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Vuoi usucapire? Attenzione al possesso ad excludendum

usucapione
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1. Sulla comunione in generale

L’articolo 1100 Codice Civile disciplina l’istituto della comunione, la quale ha luogo quando su un bene determinato spettano congiuntamente pro-indiviso a più persone, il diritto di proprietà o altro diritto reale.

Al contrario, si ha il “Condominio” quando la comunione di più persone su talune parti di un edificio coesiste con la proprietà esclusiva di piani o porzioni di piani. Secondo l’articolo 1101 Codice Civile, in mancanza di diverse disposizioni legislative o convenzionali, le quote si presumono uguali. Il concorso dei partecipanti, tanto nei vantaggi quanto nei pesi, è proporzionato alle rispettive quote di ognuno.

Profilo essenziale, ma spesso foriero di contenzioso, è quello concernente l’uso della cosa comune, che il Codice Civile espressamente disciplina all’articolo 1102. Ciascun partecipante può infatti servirsi della cosa comune, nell’esercizio del proprio diritto di comproprietà, purché non alteri la destinazione della cosa comune e non impedisca la fruizione agli altri comunisti.

 

2. Sull’usucapione in generale

L’articolo 1158 Codice Civile disciplina invece una particolare modalità di acquisto della proprietà e di altri diritti reali di godimento. L’usucapione è uno strumento di acquisto a titolo originario conseguente ad un fatto giuridico consistente nella prolungata signoria di fatto sulla cosa da parte di chi si sostituisce al proprietario nella utilizzazione di essa. Sono suscettibili di acquisto per usucapione soltanto i diritti reali e non quelli personali. Ai fini dell’usucapione, deve dunque sussistere un comportamento continuo ed ininterrotto per almeno 20 anni che dimostri inequivocabilmente l’intenzione di esercitare un potere uti dominus.

Sebbene il vigente diritto positivo non abbia disciplinato espressamente il compossesso pro-indiviso, nulla impedisce di pervenire – in presenza dei presupposti occorrenti – all’acquisto della comproprietà a titolo di usucapione.

 

3. Usucapione e compossesso

Fatte tali premesse, è opportuno rilevare che, in tema di compossesso, il godimento esclusivo della cosa comune da parte di uno dei compossessori non è, di per sé, idoneo a qualificare tale signoria di fatto come possesso ad usucapionem in quanto il godimento esclusivo potrebbe configurarsi come conseguenza di un atteggiamento di mera tolleranza da parte dell’altro compossessore

Sul punto, la giurisprudenza si è ampiamente espressa, ritenendo necessaria, a fini dell’usucapione, la manifestazione del dominio esclusivo sulla res communis da parte dell’interessato attraverso un’attività durevole, ma soprattutto apertamente contrastante ed incompatibile con il possesso altrui. Secondo la Corte di Cassazione, l’usucapione di beni oggetto di comunione può ricorrere solo quando il comportamento del compossessore riveli in modo certo ed inequivocabile l’intenzione di comportarsi come proprietario esclusivo (Cassazione ordinanza del 4 giugno 2020, n.1062).

L’onere della prova del dominio esclusivo sulla res comune grava su colui che ha manifestato la palese volontà di possedere uti dominus e non uti condominus, in modo da escludere gli altri dalla possibilità di instaurare analogo rapporto con il bene.

Avuto riguardo ai casi concreti, non è possibile desumere l’esclusività dal fatto che il comunista abbia utilizzato il bene comune, provvedendo al pagamento e alla manutenzione del bene, operando in tal caso una presunzione iuris tantum che il medesimo compossessore abbia agito nella sua qualità e che abbia anticipato le spese anche relativamente alla quota degli altri.

Pertanto, con riferimento ad un immobile, non è sufficiente aver avuto il possesso continuato e pubblico del bene, aver abitato nell’immobile, ovvero avervi fissato la residenza anagrafica, o aver esercitato la gestione o manutenzione del bene, posto che tali atti non necessariamente costituiscono segni inequivocabili dell’inesistenza di una condotta tollerante da parte degli altri comproprietari.

Ciò che appare dirimente è invece l’esistenza di un contegno, atto a dimostrare chiaramente l’esercizio del diritto di proprietà in via esclusiva ed in modo incompatibile con la permanenza di un rapporto con il medesimo bene da parte degli altri comunisti, considerato, altresì, che in tema di comunione e di rapporti tra i comproprietari, non è ipotizzabile il mutamento della detenzione in possesso, né l’interversione del possesso.

Sul punto, soccorre una recente pronuncia di merito.

Secondo il Tribunale di Roma, il compossessore, se intende estendere il suo possesso sul bene comune in termini di esclusività, non ha alcuna necessità di fare opposizione al diritto degli altri, ma deve compiere atti idonei a mutare il titolo del suo possesso. Tuttavia, ove sorga un ragionevole dubbio sul significato dell’atto materiale, “il termine per l’usucapione non può cominciare a decorrere, ove agli altri partecipanti non sia stata comunicata (anche con modalità non formali) la volontà di possedere in via esclusiva” (Tribunale Roma sez. V, 03/09/2019, n.16875).

Sulla scorta di quanto sopra, i principi generali in tema di compossesso si applicano altresì in materia ereditaria, condominiale e nelle convivenze more uxorio.

Il coerede infatti, dopo la morte del de cuius, se rimasto nel possesso del bene ereditario, può usucapire – prima della divisione – la quota degli altri eredi, senza necessità di interversione del titolo del possesso. Anche in tal caso è sufficiente un’estensione dei limiti del suo possesso in termini di inconciliabilità con il godimento altrui.

