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Una donna al Quirinale? Riflessioni costituzionali

Sergio Mattarella
Sergio Mattarella

Sono passati oltre trent’anni da quando Nilde Iotti, prima donna a ricoprire una delle più alte cariche dello Stato (la presidenza della Camera dei Deputati), propose di eleggere Presidente della Repubblica un’autorevole figura femminile. Tenuto conto che tra qualche giorno prenderà avvio il c.d. semestre bianco, appare legittimo interrogarsi sulla persona che salirà al Quirinale.

Negli ultimi tempi, è tornata a “galla” l’ipotesi di una donna come Presidente, avanzata anche nel 1999 e intravista nella figura di Emma Bonino. Quest’ultima rientra tra i nomi che sono circolati negli ultimi mesi. Il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, in occasione della celebrazione della Festa della Repubblica (2 giugno), ha riservato un lungo spazio alle donne, colonna vertebrale del suo discorso.

In particolare, egli ha segnalato le amministrative del 1946, e specialmente, il referendum del 2 giugno, due eventi costituzionalmente memorabili in tema di parità di genere. Basti pensare che il “trionfo” della Repubblica sulla monarchia è rimasto associato al volto di una donna: la rinomata foto di Federico Patellani per la copertina della rivista “Tempo”, del 15-22 giugno 1946, raffigura il viso di una sorridente ragazza bruna con il capo infilato nella prima pagina del “Corriere della Sera” dell’11 giugno, intitolato “È nata la Repubblica”, e in basso a sinistra la scritta “Rinasce l’Italia”.

Dietro la conquista del diritto all’elettorato attivo e passivo emerge un iter lungo e travagliato. Verso la fine dell’Ottocento, su spinta europea e d’oltreoceano, sorgono anche in Italia le Leghe per la rivendicazione del suffragio femminile (Lega per la tutela degli interessi femminili, Unione femminile nazionale). Nei primi anni del Novecento, vengono fondate le sezioni nazionali di due grandi organismi internazionali: il Consiglio nazionale delle donne italiane (Cndi), arto italiano dell’International Council of Women e l’Alleanza femminile Pro-suffragio, aderente all’International Woman Suffrage Alliance. Seguono disegni di legge abbandonati e petizioni inascoltate; per vent’anni, la querelle rimane fine a sé stessa.

Solo nel 1945, tra disordini politici e legislativi, le donne ottengono il diritto di voto. È bene sottolineare che non si trattò di una cortese concessione degli uomini di potere, diffidenti verso la figura femminile. Nei mesi precedenti, infatti, le rivendicazioni di certe associazioni femminili (Unione delle Donne Italiane, Associazione Nazionale Donne Elettrici) diedero ottimi frutti.

Tuttavia, il decreto legislativo luogotenenziale del 1 febbraio 1945, n. 1 (“Estensione alle donne del diritto di voto”), che riconosceva, all’art. 1, il diritto di voto alle donne, nascondeva una “beffa”. Esso riconosceva il diritto delle donne a eleggere, ma non a essere elette.

Tale lacuna fu sopperita un anno dopo, su proposta della Consulta nazionale, prima assemblea politica composta anche da donne (pari a quattordici). Il decreto legislativo luogotenenziale 10 marzo 1946, n. 74 (“Norme per l’elezione dei deputati all’Assemblea costituente”) statuisce, all’art. 7, che sono “eleggibili alla Assemblea Costituente i cittadini e le cittadine che, al giorno delle elezioni, abbiano compiuto il 25° anno di età”. Quella che fu definita una “svista”, a giudizio di chi scrive, appare un (comodo) errore umano. D’altro canto, il tema delle disuguaglianze di genere ricorre con costante frequenza nel dibattito pubblico.

Tornando al solenne discorso dell’attuale Capo dello Stato, è evocata la figura di Lina Merlin, la “pioniera della dignità femminile”, la stessa Nilde Iotti, la senatrice a vita Liliana Segre (“per l’opera di memoria”) e Samantha Cristoforetti, prima donna italiana negli equipaggi dell’Agenzia Spaziale Europea (“che ci rende orgogliosi”).

