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Alla ricerca del “legislatore perduto”

spunti dal Decreto Rilancio in tema di settore turistico
settore turistico
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Indice:

1. Introduzione al Decreto Rilancio articolo 182 settore turistico

2. Legge di Bilancio 2019 articolo 1 commi 682 e 683

3. Collegamento tra norma interpretativa e norma estensiva delle concessioni di beni del demanio marittimo

4. Conclusioni

 

1. Introduzione al Decreto Rilancio articolo 182 settore turistico

Con il “Decreto Rilancio” 19 maggio 2020 n. 34 il Governo ha provato a restituire linfa e slancio alle famiglie, professionisti e imprese fortemente penalizzati dagli effetti derivanti dall’emergenza Covid-19 che ha piegato duramente l’intera economia nazionale.

All’articolo 182 dal titolo “Ulteriori misure di sostegno per il settore turistico” il legislatore si è occupato del comparto turistico attraverso due ambiti d’azione: con il primo, riconducibile al comma 1 del predetto articolo, è stato previsto un fondo di dotazione per il 2020 di 25 milioni di euro nello stato di previsione del MiBACT per sostenere le agenzie di viaggio e i tour operator, rimandandosi al futuro decreto dello stesso Ministero – da adottarsi entro 30 giorni – l’adozione dei criteri di ripartizione e assegnazione delle risorse tra gli operatori; con il secondo, riconducibile al comma 2, è stata introdotta una norma integrativa della portata applicativa – così come indicato nella Relazione illustrativa al Decreto – delle disposizioni di cui alla legge n. 145 del 2018, segnatamente l’articolo 1 commi 682 e 683, in tema di concessioni di beni del demanio marittimo, nel senso, parrebbe,  di “confermare” la durata di anni 15 per i titoli concessori secondo quanto già statuito dalla stessa legge di Bilancio.

Il condizionale è, però, d’obbligo, mostrando il comma 2 non poche incertezze dal punto di vista interpretativo.

Mentre per il primo ambito d’intervento la previsione del comma 1 non pare infatti destare particolari perplessità, anche applicative, che potranno semmai sorgere in via postuma, allorquando il Ministero elaborerà i criteri in base ai quali le risorse saranno destinate agli operatori, nel secondo, dedicato ai beni demaniali marittimi, lo sforzo interpretativo ed applicativo, che la norma intendeva dipanare, è invero accentuato non solo alla luce del “rapporto” con l’articolo 1 commi 682 e 683 ma anche autonomamente, in ragione di specifici istituti richiamati per la prima volta che non paiono risultare pertinenti con la finalità normativa.

 

2. Legge di Bilancio 2019 articolo 1 commi 682 e 683

Riprendendo l’articolo 1 commi 682 e 683 della legge n. 145, tali articoli hanno disposto l’estensione dei titoli di beni del demanio marittimo per anni 15, decorrenti dalla data di entrata in vigore della legge. A beneficiare dell’estensione, secondo il comma 682, risultano essere le concessioni, esistenti alla data di entrata in vigore della stessa legge n. 145 sussumibili nell’alveo delle concessioni di cui all’articolo 1 comma 01 del decreto legge 400/1993 (coordinato con la legge di conversione 4 dicembre 1993 n. 494), e dunque le concessioni aventi ad oggetto, oltre a servizi pubblici e servizi portuali, anche:

  • la gestione di stabilimenti balneari;
  • gli esercizi di ristorazione e somministrazione cibo e bevande;
  • il noleggio di imbarcazioni e natanti;
  • la gestione di strutture ricettive e attività ricreative e sportive;
  • gli esercizi commerciali;
  • i servizi di altra natura e conduzione di strutture ad uso abitativo.

Il comma 683 aggiunge poi che al beneficio accedono anche le concessioni – di cui sempre alla tipologia dell’articolo 1 comma 01 decreto legge 400/1993 – vigenti alla data di entrata in vigore del decreto legge 31 dicembre 2009 n. 194 (dunque al 31.12.2009) nonché le concessioni rilasciate successivamente al 31 dicembre 2009 ma mediante procedura avviata prima di tale data il cui rilascio sia avvenuto nel rispetto dell’articolo 18 DPR 328/1952 (regolamento al codice della navigazione) o il cui rinnovo sia avvenuto nel rispetto dell’articolo 02 decreto legge 400/1993.

