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Ucraina: da dove viene (e dove porterà) l’azzardo di Putin

ISPI
Gas russo
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di Aldo Ferrari

Negli oltre venti anni della leadership di Vladimir Putin la Russia è stata mossa da una percezione dei propri interessi nazionali e da una concezione dell’ordine politico internazionale del tutto differenti da quelli dell’Occidente.

Il rifiuto di accettare il declino politico seguito al crollo dell’URSS e di conformarsi al nuovo ordine internazionale egemonizzato dagli Stati Uniti si è rafforzato sin dai primi anni 2000. Il principale punto di contrasto è stato come si sa l’espansione verso est della NATO, vista come una minaccia alla sicurezza nazionale. Ma a questo Mosca ha aggiunto anche il progetto di ricomposizione dello spazio post-sovietico, che ha prodotto sinora soltanto una Unione Economica Eurasiatica di incerto sviluppo, ed una visione multipolare dello scenario internazionale ben poco apprezzata dall’Occidente.

Tutto questo ha portato a numerose crisi, in particolare a quella seguita alla breve guerra russo-georgiana del 2008 ed a quella ben più grave del 2014, quando l’ascesa al potere a Kiev di una dirigenza orientata verso l’Occidente determinò l’annessione della Crimea da parte della Russia e il suo sostegno ai separatisti del Donbass.

Il contrasto tra la Russia e l’Occidente è cresciuto progressivamente sino alla crisi attuale, le cui responsabilità non possono essere attribuite soltanto a Mosca. In questi decenni l’Occidente è stato del tutto sordo di fronte alle richieste russe di sicurezza, chiuso in una sostanziale autoreferenzialità, in un complesso di superiorità che ha esasperato la dirigenza russa. Un atteggiamento che ha tra l’altro indotto la Russia ad avvicinarsi strategicamente alla Cina, una dinamica decisamente poco corrispondente all’interesse dello stesso Occidente e degli Stati Uniti. In questo periodo, nonostante la non brillante situazione economica, la Russia è riuscita ad accrescere il proprio peso nello spazio post-sovietico, in particolare in Bielorussia a sostegno del pericolante regime di Lukashenko, nel Caucaso dopo la guerra armeno-azerbaigiana del 2020 e, nel gennaio di quest’anno in Kazakhstan, guidando l’intervento della CSTO per porre fine all’instabilità del paese. 

Restava però aperta la questione dell’espansione della NATO verso est, in particolare riguardo all’Ucraina, un paese che la Russia fatica a sentire distinto da sé, soprattutto dopo il successo al suo interno della linea filo-occidentale. Dopo mesi di crescenti tensioni Mosca ha chiesto con forza ultimativa a Stati Uniti e NATO garanzie formali sulla sua sicurezza che sono state sostanzialmente respinte. Di qui l’imponente dispiegamento militare e lo scoppio della nuova e più grave crisi di questi giorni.

In effetti L’“Operazione Militare” lanciata dalla Russia contro l’Ucraina nelle prime ore del 24 febbraio ha segnato un momento di forte rottura nella politica estera di Mosca. Il riconoscimento dell’indipendenza delle repubbliche di Doneck e Lugansk rientrava in effetti nel modus operandi dei decenni precedenti, vale a dire interventi mirati e di portata limitata pur se al di fuori del diritto internazionale, per esempio il riconoscimento dell’indipendenza dell’Abkhazia e dell’Ossetia meridionale nel 2008, ma anche l’annessione incruente della Crimea nel 2014. In ognuno di questi casi Mosca aveva se non ragione, almeno delle ragioni per giustificare con una certa efficacia la propria azione. L’offensiva lanciata oggi si pone invece in un’ottica diversa, essenzialmente aggressiva e della quale si fatica a riconoscere una razionalità politica.

Ancor più importante della violazione del diritto internazionale impressiona l’azzardo geopolitico cui Putin espone il suo paese. Il contrasto con l'Occidente aumenterà a dismisura e l’economia russa verrà colpita da sanzioni pesantissime che la metteranno in grave difficoltà. La Russia sarà presumibilmente costretta ad avvicinarsi ancora di più alla Cina in una situazione di crescente subalternità. E aumenterà anche la distanza politica e psicologica con l'Ucraina, che viene aggredita senza una vera provocazione militare. Il rischio è grande anche sul piano interno perché una guerra con l’Ucraina difficilmente potrà essere popolare tra la popolazione russa, legata a quella ucraina da stretti rapporti storici, culturali e familiari.

Se la cosiddetta “Operazione Militare” sarà breve e di successo, l’immagine di Putin come uomo forte e “minaccioso” potrebbe anche rafforzarsi. Ma nel caso, non da escludere, in cui le cose andassero meno bene del previsto, il suo prestigio internamente ne potrebbe risentire in maniera molto forte. Vedremo se l’azzardo di Putin avrà successo oppure no, ma di sicuro la prospettiva di un miglioramento a breve termine dei rapporti tra la Russia e l’Occidente diviene a questo punto del tutto irreale, a prescindere dall’evoluzione dello scontro militare in atto.

Infine, una parola per l’Ucraina, vittima dell’aggressione russa, certo, ma anche della propria mancanza di realismo politico e dell’insipienza politica dell’Occidente, che da un lato ha retoricamente sostenuto Kiev, ma dall’altro ha dichiarato che non sarebbe intervenuto militarmente in sua difesa