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Tribunale di Trieste: prima applicazione dell’articolo 2645 ter Codice Civile e rigetto di iscrizione tavolare di trust

Nota a Tribunale di Trieste - Ufficio del Giudice Tavolare, Decreto 7 aprile 2006
Il decreto triestino fa chiarezza circa l’effettiva interpretazione dell’articolo 2645 ter, norma recentemente introdotta nel codice civile dal Decreto Legge 30 dicembre 2005 n. 273.

 

In particolare 4 sono gli aspetti di assoluto rilievo messi in luce dal provvedimento in esame:

 

il primo: l’articolo 2645 ter non è una norma sugli atti, e quindi non ha introdotto nel nostro ordinamento giuridico una nuova tipologia di atti, ma è una norma sugli effetti;

 

il secondo: l’articolo 2645 ter Codice Civile non ha creato una sorta di trust atipico, come da taluni definito, trust all’italiana;

 

il terzo: il programma negoziale che ha indotto il conferente a ricorrere a quel negozio giuridico deve sempre essere conoscibile e quindi, in relazione al trust, deve risultare enunciato anche nei singoli negozi di dotazione patrimoniale di beni al trustee del trust istituito;

 

il quarto: il giudizio di meritevolezza degli interessi, come richiesto dalla norma in commento, deve intendersi come mero giudizio di liceità dell’atto, potendosi diversamente rinvenire profili di incostituzionalità fra detto articolo e l’articolo 16 della Legge 218/95.

 

Si vedano ora nel dettaglio.

 

Dopo l’entrata in vigore dell’articolo 2645 ter Codice Civile ci si chiedeva quale fosse l’effettiva portata di tale norma ed in particolare se essa poteva ritenersi una norma sugli atti o una norma sugli effetti.

 

Prevalentemente il mondo del notariato sosteneva si fosse dato vita ad una nuova di tipologia di atti ad effetti reali, c.d. atti di destinazione, disciplinati e legittimati da tale fonte normativa. Quanti quindi accedevano a tale interpretazione, ritenevano parimenti si fosse aperto un varco per l’ingresso, nel nostro ordinamento giuridico, del tanto dibattuto negozio traslativo atipico.

 

Di parere contrario altra dottrina che riteneva, oltre all’evidente ambito di collocazione sistematica della norma in una parte del codice civile non compatibile con norme attinenti il diritto sostanziale, non sufficiente il tenore letterale della stessa per dar vita ad una nuova tipologia negoziale avente quale causa tout court quella di destinazione di beni per la realizzazione di interessi meritevoli di tutela.

 

Riteneva in particolare, parte di tale dottrina, che con tale norma si fosse inteso prevedere una nuova tipologia di effetti, complementari rispetto a quella traslativa ed obbligatoria, propria delle singole figure negoziali cui accede, in ragione dell’evidente carenza, nel tenore letterale della norma stessa, di qualsiasi elemento idoneo ad individuare con certezza la struttura del negozio, se bilaterale o unilaterale, la sua natura, se a titolo oneroso o gratuito, i suoi effetti, se traslativi o meramente obbligatori.

 

In altri termini veniva lamentato un vuoto in punto alla, invece necessaria, compiuta descrizione del piano strutturale e fenomenico dell’eventuale negozio che venisse ritenuto avere la sua fonte nell’articolo 2645 ter Codice Civile.

 

Al contrario, l’articolo 2645 ter Codice Civile doveva intendersi quale mera norma legittimante l’opponibilità ai terzi, attraverso lo strumento della trascrizione, o intavolazione, degli effetti accessori di destinazione che venivano ad imprimersi su beni immobili, o beni mobili registrati.

 

Imprescindibile restava quindi lo stretto collegamento di tali effetti accessori, agli effetti principali appartenenti alla fattispecie negoziale prescelta dal conferente, sia essa tipica o atipica.

 

Men che meno può quindi ritenersi essere venuto ad esistenza una sorta di trust all’italiana.