In concreto dunque, oltre ad estendere le concessioni rientranti in una delle categorie di cui all’articolo 1 comma 01 D.L. 400/93 purché vigenti alla data di entrata in vigore della legge n. 145, il legislatore ha previsto la durata quindicennale anche per le concessioni – ricadenti sempre in una delle predette categorie - esistenti al 31.12.2009 o anche rilasciate o rinnovate dopo tale data ma con una procedura avviata precedentemente, informata ai principi di trasparenza e imparzialità in base all’articolo 18 del regolamento al codice della navigazione nel caso di rilascio, o, nel caso di rinnovo, tenuto conto del criterio della preferenza per le strutture amovibili.

 

3. Collegamento tra norma interpretativa e norma estensiva delle concessioni di beni del demanio marittimo

Ebbene, rispetto a tale complessa “impalcatura”, peraltro non priva di alcune distonie nei richiami al D.L. 400/1993, il Decreto n. 34, con l’articolo 182 comma 2, si pone quale sorta di disposizione di “interpretazione autentica” che, stando alla Relazione Illustrativa, dovrebbe coadiuvare gli operatori dal punto di vista applicativo.

Già tale intento, invero, muove una prima osservazione.

Inserire in un decreto legge la norma interpretativa di altra norma che ha sede in una legge dello Stato appare improprio. Oltre a creare confusione la stessa norma interpretativa per i motivi che a breve si dirà, l’interpretazione della legge, stando all’articolo 12 delle “Disposizioni sulla legge in generale”, non può essere altra che quella coincidente con il senso palese in base al “significato proprio delle parole secondo la connessione di esse, e dalla intenzione del legislatore” (comma 1). Consegnare dunque, peraltro ad un anno e mezzo di distanza dall’entrata in vigore della legge di Bilancio n. 145, l’interpretazione sua propria ad un decreto legge oltretutto deputato a introdurre misure a supporto dell’economia dopo la fase emergenziale non pare essere la migliore “strategia” di drafting legislativo-parlamentare possibile. Non lo è, difatti, non solo per evidenti ragioni di ordine costituzionale attesa la funzione del decreto legge nella formulazione dell’articolo 77 della Costituzione ma anche perché, sulla base di motivi di ordine pratico, molte Amministrazioni, visto il tempo intercorso dall’emanazione della legge n. 145, hanno già disposto gli atti ricognitivi della nuova durata dei titoli concessori, e per quelle che ancora non vi hanno provveduto l’interpretazione resa dall’articolo 182 comma 2 non facilita l’adozione degli atti ma lascia spazio a dubbi e forti perplessità.  

Il comma 2 esordisce, difatti, specificando quella che dovrebbe ritenersi quale ratio della disposizione d’urgenza, ovvero la necessità di prolungare i titoli “tenuto conto degli effetti derivanti nel settore dall’emergenza COVID-19 nonché dell’esigenza di assicurare la certezza dei rapporti giuridici e la parità di trattamento tra gli operatori”. Dunque una “conferma” dell’estensione dei titoli ancorata agli effetti derivanti dall’emergenza Covid-19 ed alla certezza dei rapporti in essere: baluardi che paiono avere poca attinenza con i principi posti a presidio dell’estensione secondo la legge n. 145, laddove lo scopo della durata quindicennale è stato caratterizzato da ragioni ambientali, legate primariamente alla tutela delle coste italiane incise dai cambiamenti climatici e dalle calamità naturali. Peraltro l’estensione è stata intesa quale misura transitoria in grado di traghettare il comparto sino all’emanazione del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri (di cui al precedente comma 677) contenente la revisione complessiva della materia. Quindi anche sotto tale profilo il mutamento degli obiettivi e dunque delle finalità della decretazione d’urgenza appaiono scarsamente coordinati, se non addirittura inconciliabili, con quelli previsti dalla legge n. 145.

Eppure il legislatore, con l’inciso “in conformità a quanto stabilito dall’articolo 1, commi 682 e 683 della legge 30 dicembre 2018 n. 145” pare voler stabilire un nesso stabile tra la ratio del decreto legge e quella della legge.

