Tribunali e giudici nella Roma papalina

La giustizia bendata o meglio con gli “occhiali” come suggeriva il Belli
Giuseppe Gioachino Belli
Ph. Riccardo Radi / Giuseppe Gioachino Belli

Tribunali e giudici nella Roma papalina


Nella Roma dei Papi le carceri e tribunali non mancavano. Giulio II, eletto al Sacro Soglio nel 1503, ordinò al Bramante un palazzo di giustizia. L’idea era quella di costruire una opera monumentale, il Bramante incominciò la costruzione con un prospetto di novantasei metri su via Giulia; ma alla morte del pontefice, nel 1513, la costruzione si fermò a pochi metri da terra. Le possenti basi dell’edificio che, fra la via del Gonfalone e il vicolo del Cefalo, sporgono tuttora, come ai piedi del palazzo Farnese, in forma di sedili, son chiamate dal popolo i sofà di via Giulia.

Scrisse il Milizia: “Ebbene queste vestigia imponenti del gran concetto di Giulio II, sono gli avanzi della Curia, ossia Palazzo di Giustizia, che qui voleva erigere quel Papa, degno di un trono terreno più grande, che non era quello che occupava”.

Trascorsero i secoli e i tribunali a Roma rimasero dispersi qua e là.

Il Senatore di Roma teneva udienza in Campidoglio, nell’attuale sala consigliare; e i rintocchi della patarina (storica campana del Campidoglio) annunziavano l’apertura delle sedute.

Monsignor Governatore giudicava nel suo palazzo in via del Governo Vecchio, per passare più tardi a Palazzo Madama, ove ora è il Senato. Il tribunale del Governo si occupava di crimini era composto da quindici membri ed era presieduto dal Governatore che era anche Direttore Generale della polizia.

Nel sonetto “Le du’ sentenze”, il Belli con il suo sarcasmo, rivela che tutto è soggetto a mancia perfino la modifica del modo di essere giustiziati.


Er tribbunale der Governo, Arbina,

aveva data ar genero de Rosa

la condanna de morte ggnominiosa

co la fuscilazzione in de la schina.


Ma la Sagra Conzurta, ppiù ppietosa

ne la congregazzion de stammatina

j’ha mmutata la pena in quajjottina,

morte che ppe l’onore è un’antra cosa.


E ttant’è vvero che la grazzia è ffatta,

ch’io mentre stavo cor lacché de Francia

sott’a la Madonnella de la gatta,

Ho visto er servitore der Ponente

entra ccurrenno pe ppijja la mancia

ner porton de la mojje der pazziente.

(Roma 29 aprile 1834)


Il Cardinal Vicario e il Cardinal Camerlengo risolvevano le cause nelle rispettive abitazioni.

Papa Innocenzo XII acquistò dal Principe Ludovisi, il palazzo di Montecitorio già iniziato dal Bernini, lo fece ultimare da Matteo de Rossi e da Carlo Fontana e vi insediò i tribunali dell’Uditore di Camera e del Tesoriere Generale.

La Sacra Rota, tribunale supremo d’appello e revisione, si adunava in Vaticano o alla Cancelleria.

Complicata e curiosissima era la rispettiva giurisdizione di tanti giudici.

Il Governatore, che disponeva di “un bargello e trecento birri”, amministrava la giustizia penale su tutta la città; ma, nella civile, si limitava alle modeste controversie dei salari e delle merci.

Il Cardinal Vicario giudicava i preti, gli ebrei e le meretrici, ed anche, laici, quando avevano questioni con i sacerdoti, e puniva i bestemmiatori, gli spergiuri, gli stupratori, gli adulteri, i concubinarii e i poligami. Diciamo che si occupava della morale e della famiglia.

L’Uditore di Camera si pronunziava sui reati dei cortigiani, dei mercanti e degli stranieri di passaggio a Roma.

Il Tesoriere Generale si occupava dei delitti contro il fisco e delle contravvenzioni alla polizia edile.

C’erano, poi, le giurisdizioni delle varie Congregazioni; i tribunali del Prefetto dell’Annona e del Camerlengo di Ripagrande, che si pronunciava sulle controversie circa le merci che approdavano dal Tevere. In questa babele di giudici, tribunali, competenze l’ingiustizia era di casa.

Il Belli nel sonetto “La Ggiustizzia” suggerisce di non mettere la benda alla giustizia come nell’iconografia tradizionale ma al contrario bisogna proprio mettergli “gli occhiali”.


Tra le cuattro Vertù cch’er Monno spera

c’averìano d’avé li cardinali

sce sta ddipinta la Ggiustizzia vera

come l’hanno da fa li tribbunali


Tié in mano uno spadone e una stadera

carca un aggnello sotto a li stivali:

e sta bbennata co una bbenna nera,

cuann’io, pe mmé, jje metterià l’occhiali.


Ma ccome, cristo!, ha da trovà la strada,

cusì orba la povera Ggiustizzia,

de contà ll’once e dde calà lla spada?


Come po' vvede mai si la malizzia

de li curiali je dà ggrano o bbiada,

e ss’è zzuchero-d’orzo o rregolizzia?

(Roma 23 gennaio 1833)


Quando Roma venne occupata dalle truppe francesi di Napoleone era il febbraio del 1808. Il 17 Maggio del 1809 Napoleone decreta la fine del potere temporale dei Papi: Roma e il Lazio entrano a far parte dell’Impero Francese.

Il Generale Miollis è Governatore di Roma.

Tra le prime riforme i francesi posero la Prefettura a Montecitorio e riunirono i tribunali alla Cancelleria sul cui frontone posero l’iscrizione: “Corte Imperiale”.

Nel 1814 con la restaurazione tutto tornò come prima, anche i tribunali si sparpagliarono di nuovo.


(seguirà parte seconda Le carceri)

Giuseppe Gioachino Belli, Stà povera giustizia, 161 sonetti scelti e commentati da Mauro Mellini, Rubbettino, 2008.

Francesco Milizia, Dizionario delle Belle Arti del disegno, Bassano Remondini Tipografia, 1822.

Costantino Maes, Curiosità Romane, parte seconda Edizioni del Pasquino, 1983

Giuseppe Gioachino Belli, Tutti i sonetti romaneschi, I Mammut Newton 2 volumi, 1998