 

Anche in questo ambito vi erano state autorevoli opinioni dottrinali che avevano sostenuto come “a seguito del nuovo articolo 2645 ter il nostro Stato non può più essere annoverato tra quelli che non prevedono l’istituto del trust e conseguentemente l’articolo 13 della Convenzione de L’Aja non potrebbe più essere invocato per negare il riconoscimento ad un trust interno” (L. F. Risso D. Muritano Il Trust Diritto interno e Convenzione de L’Aja. Ruolo Responsabilità del notaio, Studio approvato dal Consiglio Nazionale del Notariato il 10 febbraio 2006).

 

Assolutamente non condivisibile questa interpretazione per una motivazione su tutte: la carenza nel testo dell’articolo in commento di quello che è il cuore del trust: ovvero sia l’obbligazione fiduciaria (in questo senso M. Lupoi, P. Manes, G. Fanticini). Alcuni aspetti, indubbiamente di diritto sostanziale, esplicitati dal legislatore nell’articolo 2645 ter Codice Civile (la durata massima, la legittimazione processuale delle parti coinvolte, la menzione di beneficiario) non possono, infatti, ritenersi in alcun modo necessari e sufficienti a superare questa omissione davvero sì, in tale caso, di natura sostanziale.

 

Il terzo punto, ci sia consentito, è la cronaca di una morte annunciata.

 

Dopo il famoso decreto del Tribunale di Belluno del 23 settembre 2002 (in T&AF, 3, 255 e ss) una cosa su tutte veniva appresa e recepita dagli operatori: se l’atto di dotazione dei beni al trustee è atto separato rispetto all’atto istitutivo di trust, il primo deve enunciare nelle premesse la finalità per la quale il trust è stato istituito e la legge applicabile prescelta.

 

Era infatti evidente come non si potesse semplicemente richiamare nell’atto di trasferimento immobiliare, a causa giustificatrice dello stesso, la mera avvenuta istituzione di un trust redatto in base alla Convenzione de L’Aja, retificata dalla Legge n. 364/89, in quanto la Convenzione assolutamente non identifica una fattispecie giuridica qualificabile come trust ma si limita ad indicarne i requisiti minimi (articoli 2 e 11 della Convenzione) rinviando alla legge applicabile prescelta dal disponente (ex articolo6) l’individuazione degli elementi sostanziali.

 

Memori di ciò, e quindi riportando negli atti di trasferimento queste precisazioni, è stato infatti possibile ottenere, successivamente al decreto bellunese citato, le prime intavolazioni del diritto di proprietà del trustee sui beni immobili (Trib. Cavalese (TN) 20.7.2004, Dolzani in T&AF 2004,3,573; Trib di Cles (TN) 7.04.05, Sertori e Tonelli).

 

Puntualmente il tribunale triestino, ancora una volta come fu per Belluno, sanziona gravemente queste omissioni precisando come non sia dato conoscere al giudice, né lo scopo per il quale il trust è stato istituito, e quindi di converso la causa del trasferimento immobiliare, né tantomeno la legge applicabile a tale negozio.

 

L’ultimo aspetto è forse il più importante ed è strettamente connesso al precedente.

 

Il programma negoziale, e quindi la finalità per la quale il disponente si è determinato all’istituzione di un trust, deve essere conosciuta o conoscibile.

 

Se da un canto questo è tanto più vero nel sistema tavolare, dove la proprietà reale passa solo in forza del decreto di intavolazione emesso dal giudice che, esaminati gli atti, ne suggella la legittimità, questo criterio deve assurgere a livelli generali, altrimenti saremmo di fronte a negozi causali astratti e come tali, non ammissibili per il nostro ordinamento.

 

L’odierno provvedimento, che conferma sul punto quanto già espresse a suo tempo il medesimo tribunale triestino nel decreto del 23.9.05, in T&AF, 2005, 4) si spinge però oltre.

