma, è pacificamente ritenuto requisito implicito della fattispecie).

Ed infatti è da osservare che per la configurabilità del reato di truffa è necessario che il danno lamentato dalla vittima ed il corrispondente profitto conseguito dal soggetto agente siano stati determinati da artifizi e raggiri, posti in essere dal soggetto agente, che abbiano indotto la vittima in un errore in virtù del quale essa si sia determinata a compiere un atto di disposizione patrimoniale.

In altri termini, per la configurabilità del reato di truffa è non solo necessario che vi siano artifizi e raggiri, ma è altresì necessario che tali artifizi e raggiri, che costituiscono la condotta del soggetto attivo del reato, siano stati causa di un atto di disposizione patrimoniale che la stessa vittima (o chi per essa) abbia compiuto proprio perché indotta in errore dagli artifizi e dai raggiri e che abbia a sua volta determinato il profitto conseguito dal soggetto agente ed il danno subito dalla vittima.

Orbene, come hanno sottolineato le pronunce della Suprema Corte sopra richiamate, è pur vero che ai fini della configurabilità del reato di truffa non deve esserci necessaria corrispondenza tra soggetto ingannato e soggetto danneggiato, sempre che gli effetti dell’inganno e della condotta dell’ingannato si riversino sul patrimonio del danneggiato, nel senso che ben può accadere che il soggetto ingannato sia un soggetto che abbia il potere di compiere atti di disposizione patrimoniale sul patrimonio del danneggiato e che quindi, in virtù dell’inganno subito, compia per l’appunto un atto di disposizione patrimoniale sul patrimonio del danneggiato: pertanto, da tale punto di vista sarebbe astrattamente ammissibile che l’inganno ricada sul giudice e che invece la persona danneggiata sia il soggetto che riceve la pronuncia giurisdizionale sfavorevole.

Tuttavia, come già accennato, il requisito che davvero manca nella truffa processuale rispetto alla fattispecie di truffa delineata dall’art.640 c.p. è il requisito dell’atto di disposizione patrimoniale.

Invero, pur assumendosi che il giudice possa essere tratto in inganno dagli artifizi e raggiri posti in essere da una parte del giudizio, resta il fatto che l’atto che il giudice compie come conseguenza di tali artifizi e raggiri non è un atto di disposizione patrimoniale bensì è l’emissione di una sentenza: orbene, la sentenza non è un atto di disposizione patrimoniale, da intendersi, secondo il suo significato tecnico - giuridico, come libera regolamentazione di interessi privatistici ed espressione di autonomia negoziale delle parti, ma è invece l’espressione di un potere, quale quello giurisdizionale, di natura eminentemente pubblicistica, la cui finalità è l’attuazione di norme giuridiche e la risoluzione dei conflitti e che quindi, pur andando ad incidere sul patrimonio dei soggetti (tra l’altro mai direttamente, bensì solo in via mediata in virtù o della volontaria adesione della parte soccombente al dictum della sentenza oppure in virtù della successiva procedura esecutiva), non risponde ai requisiti dell’atto negoziale volto alla libera gestione di interessi patrimoniali.

In virtù di tutte le predette argomentazioni, ad avviso di questo giudice la giurisprudenza della Suprema Corte che esclude la punibilità della truffa processuale per carenza di tipicità è perfettamente condivisibile perché basata su di una rigorosa ricostruzione degli elementi costitutivi del delitto di truffa e del significato di atto dispositivo e di sentenza: non si rinvengono, pertanto, ragioni per discostarsi da essa.

Tra l’altro, l’unica già segnalata pronuncia in senso contrario (Cass., sez. 2, 29.10.1998, n° 6335, Santini), non solo è stata seguita da una successiva pronuncia nuovamente nel senso della inconfigurabilità della truffa processuale (Cass., sez. 6, 2.12.1999, n° 4026), ma soprattutto, come è apprezzabile leggendone la motivazione per esteso, essa si limita ad affermare la configurabilità della truffa processuale in virtù del principio della non necessaria identità tra persona indotta in errore e persona offesa dal reato (il quale principio, però, non è stato, come visto, messo mai in discussione dalla giurisprudenza orientata per la non configurabilità della truffa processuale), mentre invece non prende assolutamente posizione rispetto alla vera ed unica obiezione alla configurabilità della truffa processuale, e cioè la mancanza in essa di un atto di disposizione patrimoniale.