Uno dei recenti casi sottoposti al vaglio della Suprema Corte ha riguardato un giudizio vertente sullo scioglimento di una comunione ereditaria con rendiconto, nell’alveo del cui giudizio è stata spiegata in via riconvenzionale domanda di usucapione.

La parte istante ha contestato il rigetto in appello della domanda di usucapione dei beni ereditari in quanto, a parere del ricorrente, la decisione si sarebbe erroneamente fondata sulla carenza di un atto di interversione del possesso. Del resto, è pacifica – in conformità al dettato di cui all’articolo 714 Codice Civile – l’irrilevanza di un atto di interversione ai fini dell’usucapione di beni ereditari.

In realtà, la Corte territoriale ha radicato la propria pronuncia sulla mancata prova del cd. possesso ad excludendum, ossia di quella situazione nella quale il rapporto materiale del coerede con i beni ereditari sia tale da escludere gli altri coeredi dalla possibilità di analogo rapporto.

Sul tema, la giurisprudenza si è consolidata: il coerede che, dopo la morte del de cuius sia rimasto nel possesso del bene ereditario può, prima della divisione, usucapire la quota degli altri eredi, senza necessità di interversione del titolo del possesso. A tal fine, egli, che già possiede animo proprio e a titolo di comproprietà, è tenuto ad estendere tale possesso in termini di incompatibilità con il godimento degli altri coeredi. A tale riguardo, non è univocamente significativo che egli abbia utilizzato ed amministrato il bene ereditario e che i coeredi si siano astenuti da analoghe attività, sussistendo anche in tal caso la presunzione iuris tantum che abbia agito nella qualità e operato anche nell’interesse anche degli altri coeredi (Cassazione civile sez. II, 16/01/2019, n.966 ex plurimis, Cassazione 04/05/2018, n. 10734; Cassazione 25/03/2009, n. 7221).

Un’altra fattispecie esemplare è costituita dal compossesso condominiale.

Anche in tal caso, l’uso della cosa comune da parte di ciascun condomino è permesso, a condizione che ciò avvenga nei limiti indicati dall’articolo 1102 Codice Civile, ovvero che non ne sia alterata la destinazione e che venga consentito l’uso paritetico agli altri condomini (cfr. Cassazione civile sez. II - 16/12/2019, n. 33154). Il suddetto principio si è posto sulla stessa linea interpretativa della precedente giurisprudenza di legittimità, secondo cui i limiti posti dall’articolo 1102 Codice Civile non possono ritenersi ex se violati, ove il singolo si serva del bene per fini esclusivamente propri, traendone ogni possibile utilità. Si consideri il caso ricorrente dell’uso di un sottotetto come vano ripostiglio da parte di un singolo condòmino, ovvero delle tubature poste a vantaggio di una singola unità immobiliare all’interno di un’area di uso comune.

Pertanto, il fatto che solo alcuni comproprietari possano fruire del bene comune, traendone un particolare vantaggio, oppure che altri decidano di non utilizzarlo – in assenza di riscontri idonei a dimostrare la capacità escludente dell’uso altrui del bene comune – non solo non sono circostanze sufficienti a violare l’articolo 1102 Codice Civile ma non possono valere come possesso atto a maturare l’acquisto per usucapione.

Non può infine essere ignorata la fattispecie del compossesso del convivente. La Suprema Corte ha stabilito con sentenza n. 7241 del 21 marzo 2013, il principio secondo cui “la convivenza more uxorio determina, sulla casa di abitazione ove si svolge e si attua il programma di vita in comune, un potere di fatto basato su di un interesse proprio del convivente tale da assumere i connotati tipici di una detenzione qualificata”.

Posto tale granitico orientamento, ne consegue che, nonostante il fatto che il convivente “more uxorio” risieda nell’immobile dell’altro coabitante in regime di convivenza stabile e riconoscibile, il medesimo non può configurarsi come compossessore e dunque non può usucapire.

Pertanto, il convivente – proprio in ragione della stabilità del rapporto familiare – è legittimato – quale detentore qualificato – ad esperire azione possessoria, ma non può acquisire a titolo originario il bene in precedenza goduto in condivisione (sul punto cfr. Cassazione civ., sez. III, 27 aprile 2017, n. 10377).

Per concludere il quadro sinottico sinora rappresentato, va tenuta in considerazione la prescrizione di cui all’articolo 1146 Codice Civile II comma, in tema di accessione del possesso. È sempre possibile per il successore a titolo particolare unire al proprio possesso quello del suo autore per beneficiare degli effetti. In altre parole, il successore a titolo particolare, al fine di godere degli effetti del possesso in buona fede e soprattutto di maturare l’usucapione, può unire e “comprendere” anche l’arco temporale in cui il precedente dante causa ha esercitato il possesso (Cassazione civile sez. II, 24/02/2009, n.4428).

 

4. Conclusioni su usucapione nel caso del compossesso

Risulta ormai pacifico che il compossesso non consiste nell’esercizio, solidaristico e comunitario, di un’unica signoria su uno stesso bene ma rappresenta quella situazione di “confluenza di poteri plurimi, corrispondenti, nella loro estrinsecazione, ad altrettanti distinti diritti, di identico o di differente tipo (Cassazione civ., sez. III, 27 aprile 2017, n. 10377).

Tale definizione appare dunque essenziale anche ai fini dell’acquisto per usucapione. Pertanto, affinché uno dei comunisti / compossessori possa usucapire un bene comune sarà necessario provarne il possesso esclusivo, da rinvenire nell’ uso della res in una modalità assolutamente inconciliabile con la signoria altrui (degli altri compossessori): deve dunque integrarsi il possesso ad excludendum.