È proprio il Presidente Sergio Mattarella a evidenziare un aspetto cruciale: “Non siamo ancora al traguardo di una piena parità, soprattutto riguardo alla condizione delle donne nel mondo del lavoro, al loro numero, al trattamento economico, alle prospettive di carriera, alla tutela della maternità, alla conciliazione dei tempi. Permangono disparità mentre cresce l’inaccettabile violenza contro di loro”. Sembra che, in qualche modo, il Capo dello Stato abbia invitato a prendere in debita considerazione l’elezione di un Presidente donna. Una considerazione personale, che rimane tale, in ragione di un discorso lineare. Un pensiero espresso, a chiare lettere, da Napolitano, il quale marcava la necessità di concedere più spazio alle donne.

Cartabia, Tarantola, Bonino e Casellati: le possibili candidature al femminile per il dopo-Mattarella.

Donne protagoniste, così differenti, ma accomunate da ambizione e carisma.

Marta Cartabia, divenuta nel 2019 prima Presidente donna della Corte costituzionale, costituzionalista di spicco dell’Università Bocconi e ministro della Giustizia nel Governo Draghi.

Anna Maria Tarantola, ex Presidente della Rai, dirigente della Banca d’Italia e dotata di tre Onorificenze.

Emma Bonino, più volte accostata al Colle, una delle figure più importanti del radicalismo liberale italiano, eletta per molteplici legislature, ideatrice e promotrice della Corte penale internazionale, professoressa emerita all’Università Americana del Cairo, delegata per l’Italia all’ONU per la moratoria sulla pena di morte, fondatrice dell’organizzazione internazionale “Non c’è pace senza giustizia per l’abolizione delle mutilazioni genitali femminili”.

Infine, Elisabetta Maria Casellati, attuale Presidente del Senato, avvocatessa, specializzata in Diritto Canonico, membro laico del CSM, cattolica e conservatrice, contraria alla fecondazione eterologa e alla legge sull’interruzione di gravidanza, così come alla pillola abortiva Ru486 (“è un gravissimo errore, che strizza l’occhio alla cultura della morte”), capace di opporsi alla legge Merlin e ritenersi favorevole alla riattivazione delle case di tolleranza, ostile alla legge Cirinnà (“la famiglia non è un concetto estensibile. Lo Stato non può equiparare matrimonio e unioni civili”), sostenitrice della castrazione chimica per i colpevoli di violenze sessuali o pedofilia (“la castrazione chimica è una via da seguire perché non è un’imposizione violenta su chi ha compiuto reati aberranti, ma una somministrazione di farmaci che abbassa gli impulsi sessuali”).

In definitiva, donne di successo, ciascuna portatrice di proprie ideologie politiche, sociali, culturali. Talvolta criticate e accusate, ma certamente in grado di rivestire la massima carica istituzionale, di porsi da “garante” della Costituzione.

Nel XXI secolo, si assiste ancora a tristi pregiudizi nei confronti della figura femminile, circoscritte nel solo ambito familiare. Perché “essere” madre è uno svantaggio? Cosa si intende per “maternità”? Non è, per caso, un dono di Dio? Riprendo le dichiarazioni di Lina Merlin: “Il riconoscimento della funzione sociale della maternità non interessa solo la donna, o l’uomo, o la famiglia; interessa tutta la società. Proteggere a madre significa proteggere la società alla sua radice”.

Esorto vivamente alla lettura (o rilettura) degli Atti dell’Assemblea Costituente, in modo tale da comprendere quel che ancora non è chiaro: i sacrifici di donne tenaci, coraggiose, uniche.

Ben venga la nomina di una donna come Presidente della Repubblica. E se ciò non avverrà, vorrà dire che, si ritenterà. Nel frattempo, continueremo a prendere le distanze dalla realtà.