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Autenticazione differita: non è illecita la firma posta dall’assistito in assenza del legale

Autenticazione differita
Autenticazione differita

Non ricorre il reato di cui all'art. 481 c.p. nel caso in cui l'avvocato abbia ragionevolmente ritenuto autografa la firma apposta dal cliente, sebbene non in sua presenza, difettando in tale evenienza l'elemento soggettivo del dolo, anche nella sua forma eventuale, così la Corte di Cassazione, Sez. V Penale con sentenza  n. 16214 del 22.03.2022.

 

Autenticazione differita: la vicenda e i motivi del ricorso

Un avvocato pugliese veniva accusato di aver falsamente attestato, nell'esercizio della professione forense, l’autenticità della firma di una sua nota cliente, apposta in calce al mandato difensivo redatto a margine di un ricorso proposto a nome della stessa ai sensi della L. n. 89 del 2001, art. 3.

Avverso la sentenza della Corte di Appello di Bari, ricorreva l'imputato articolando due motivi di doglianza in cui deduceva l’erronea applicazione della legge penale in merito alla ritenuta sussistenza del reato contestato e rilevava come, ai sensi dell'art. 83 c.p.p., comma 3, compito del difensore fosse in via esclusiva unicamente quello di attestare l'autografia della firma apposta in calce al mandato difensivo.

Pertanto, emergeva con lapalissiana evidenza come la finalità dell’attestazione -secondo l’imputato/avvocato- non fosse anche quella di provare che la firma fosse stata apposta in presenza dell'avvocato, come invece erroneamente asserito dai giudici di Secondo Grado, i quali avrebbero sostenuto la prova inconfutabile della responsabilità dell'imputato proprio per aver certificato che la firma fosse stata rilasciata in sua presenza.

Ciononostante, alla luce di quanto riferito dalla cliente dell’avvocato imputato nel procedimento de quo, in merito all'assenza di quest’ultimo al momento in cui ella rilasciò in suo favore altro mandato e dell'accertata prassi invalsa nello studio di raccogliere più mandati difensivi contemporaneamente, dalla mera circostanza che la firma apocrifa non sia stata apposta in presenza dell'imputato non potrebbe desumersi la consapevolezza del medesimo della falsità della sottoscrizione e, dunque, il dolo del reato contestato.

 

Autenticazione differita: la decisione della corte di cassazione e l’assenza di dolo dell’imputato

Alla luce delle censure proposte dal ricorrente, la Corte di Cassazione evidenzia come  sia pacifico che il potere certificativo attribuito all'esercente la professione di avvocato abbia ad oggetto esclusivamente l'autografia della sottoscrizione e non anche l'apposizione in presenza della medesima.

Pertanto, la Suprema Corte non riteneva integrato il reato perché ha tratto dalla incontestata falsità la prova che questa non poteva essere stata apposta in sua presenza e che, pertanto, altrettanto falsamente egli ne ha attestata l'autenticità.

Deve quindi ritenersi che il fatto materiale contestato e ritenuto dai giudici di merito sia indiscutibilmente tipico, risultando conseguentemente infondate le doglianze del ricorrente sul punto.

Rebus sic stantibus, la Corte accoglie con favore le critiche formulate dal ricorrente con riguardo alla sussistenza dell'elemento soggettivo del reato.

In effetti, sottolinea l’imputato che fosse  prassi asseritamente consolidata all'interno dello studio del difensore quella di raccogliere più mandati congiuntamente e attraverso la c.d. autenticazione “differita” fermo restando che la cliente de qua fosse un habitué dello studio legale dell’imputato,

Di contro, appare assolutamente apodittica la motivazione della Corte di Appello di Bari che aveva ritenuto de plano provata la illiceità della condotta del difensore imputato, senza assolutamente operare una qualsivoglia ed ulteriore indagine sul punto e, più approfonditamente, sulla circostanza secondo cui l’avvocato fosse caduto in errore.

Errore che, anche qualora dovuto a negligenza, sarebbe comunque idoneo ad escludere il dolo del reato, anche nella sua forma eventuale.