In conclusione, in una vicenda come quella che in questa sede ci occupa resta da analizzare l’aspetto relativo alla denuncia di sinistro inoltrata alla assicurazione.

Orbene, come si diceva all’inizio, tale comportamento non integra il reato di truffa, bensì il reato di cui all’art. 642 c.p. comma 2, il quale punisce (tra le varie fattispecie alternative) il comportamento di chi, al fine di conseguire l’indennizzo di una assicurazione, "denuncia un sinistro non accaduto".

Sennonché tale reato è sempre e solo perseguibile a querela di parte, senza spazi per una procedibilità d’ufficio: querela che è da ritenere che possa essere sporta dal solo ente assicuratore (soggetto al quale la falsa denuncia di sinistro falsa è rivolta nonché soggetto sul cui patrimonio il pagamento non dovuto è destinato ad esplicare un effetto negativo immediato e diretto), laddove l’assicurato, qualora l’ente assicurato dovesse pagare, è da considerarsi mero danneggiato (in via indiretta, in virtù del peggioramento della classe assicurativa e del conseguente aumento del premio da pagare), ma non persona offesa legittimata a sporgere querela.

In conclusione, il procedimento deve essere archiviato perché la truffa è inconfigurabile e, quanto al reato di cui all’art. 642 c.p., perché manca una valida e tempestiva querela sporta dalla società di assicurazioni.

P.Q.M.

Letti gli artt. 409 e 411 c.p.p., dispone l’archiviazione del procedimento e ordina la restituzione degli atti al Pubblico Ministero in sede.

Si comunichi la presente ordinanza al P.M. e la si notifichi alla persona offesa.

Nola, 22.12.2006

Il Giudice per le indagini preliminari

Dott. Francesco Gesuè Rizzi Ulmo

TRIBUNALE DI NOLA

ORDINANZA DI ARCHIVIAZIONE

- art. 409 c.p.p. comma 5 -

Il Giudice per le Indagini Preliminari, Dottor Francesco Gesuè Rizzi Ulmo,

letti gli atti del procedimento penale indicato in epigrafe nei confronti di soggetti da identificare;

esaminata la richiesta di archiviazione del Pubblico Ministero, pervenuta in Tribunale in data 3.3.2006;

esaminata, a seguito della camera di consiglio tenutasi in data 19.12.2006, la opposizione alla archiviazione presentata dalla persona offesa

osserva

Ad avviso di questo giudice la richiesta di archiviazione può essere accolta, apparendo superflui gli ulteriori temi di indagine indicati dalla persona offesa nella sua opposizione.

Invero, va rilevato quanto segue.

Il querelante lamenta, in sintesi, di essere stato vittima di un tentativo di truffa in quanto tale G.E. dapprima gli faceva pervenire, tramite il suo legale, una lettera raccomandata con la quale, denunciando un sinistro inesistente, gli avanzava una richiesta di risarcimento danni; e, poi, gli faceva pervenire, per le medesime ragioni, un atto di citazione in giudizio dinanzi al Giudice di Pace.

Il P.M. ha chiesto l’archiviazione ritenendo che il fatto non sia costitutivo di illecito penale.

Orbene, ritiene questo giudice che nel caso di specie non sia configurabile il reato di truffa bensì quello di cui all’art. 642 c.p. comma 2.

Invero, rispetto al querelante la truffa (tentata) non è rinvenibile né nell’invio della lettera raccomandata con richiesta di risarcimento né nella notificazione dell’atto di citazione, non potendosi tali comportamenti qualificare come artifizi o raggiri idonei a trarre in inganno il destinatario della raccomandata e della citazione, atteso che quest’ultimo non può non essere ben consapevole, checché venga affermato nella lettera raccomandata e nell’atto di citazione, di non aver cagionato alcun sinistro (salvo voler ritenere l’assurdo che una lettera raccomandata o un atto di citazione di tal fatta possano avere la capacità di convincere il destinatario di aver commesso ciò che invece egli non ha mai commesso).