Nel passaggio successivo il comma 2 continua disponendo che “per le aree e le relative pertinenze oggetto di riacquisizione già disposta o comunque avviata o da avviare, oppure di procedimenti di nuova assegnazione, gli operatori proseguono l’attività nel rispetto degli obblighi inerenti al rapporto concessorio già in atto […] e gli enti concedenti procedono alla ricognizione delle relative attività, ferma restando l’efficacia dei titoli già rilasciati”. Qui il legislatore, che appunta l’attenzione anche intorno al concetto di “pertinenze” oltre che di” aree” differentemente dalla legge n. 145, prima di statuire in ordine alla “prosecuzione dell’attività da parte degli operatori sulla base del rapporto in atto” introduce la specifica dei beni che, è scritto, sono stati riacquisiti o per i quali vi sono procedimenti di nuova assegnazione: al che è ovvio che tale periodo, collegato a quello della prosecuzione, non sembra porsi correttamente quale suo antecedente logico poiché il bene demaniale non ancora assegnato, o riacquisito al demanio per effetto della cessazione del rapporto (nei casi di revoca, decadenza o anche annullamento, richiamati quali istituti nell’ultimo periodo dello stesso comma), non è, né può essere, il bene oggetto della concessione estesa (o da estendersi).

L’antinomia che vede contrapposta la parte dispositiva imperniata sulla concessione ancora da assegnare (o sulla concessione cessata o in procinto di cessare) con la parte dispositiva dedicata alle concessioni in essere (che proseguono nel rapporto in atto) non solo non consente di comprendere l’effettivo collegamento tra i due piani ma, attesa la funzione interpretativa che dovrebbe attribuirsi al comma 2 rispetto ai commi 682 e 683, priva l’intervento legislativo dell’apporto chiarificatore atteso.

Senza considerare che il prolungamento delle concessioni, nel comma 2, avviene tenuto conto della prosecuzione dell’attività sulla base del rapporto in atto, e dunque attraverso una “prospettiva” diversa rispetto a quella dei commi 682 e 682 della legge n. 145 laddove il legislatore ha avuto di mira non il rapporto ma il titolo concessorio. Gli stessi enti concedenti, sempre in base al comma 2 del Decreto Rilancio, sono tenuti alla ricognizione delle attività, ed anche sotto tale profilo non è chiaro se trattasi della ricognizione limitata alla durata della concessione (ma in tal caso sarebbe anche qui improprio il richiamo al termine “attività” in luogo di “titolo”) o da estendersi anche ad altri profili dell’attività sostanziale esercitata dal concessionario (con dispiego, nel qual caso, anche di poteri discrezionali). 

L’ultimo periodo del comma 2 rafforza le perplessità interpretative, prevedendo che nei casi – in parte sopra indicati – di beni che non sono oggetto di concessione, come pure nei casi in cui la riacquisizione del bene (incluse le pertinenze) al demanio dello Stato avvenga a seguito di annullamento, o revoca o decadenza del titolo per fatto del concessionario, le disposizioni del presente comma non si applicano.

Perplessità derivate dal fatto che se il bene – come in precedenza sottolineato – non è oggetto di concessione (perché non ancora assegnato) o non lo è più, perché “riacquisito” allo Stato a seguito di annullamento, revoca o decadenza, è ovvio che le disposizioni concernenti l’estensione del titolo (che, appunto, non esiste o non esiste più) non possano trovare applicazione.

 

4. Conclusioni

Ed allora è utile domandarsi come mai tali istituti, che non hanno trovato ingresso nella legge n. 145, abbiano oggi avuto sede nel comma 2 dell’articolo 182 del Decreto, e cosa volesse intendere il legislatore richiamando espressamente la caducazione della concessione per effetto del suo annullamento, della sua revoca (articolo 42 cod. nav.) o della sua decadenza (articolo 47 cod. nav.) - legata quest’ultima a responsabilità del concessionario - rispetto alla disposizione sul prolungamento del titolo: se, come pare, trattasi di mero richiamo privo di significato effettivo, lo stesso si sarebbe potuto (dovuto) evitare atteso che, come sopra specificato, o il titolo esiste e può essere esteso o altrimenti la sua assegnazione come pure la sua cessazione non debbono richiamarsi nelle disposizioni che regolano la sua continuazione.

Nel caso in cui, all’opposto, gli istituti precedentemente richiamati siano stati inseriti nel contesto normativo per uno scopo preciso, allo stato però non chiaro, sarebbe bene – qui sì – che fossero adottati provvedimenti chiarificatori delegati a circolari esplicative (essendo i decreti legge volti a stabilire norme generali ed astratte, al pari della legge, e non norme interpretative di altre di pari rango) volti a far luce sui richiami a tali istituti che preludono a sanzioni perentorie, implicanti la definitiva cessazione del rapporto.

Quel “legislatore perduto” a cui il titolo del presente contributo si riferisce deve ritrovare (“ritrovandosi”) quel senso piano e palese delle parole che formano la norma, perché la stessa, quanto più è chiara, tanto più è ambiziosa.