 

Il citato articolo 2645 ter richiede infatti che siano perseguiti interessi meritevoli di tutela per legittimare un atto di destinazione.

 

Ne deriva un delicato problema interpretativi e pratico: qual è l’esatta portata da darsi a questa precisazione sostanziale della norma?

 

In altri termini, si deve accedere all’interpretazione ormai pacificamente accolta dalla giurisprudenza di legittimità sulla questione (fin dal 1948, e più recentemente nel 1991) secondo la quale è meritevole di tutela ciò che semplicemente è lecito in quanto non contrario al nostro ordinamento giuridico o, diversamente, per questa fattispecie si deve ritenere che il legislatore abbia richiesto un quid pluris e quindi un indagine più serrata che implichi una valutazione vera e propria fatto, e quindi del merito della scelta?

 

Consapevole dei pericoli che tale seconda soluzione può prospettare, dipendendo da valutazioni squisitamente personali del giudicante, condizionate quindi dalle sue personali convinzioni sociali, religiose o politiche, il tribunale triestino non solo ribadisce come l’equazione meritevolezza = liceità non possa non richiamarsi ad ogni effetto anche per le fattispecie discendenti dall’articolo 2645 ter ma altresì rilevando come, una diversa interpretazione, presterebbe il fianco a evidenti profili di incostituzionalità della norma.

 

Rammenta infatti, il giudice triestino, l’articolo 16 della Legge 215/98 che riconosce pacificamente il diritto dello straniero di porre in essere negozi atipici all’interno del nostro sistema giuridico, e quindi anche trust, con il solo limite di non incorrere in violazioni dell’ordine pubblico (articolo 16 Legge 218/95). La sperequazione è di immediata intuizione: sposando quell’interpretazione dell’articolo 2645 ter secondo la quale il giudizio di meritevolezza debba andare oltre la mera liceità, si produrrebbe un’immediata ed odiosa disparità di trattamento fra il cittadino italiano, appunto gravato dell’onere di dimostrare siffatta meritevolezza, rispetto allo straniero al quale, invece, questo onere non viene addossato.

Il decreto triestino fa chiarezza circa l’effettiva interpretazione dell’articolo 2645 ter, norma recentemente introdotta nel codice civile dal Decreto Legge 30 dicembre 2005 n. 273.

 

In particolare 4 sono gli aspetti di assoluto rilievo messi in luce dal provvedimento in esame:

 

il primo: l’articolo 2645 ter non è una norma sugli atti, e quindi non ha introdotto nel nostro ordinamento giuridico una nuova tipologia di atti, ma è una norma sugli effetti;

 

il secondo: l’articolo 2645 ter Codice Civile non ha creato una sorta di trust atipico, come da taluni definito, trust all’italiana;

 

il terzo: il programma negoziale che ha indotto il conferente a ricorrere a quel negozio giuridico deve sempre essere conoscibile e quindi, in relazione al trust, deve risultare enunciato anche nei singoli negozi di dotazione patrimoniale di beni al trustee del trust istituito;

 

il quarto: il giudizio di meritevolezza degli interessi, come richiesto dalla norma in commento, deve intendersi come mero giudizio di liceità dell’atto, potendosi diversamente rinvenire profili di incostituzionalità fra detto articolo e l’articolo 16 della Legge 218/95.

 

Si vedano ora nel dettaglio.

 

Dopo l’entrata in vigore dell’articolo 2645 ter Codice Civile ci si chiedeva quale fosse l’effettiva portata di tale norma ed in particolare se essa poteva ritenersi una norma sugli atti o una norma sugli effetti.

 

Prevalentemente il mondo del notariato sosteneva si fosse dato vita ad una nuova di tipologia di atti ad effetti reali, c.d. atti di destinazione, disciplinati e legittimati da tale fonte normativa. Quanti quindi accedevano a tale interpretazione, ritenevano parimenti si fosse aperto un varco per l’ingresso, nel nostro ordinamento giuridico, del tanto dibattuto negozio traslativo atipico.