Né si può opinare che, in virtù dell’atto di citazione, sia stata posta in essere una cd. truffa processuale (o, meglio, un tentativo di truffa processuale).

Secondo le ricostruzioni di dottrina e giurisprudenza si parla di truffa processuale allorquando gli artifizi ed i raggiri sono posti in essere da una parte processuale nel corso di un procedimento davanti all’autorità giudiziaria e sono volti a trarre in inganno il giudice, il quale, in virtù della falsa rappresentazione di cui è vittima, emette una sentenza favorevole all’ingannatore e sfavorevole per la controparte, con conseguente ingiusto profitto per il primo ed ingiusto danno per la seconda.

Ebbene, secondo la giurisprudenza assolutamente prevalente, confortata da autorevoli voci dottrinali, la cd. truffa processuale, così come sopra delineata, non integra gli estremi dell’illecito penale, non rientrando essa nella previsione dell’art. 640 c.p.: vedi, in tal senso, tra le pronunce più recenti, Cass., sez. 5, 6.6.1996, n° 7346, Schiavone; Cass., sez. 6, 6.11.1996, Ortis; Cass., sez. 6, 2.12.1999, n° 4026.

Vi è solo una sentenza di senso contrario, pronunciatasi in favore della configurabilità della truffa processuale, vale a dire Cass., sez. 2, 29.10.1998, n° 6335, Santini.

Ciò posto, ritiene lo scrivente giudice di potere aderire all’orientamento assolutamente maggioritario che esclude la configurabilità della truffa processuale.

Invero, la giurisprudenza della Suprema Corte che si pronuncia nel senso della inconfigurabilità della truffa processuale si basa, per giungere a questo suo pronunciamento, su di una rigorosa analisi degli elementi costitutivi del reato di truffa, per giungere così alla conclusione che nella ipotesi di cd. truffa processuale manca, rispetto alla fattispecie astratta di truffa delineata dal legislatore nell’art. 640 c.p., un elemento costitutivo fondamentale, vale a dire l’atto dispositivo (che, per quanto non espressamente citato dalla norma, è pacificamente ritenuto requisito implicito della fattispecie).

Ed infatti è da osservare che per la configurabilità del reato di truffa è necessario che il danno lamentato dalla vittima ed il corrispondente profitto conseguito dal soggetto agente siano stati determinati da artifizi e raggiri, posti in essere dal soggetto agente, che abbiano indotto la vittima in un errore in virtù del quale essa si sia determinata a compiere un atto di disposizione patrimoniale.

In altri termini, per la configurabilità del reato di truffa è non solo necessario che vi siano artifizi e raggiri, ma è altresì necessario che tali artifizi e raggiri, che costituiscono la condotta del soggetto attivo del reato, siano stati causa di un atto di disposizione patrimoniale che la stessa vittima (o chi per essa) abbia compiuto proprio perché indotta in errore dagli artifizi e dai raggiri e che abbia a sua volta determinato il profitto conseguito dal soggetto agente ed il danno subito dalla vittima.

Orbene, come hanno sottolineato le pronunce della Suprema Corte sopra richiamate, è pur vero che ai fini della configurabilità del reato di truffa non deve esserci necessaria corrispondenza tra soggetto ingannato e soggetto danneggiato, sempre che gli effetti dell’inganno e della condotta dell’ingannato si riversino sul patrimonio del danneggiato, nel senso che ben può accadere che il soggetto ingannato sia un soggetto che abbia il potere di compiere atti di disposizione patrimoniale sul patrimonio del danneggiato e che quindi, in virtù dell’inganno subito, compia per l’appunto un atto di disposizione patrimoniale sul patrimonio del danneggiato: pertanto, da tale punto di vista sarebbe astrattamente ammissibile che l’inganno ricada sul giudice e che invece la persona danneggiata sia il soggetto che riceve la pronuncia giurisdizionale sfavorevole.

Tuttavia, come già accennato, il requisito che davvero manca nella truffa processuale rispetto alla fattispecie di truffa delineata dall’art.640 c.p. è il requisito dell’atto di disposizione patrimoniale.

