Verso la riapertura dei Nidi
Da qualche settimana hanno preso avvio i Centri estivi anche per i piccoli del Nido e tra non molto tornerò al lavoro in presenza, dopo cinque lunghi mesi, mesi in cui abbiamo pensato e progettato una ripartenza. Sinceramente pensavo di riprendere a lavorare quando la situazione fosse stata più “normale”, ma ormai la “normalità” è una parola dai contorni indefiniti.
Fin dall’inizio della pandemia mi sono sempre chiesta come sarebbe stato possibile tornare a fare il lavoro di educatrice in queste condizioni. E mi fu risposto che saremmo tornati solo quando le misure restrittive si fossero allentate. E ci ho creduto… per un po’, almeno. Poi la lenta ripresa ha fatto capire che ci si doveva arrangiare in qualche modo, adattandosi alla situazione ancora anomala e progettare in ogni caso una riapertura dei servizi, già da giugno-luglio.
Ma come si può immaginare un lavoro con i bambini così piccoli, senza poterli prendere in braccio in tranquillità, anche per consolarli, senza quel contatto fisico, indispensabile per la fascia 0-3 anni?
Proprio oggi, una mamma mi ha fatto una grande tenerezza, quando in videoconferenza ci ha detto che se a luglio, durante il Centro estivo, la sua bambina dovesse piangere, possiamo tranquillamente consolarla. Come se ci avesse dato il permesso di prenderla in braccio… Come se presentisse che qualche educatrice potrebbe farsi scrupolo, e non immaginando forse che la stessa educatrice potrebbe anche essere terrorizzata dall’avere un contatto con i bambini.
Come sarà possibile lavorare così? Passeremo dal sentirci in colpa verso i bambini, al temere per noi stesse? Se così fosse penso che impazziremmo tutti a breve. Si vivrà nel terrore del contagio, manifestandolo chi più chi meno? La mia paura è che la paura ci paralizzi e vada ad inficiare la bellezza del nostro lavoro. E poi non nascondo un certo timore che possa diventare normale avere meno contatto possibile con i bambini, fino a far diventare la relazione con loro una forma di assistenza che di educativo avrà ben poco.
Quando è stato ufficialmente stabilito che saremmo comparse davanti ai bimbi in mascherina, ho avuto un moto di ribellione. Ma come?! Privarli di uno sguardo dove il sorriso, e l’espressione sono preziosi strumenti di accoglienza e di dialogo?! Si sa quanto la comunicazione non verbale sia essenziale per i piccoli. Ho sempre comunicato di più con un sorriso, con uno “sguardo complice” che neanche a parole. Nello sguardo c’è tutto quel potere di affermare l’altro e farlo sentire amato e voluto. E di questo sguardo un bambino ha un grande bisogno.
Come lavorare senza questo canale comunicativo? La prima idea che mi è venuta in mente è stata la possibilità di utilizzare la mascherina trasparente. Ma le obiezioni circa l’idoneità sanitaria sono sembrate da subito insormontabili, e anche tuttora non sembra possibile l’utilizzo di questo tipo di mascherina. Di fronte alla necessità assoluta di preservare la salute, è evidente che l’aspetto educativo decade. Qualcosa va sacrificato se si vuole andare avanti a tutti i costi.
Personalmente avrei preferito aspettare e tornare in condizioni che mi permettessero di svolgere il mio lavoro in modo professionale e completo, non in modo distorto e parziale. Spesso mi sono chiesta se fosse meglio far valere la mia professionalità opponendomi ad ogni costo, oppure adattarmi e rinunciare per un po’ ad essere educatrice al 100%, svolgendo un tipo di assistenza socio-sanitaria. Tuttavia quando si parla di lavoro, per quanto possa non piacere, e per quanto possa subire forti modifiche, non ci si può sottrarre e l’opposizione, in certi casi, rischia di essere un inutile dispendio di energie.
Dopo la fase di ribellione e opposizione mi sono dunque abbandonata a una certa rassegnazione, cercando però in tutti i modi di salvaguardare l’aspetto educativo. Per usare un termine molto di moda, ho attuato una sorta di resilienza. Così ad esempio ho ideato un video per i bambini intitolato “Le dade mascherate” dove in modo scherzoso facevo loro vedere che dietro a quella mascherina c’eravamo pur sempre noi, le dade di sempre, e che poi con questo nuovo “copri viso” potevamo anche apparire più divertenti ai loro occhi. Ho voluto in fondo prepararli a questa diversità, a queste nuove facce per non spaventarli, per permettere che la relazione educativa, sospesa da mesi, potesse in qualche modo riprendere senza troppi traumi.
Un altro aspetto che mi ha lasciato alquanto perplessa è che l’ambientamento, cioè quel periodo in cui gradualmente il bambino si inserisce nel contesto educativo, accompagnato almeno qualche giorno dal genitore, sembra essere previsto dai protocolli solo formalmente, ma in realtà sarà poco attuabile. Al momento infatti non è possibile far sostare il genitore all’interno della scuola. Anche in questo caso mi chiedo: come sarà possibile “strappare” un bambino dal proprio genitore, senza concedergli un graduale rientro? Anche se si trattasse di un bambino già frequentante, sono passati tanti mesi, e si dovrebbe attuare per tutti un reinserimento graduale, tenendo conto del vissuto emotivo del bambino. Questo mi ha fatto capire con leggero rammarico, che ora sta avendo più importanza l’urgenza di assistere che non l’aspetto pedagogico e l’interesse ad educare.
Così con questi pensieri, mi accingo a tornare al mio amato lavoro. Troverò forse risposta alle domande che mi sono fatta, modificherò magari alcuni miei punti di vista, valuterò anche gli aspetti positivi di questo nuovo modo di lavorare. Sì, certamente le preoccupazioni non mancano, ma il desiderio e la gioia di rivedere i bambini le supera di gran lunga.