 

Di parere contrario altra dottrina che riteneva, oltre all’evidente ambito di collocazione sistematica della norma in una parte del codice civile non compatibile con norme attinenti il diritto sostanziale, non sufficiente il tenore letterale della stessa per dar vita ad una nuova tipologia negoziale avente quale causa tout court quella di destinazione di beni per la realizzazione di interessi meritevoli di tutela.

 

Riteneva in particolare, parte di tale dottrina, che con tale norma si fosse inteso prevedere una nuova tipologia di effetti, complementari rispetto a quella traslativa ed obbligatoria, propria delle singole figure negoziali cui accede, in ragione dell’evidente carenza, nel tenore letterale della norma stessa, di qualsiasi elemento idoneo ad individuare con certezza la struttura del negozio, se bilaterale o unilaterale, la sua natura, se a titolo oneroso o gratuito, i suoi effetti, se traslativi o meramente obbligatori.

 

In altri termini veniva lamentato un vuoto in punto alla, invece necessaria, compiuta descrizione del piano strutturale e fenomenico dell’eventuale negozio che venisse ritenuto avere la sua fonte nell’articolo 2645 ter Codice Civile.

 

Al contrario, l’articolo 2645 ter Codice Civile doveva intendersi quale mera norma legittimante l’opponibilità ai terzi, attraverso lo strumento della trascrizione, o intavolazione, degli effetti accessori di destinazione che venivano ad imprimersi su beni immobili, o beni mobili registrati.

 

Imprescindibile restava quindi lo stretto collegamento di tali effetti accessori, agli effetti principali appartenenti alla fattispecie negoziale prescelta dal conferente, sia essa tipica o atipica.

 

Men che meno può quindi ritenersi essere venuto ad esistenza una sorta di trust all’italiana.

 

Anche in questo ambito vi erano state autorevoli opinioni dottrinali che avevano sostenuto come “a seguito del nuovo articolo 2645 ter il nostro Stato non può più essere annoverato tra quelli che non prevedono l’istituto del trust e conseguentemente l’articolo 13 della Convenzione de L’Aja non potrebbe più essere invocato per negare il riconoscimento ad un trust interno” (L. F. Risso D. Muritano Il Trust Diritto interno e Convenzione de L’Aja. Ruolo Responsabilità del notaio, Studio approvato dal Consiglio Nazionale del Notariato il 10 febbraio 2006).

 

Assolutamente non condivisibile questa interpretazione per una motivazione su tutte: la carenza nel testo dell’articolo in commento di quello che è il cuore del trust: ovvero sia l’obbligazione fiduciaria (in questo senso M. Lupoi, P. Manes, G. Fanticini). Alcuni aspetti, indubbiamente di diritto sostanziale, esplicitati dal legislatore nell’articolo 2645 ter Codice Civile (la durata massima, la legittimazione processuale delle parti coinvolte, la menzione di beneficiario) non possono, infatti, ritenersi in alcun modo necessari e sufficienti a superare questa omissione davvero sì, in tale caso, di natura sostanziale.

 

Il terzo punto, ci sia consentito, è la cronaca di una morte annunciata.

 

Dopo il famoso decreto del Tribunale di Belluno del 23 settembre 2002 (in T&AF, 3, 255 e ss) una cosa su tutte veniva appresa e recepita dagli operatori: se l’atto di dotazione dei beni al trustee è atto separato rispetto all’atto istitutivo di trust, il primo deve enunciare nelle premesse la finalità per la quale il trust è stato istituito e la legge applicabile prescelta.