Invero, pur assumendosi che il giudice possa essere tratto in inganno dagli artifizi e raggiri posti in essere da una parte del giudizio, resta il fatto che l’atto che il giudice compie come conseguenza di tali artifizi e raggiri non è un atto di disposizione patrimoniale bensì è l’emissione di una sentenza: orbene, la sentenza non è un atto di disposizione patrimoniale, da intendersi, secondo il suo significato tecnico - giuridico, come libera regolamentazione di interessi privatistici ed espressione di autonomia negoziale delle parti, ma è invece l’espressione di un potere, quale quello giurisdizionale, di natura eminentemente pubblicistica, la cui finalità è l’attuazione di norme giuridiche e la risoluzione dei conflitti e che quindi, pur andando ad incidere sul patrimonio dei soggetti (tra l’altro mai direttamente, bensì solo in via mediata in virtù o della volontaria adesione della parte soccombente al dictum della sentenza oppure in virtù della successiva procedura esecutiva), non risponde ai requisiti dell’atto negoziale volto alla libera gestione di interessi patrimoniali.

In virtù di tutte le predette argomentazioni, ad avviso di questo giudice la giurisprudenza della Suprema Corte che esclude la punibilità della truffa processuale per carenza di tipicità è perfettamente condivisibile perché basata su di una rigorosa ricostruzione degli elementi costitutivi del delitto di truffa e del significato di atto dispositivo e di sentenza: non si rinvengono, pertanto, ragioni per discostarsi da essa.

Tra l’altro, l’unica già segnalata pronuncia in senso contrario (Cass., sez. 2, 29.10.1998, n° 6335, Santini), non solo è stata seguita da una successiva pronuncia nuovamente nel senso della inconfigurabilità della truffa processuale (Cass., sez. 6, 2.12.1999, n° 4026), ma soprattutto, come è apprezzabile leggendone la motivazione per esteso, essa si limita ad affermare la configurabilità della truffa processuale in virtù del principio della non necessaria identità tra persona indotta in errore e persona offesa dal reato (il quale principio, però, non è stato, come visto, messo mai in discussione dalla giurisprudenza orientata per la non configurabilità della truffa processuale), mentre invece non prende assolutamente posizione rispetto alla vera ed unica obiezione alla configurabilità della truffa processuale, e cioè la mancanza in essa di un atto di disposizione patrimoniale.

In conclusione, in una vicenda come quella che in questa sede ci occupa resta da analizzare l’aspetto relativo alla denuncia di sinistro inoltrata alla assicurazione.

Orbene, come si diceva all’inizio, tale comportamento non integra il reato di truffa, bensì il reato di cui all’art. 642 c.p. comma 2, il quale punisce (tra le varie fattispecie alternative) il comportamento di chi, al fine di conseguire l’indennizzo di una assicurazione, "denuncia un sinistro non accaduto".

Sennonché tale reato è sempre e solo perseguibile a querela di parte, senza spazi per una procedibilità d’ufficio: querela che è da ritenere che possa essere sporta dal solo ente assicuratore (soggetto al quale la falsa denuncia di sinistro falsa è rivolta nonché soggetto sul cui patrimonio il pagamento non dovuto è destinato ad esplicare un effetto negativo immediato e diretto), laddove l’assicurato, qualora l’ente assicurato dovesse pagare, è da considerarsi mero danneggiato (in via indiretta, in virtù del peggioramento della classe assicurativa e del conseguente aumento del premio da pagare), ma non persona offesa legittimata a sporgere querela.

In conclusione, il procedimento deve essere archiviato perché la truffa è inconfigurabile e, quanto al reato di cui all’art. 642 c.p., perché manca una valida e tempestiva querela sporta dalla società di assicurazioni.

P.Q.M.

Letti gli artt. 409 e 411 c.p.p., dispone l’archiviazione del procedimento e ordina la restituzione degli atti al Pubblico Ministero in sede.

Si comunichi la presente ordinanza al P.M. e la si notifichi alla persona offesa.

Nola, 22.12.2006

Il Giudice per le indagini preliminari

Dott. Francesco Gesuè Rizzi Ulmo