x

x

Aborto - Cassazione Penale: è perseguibile penalmente chi cagiona l’interruzione della gravidanza in violazione delle disposizioni di legge

Aborto - Cassazione Penale: è perseguibile penalmente chi cagiona l’interruzione della gravidanza in violazione delle disposizioni di legge
Aborto - Cassazione Penale: è perseguibile penalmente chi cagiona l’interruzione della gravidanza in violazione delle disposizioni di legge

La Corte di Cassazione ha dichiarato che il cagionare l’interruzione dello stato di gravidanza, oltre il novantesimo giorno, in violazione delle disposizioni della legge n. 194 del 1978, costituisce reato e obbliga gli agenti al risarcimento del danno sofferto dalla paziente, tenendo conto nella sua determinazione delle gravi condizioni di salute conseguentemente sofferte da questa.

Il fatto

Il giudizio di fronte agli Ermellini si è aperto con i ricorsi di entrambi i co-imputati nei giudizi di merito, i quali lamentano violazione di legge e vizio di motivazione ex art. 606, lett b ed e, cpp.

La vicenda giudiziaria, iniziata nel 2013, ha come vittima una ragazza – minorenne all’epoca dei fatti – la quale aveva chiesto aiuto ad una ginecologa del consultorio (l’imputata A.M.O.) per interrompere il suo stato di gravidanza. Con la complicità del compagno C. C., questa aveva fornito alla ragazza delle pasticche e l’aveva istruita su come assumerle e come rimediare alla emorragia a seguito verificatasi, dietro pagamento di un esiguo compenso. In entrambi i giudizi di merito, i due co-imputati sono stati dichiarati colpevoli del reato di interruzione volontaria della gravidanza senza l’osservanza delle norme di legge e dei danni provocati alla vittima conseguenti al reato, sulla base degli articoli del Codice Penale 110 (concorso di persone nel reato) e 19, commi 1, 3, 5, 6, 7 della Legge  194/1978 (norme per la tutela sociale della maternità e sulla interruzione volontaria della gravidanza).

Motivi del ricorrente C. C.

Il ricorrente lamenta innanzitutto l’assenza di una sua responsabilità, sostenendo che non gli sia riferibile una posizione di garanzia nei confronti della ragazza – che è invece elemento necessario per far sorgere la responsabilità per omissione.

Inoltre, reputa carente la motivazione della sentenza laddove manca di indicare il suo contributo nel reato: il C. infatti sostiene che egli abbia semplicemente assistito alla scena, e non abbia nemmeno accettato nelle sue mani i 50 euro di compenso dalla ragazza, che invece afferma siano stati lasciati sul tavolo. Sostiene che, sulla base di questi soli elementi, non si possa configurare il suo concorso nel reato.

Motivi della ricorrente A. M. O.

La co-imputata contesta l’applicazione dell’aggravante di cui all’articolo 19, comma 5, Legge 194/1978, giacché ritiene insufficiente la prova della consapevolezza della minore età della ragazza e ritenendo necessario un accertamento più pregnante. Ella lamenta infine la determinazione della pena, ritenendo la motivazione carente sul punto.

Decisione

La Cassazione ha confermato la validità delle sentenze dei due gradi precedenti ed ha ribadito che il concorso di persone si configura alla luce delle numerose telefonate intercorse tra i due imputati e la vittima, oltre al compenso di 50 euro che, come dimostrato già in primo grado, è stato consegnato al co-imputato C. C. personalmente.

Infine, ha stabilito che la determinazione della pena comminata è proporzionale alla gravità oggettiva della condotta: la ginecologa, infatti, ancorché ignara della minore età della ragazza, aveva comunque conoscenza dello stato di gravidanza avanzato.

In ogni caso, il giudice ha superato la tesi degli imputati, stabilendo la conoscenza dei due circa la minore età della danneggiata sulla base delle paure che ella aveva confidato ai due, quali la paura di essere scoperta dalla madre ed essere cacciata di casa.

Per questi motivi, la Corte di Cassazione ha respinto i ricorsi ed ha ulteriormente condannato i due co-imputati al pagamento delle spese del procedimento e della somma di euro 2000 in favore della Cassa delle Ammende.