 

Era infatti evidente come non si potesse semplicemente richiamare nell’atto di trasferimento immobiliare, a causa giustificatrice dello stesso, la mera avvenuta istituzione di un trust redatto in base alla Convenzione de L’Aja, retificata dalla Legge n. 364/89, in quanto la Convenzione assolutamente non identifica una fattispecie giuridica qualificabile come trust ma si limita ad indicarne i requisiti minimi (articoli 2 e 11 della Convenzione) rinviando alla legge applicabile prescelta dal disponente (ex articolo6) l’individuazione degli elementi sostanziali.

 

Memori di ciò, e quindi riportando negli atti di trasferimento queste precisazioni, è stato infatti possibile ottenere, successivamente al decreto bellunese citato, le prime intavolazioni del diritto di proprietà del trustee sui beni immobili (Trib. Cavalese (TN) 20.7.2004, Dolzani in T&AF 2004,3,573; Trib di Cles (TN) 7.04.05, Sertori e Tonelli).

 

Puntualmente il tribunale triestino, ancora una volta come fu per Belluno, sanziona gravemente queste omissioni precisando come non sia dato conoscere al giudice, né lo scopo per il quale il trust è stato istituito, e quindi di converso la causa del trasferimento immobiliare, né tantomeno la legge applicabile a tale negozio.

 

L’ultimo aspetto è forse il più importante ed è strettamente connesso al precedente.

 

Il programma negoziale, e quindi la finalità per la quale il disponente si è determinato all’istituzione di un trust, deve essere conosciuta o conoscibile.

 

Se da un canto questo è tanto più vero nel sistema tavolare, dove la proprietà reale passa solo in forza del decreto di intavolazione emesso dal giudice che, esaminati gli atti, ne suggella la legittimità, questo criterio deve assurgere a livelli generali, altrimenti saremmo di fronte a negozi causali astratti e come tali, non ammissibili per il nostro ordinamento.

 

L’odierno provvedimento, che conferma sul punto quanto già espresse a suo tempo il medesimo tribunale triestino nel decreto del 23.9.05, in T&AF, 2005, 4) si spinge però oltre.

 

Il citato articolo 2645 ter richiede infatti che siano perseguiti interessi meritevoli di tutela per legittimare un atto di destinazione.

 

Ne deriva un delicato problema interpretativi e pratico: qual è l’esatta portata da darsi a questa precisazione sostanziale della norma?

 

In altri termini, si deve accedere all’interpretazione ormai pacificamente accolta dalla giurisprudenza di legittimità sulla questione (fin dal 1948, e più recentemente nel 1991) secondo la quale è meritevole di tutela ciò che semplicemente è lecito in quanto non contrario al nostro ordinamento giuridico o, diversamente, per questa fattispecie si deve ritenere che il legislatore abbia richiesto un quid pluris e quindi un indagine più serrata che implichi una valutazione vera e propria fatto, e quindi del merito della scelta?

 

Consapevole dei pericoli che tale seconda soluzione può prospettare, dipendendo da valutazioni squisitamente personali del giudicante, condizionate quindi dalle sue personali convinzioni sociali, religiose o politiche, il tribunale triestino non solo ribadisce come l’equazione meritevolezza = liceità non possa non richiamarsi ad ogni effetto anche per le fattispecie discendenti dall’articolo 2645 ter ma altresì rilevando come, una diversa interpretazione, presterebbe il fianco a evidenti profili di incostituzionalità della norma.

 

Rammenta infatti, il giudice triestino, l’articolo 16 della Legge 215/98 che riconosce pacificamente il diritto dello straniero di porre in essere negozi atipici all’interno del nostro sistema giuridico, e quindi anche trust, con il solo limite di non incorrere in violazioni dell’ordine pubblico (articolo 16 Legge 218/95). La sperequazione è di immediata intuizione: sposando quell’interpretazione dell’articolo 2645 ter secondo la quale il giudizio di meritevolezza debba andare oltre la mera liceità, si produrrebbe un’immediata ed odiosa disparità di trattamento fra il cittadino italiano, appunto gravato dell’onere di dimostrare siffatta meritevolezza, rispetto allo straniero al quale, invece, questo onere non viene addossato.