(Corte di Cassazione - Sezione Quinta  Penale, Sentenza 12 ottobre - 24 novembre 2016, n. 50059)

La Corte di Cassazione ha dichiarato che il cagionare l’interruzione dello stato di gravidanza, oltre il novantesimo giorno, in violazione delle disposizioni della legge n. 194 del 1978, costituisce reato e obbliga gli agenti al risarcimento del danno sofferto dalla paziente, tenendo conto nella sua determinazione delle gravi condizioni di salute conseguentemente sofferte da questa.

Il fatto

Il giudizio di fronte agli Ermellini si è aperto con i ricorsi di entrambi i co-imputati nei giudizi di merito, i quali lamentano violazione di legge e vizio di motivazione ex art. 606, lett b ed e, cpp.

La vicenda giudiziaria, iniziata nel 2013, ha come vittima una ragazza – minorenne all’epoca dei fatti – la quale aveva chiesto aiuto ad una ginecologa del consultorio (l’imputata A.M.O.) per interrompere il suo stato di gravidanza. Con la complicità del compagno C. C., questa aveva fornito alla ragazza delle pasticche e l’aveva istruita su come assumerle e come rimediare alla emorragia a seguito verificatasi, dietro pagamento di un esiguo compenso. In entrambi i giudizi di merito, i due co-imputati sono stati dichiarati colpevoli del reato di interruzione volontaria della gravidanza senza l’osservanza delle norme di legge e dei danni provocati alla vittima conseguenti al reato, sulla base degli articoli del Codice Penale 110 (concorso di persone nel reato) e 19, commi 1, 3, 5, 6, 7 della Legge  194/1978 (norme per la tutela sociale della maternità e sulla interruzione volontaria della gravidanza).

Motivi del ricorrente C. C.

Il ricorrente lamenta innanzitutto l’assenza di una sua responsabilità, sostenendo che non gli sia riferibile una posizione di garanzia nei confronti della ragazza – che è invece elemento necessario per far sorgere la responsabilità per omissione.

Inoltre, reputa carente la motivazione della sentenza laddove manca di indicare il suo contributo nel reato: il C. infatti sostiene che egli abbia semplicemente assistito alla scena, e non abbia nemmeno accettato nelle sue mani i 50 euro di compenso dalla ragazza, che invece afferma siano stati lasciati sul tavolo. Sostiene che, sulla base di questi soli elementi, non si possa configurare il suo concorso nel reato.

Motivi della ricorrente A. M. O.

La co-imputata contesta l’applicazione dell’aggravante di cui all’articolo 19, comma 5, Legge 194/1978, giacché ritiene insufficiente la prova della consapevolezza della minore età della ragazza e ritenendo necessario un accertamento più pregnante. Ella lamenta infine la determinazione della pena, ritenendo la motivazione carente sul punto.

Decisione

La Cassazione ha confermato la validità delle sentenze dei due gradi precedenti ed ha ribadito che il concorso di persone si configura alla luce delle numerose telefonate intercorse tra i due imputati e la vittima, oltre al compenso di 50 euro che, come dimostrato già in primo grado, è stato consegnato al co-imputato C. C. personalmente.

Infine, ha stabilito che la determinazione della pena comminata è proporzionale alla gravità oggettiva della condotta: la ginecologa, infatti, ancorché ignara della minore età della ragazza, aveva comunque conoscenza dello stato di gravidanza avanzato.

In ogni caso, il giudice ha superato la tesi degli imputati, stabilendo la conoscenza dei due circa la minore età della danneggiata sulla base delle paure che ella aveva confidato ai due, quali la paura di essere scoperta dalla madre ed essere cacciata di casa.

Per questi motivi, la Corte di Cassazione ha respinto i ricorsi ed ha ulteriormente condannato i due co-imputati al pagamento delle spese del procedimento e della somma di euro 2000 in favore della Cassa delle Ammende.

(Corte di Cassazione - Sezione Quinta  Penale, Sentenza 12 ottobre - 24 novembre 2016, n. 50059)