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Autonomia e Indipendenza: il nuovo che avanza nella magistratura associata

Eugène Delacroix, La morte di Ofelia, 1853, Louvre Museum
Eugène Delacroix, La morte di Ofelia, 1853, Louvre Museum

Indice:

1. L’associazione dei magistrati

2. La crisi profonda delle correnti storiche

3. La nascita di Autonomia e Indipendenza e il suo crescente successo

4. Il manifesto di A&I e la sua pratica declinazione: alcuni esempi

 

1. L’associazione dei magistrati

L’associazione nazionale magistrati (ANM) rappresenta all’incirca il 90% degli oltre 10.000 magistrati italiani.

I suoi organi principali sono l’assemblea generale (costituita da tutti gli iscritti), il comitato direttivo centrale (CDC, composto da 36 membri eletti ogni quattro anni) e la giunta esecutiva centrale (GEC, composta da 10 membri eletti dai componenti del CDC).

Con una sintesi piuttosto sbrigativa si potrebbe dire che l’assemblea, il CDC e la GEC sono rispettivamente il corpo elettorale, il Parlamento e il Governo della magistratura associata.

 

2. La crisi profonda delle correnti storiche

Dopo i travagli e le crisi conseguenti all’esplosione del cosiddetto “caso Palamara” (maggio 2019)[1], si è rotto l’equilibrio allora esistente tra le varie correnti della magistratura e si è dato vita ad una nuova GEC.

La presidenza è stata affidata a Luca Poniz (PM a Milano, esponente della corrente progressista AREA), vicepresidente è Alessandra Salvadori (giudice del Tribunale di Torino, della corrente di centro Unità per la Costituzione, di seguito UNICOST), segretario generale è Giuliano Caputo (PM a Napoli, UNICOST), vicesegretario generale è Cesare Bonamartini (giudice del Tribunale di Brescia, esponente di Autonomia & Indipendenza, di seguito A&I, i cui tratti identitari saranno approfonditi di seguito), direttore dell’house organ “La Magistratura” è Alfonso Scermino (giudice del Tribunale di Salerno, UNICOST). Completano la squadra Silvia Albano (giudice del Tribunale di Roma, AREA), Marcello Basilico (giudice del Tribunale di Genova, AREA), Bianca Ferramosca (giudice del Tribunale di Roma, UNICOST), Angelo Renna (giudice della Corte di appello di Torino, UNICOST) e Giovanni Tedesco (giudice del tribunale di Napoli, AREA).

Non è entrata nella GEC, invece, Magistratura Indipendente (di seguito MI), la corrente conservatrice la cui immagine è stata piuttosto compromessa dal coinvolgimento di suoi prestigiosi esponenti nell’affaire Palamara e la cui reazione al relativo scandalo ha creato un insanabile conflitto con le altre correnti.

Il nuovo equilibrio di governo appena rappresentato non ha retto a lungo.

È di poche settimane fa la notizia delle dimissioni di Poniz e Caputo, cioè i titolari delle due cariche più significative nella GEC. Il gesto è stato motivato con l’esigenza di non sembrare attaccati alla poltrona in un momento in cui MI chiede l’indizione di immediate elezioni per il rinnovo del CDC che è rimasto in carica oltre la sua scadenza naturale (le ultime elezioni furono tenute a febbraio del 2016). La componente di AREA ha aggiunto – e non è certo un complimento – che UNICOST ha perso progressivamente per strada il proposito di palingenesi su cui era nata la loro intesa.

Nel momento in cui si scrive la GEC continua a operare solo per l’ordinaria amministrazione e con la presenza della sola componente di AREA.

Quanto a MI, la sua richiesta nasce non solo dalla legittima pretesa di rispettare la fisiologia delle scadenze elettorali ma anche dalla frustrazione di essere rimasta troppo a lungo esclusa dalla sala comando e dalla convinzione, espressa con forza crescente via via che proseguiva lo stillicidio della pubblicazione delle intercettazioni captate a mezzo Trojan sul cellulare di Palamara, che la pretesa superiorità etica delle altre correnti fosse una fakenews.

 

3. La nascita di Autonomia e Indipendenza e il suo crescente successo

In capo a non molto i magistrati saranno chiamati al voto per scegliere quali compagini e quali colleghi dovranno rappresentare gli interessi della categoria negli anni a venire.

A lungo tale rappresentanza non aveva subito scossoni significativi ed era stata quasi esclusivamente assicurata, salvo movimenti marginali, da MI, UNICOST e AREA (dentro la quale si muove e continua a rivendicare la sua autonomia la corrente di Magistratura Democratica, cioè la parte di magistratura il cui cuore batte a sinistra).

Nel 2015 si è manifestata tuttavia una novità prorompente: la nascita di A&I, la nuova corrente di cui Piercamillo Davigo è ideatore, ideologo e leader indiscusso.

A&I si è presentata alle elezioni del 2016 e il risultato ottenuto ha fatto subito comprendere che gli equilibri fin lì scontati erano mutati e nulla sarebbe stato come prima.

In quella tornata UNICOST ha conseguito 9.658 voti e 13 eletti, seguita da AREA (6.144 voti e 9 eletti), MI (5.834 voti e 8 eletti) e A&I (3.750 voti e 6 eletti, tra i quali proprio Davigo che è stato il candidato più votato in assoluto con 1.041 preferenze).

Un solo anno di esistenza è bastato dunque all’ex PM milanese e ai suoi seguaci per dimostrare l’efficacia del progetto intrapreso e poter esigere uno spazio adeguato.

Il messaggio è stato recepito con chiarezza e Davigo, pur rappresentando la corrente col minor numero di eletti, è stato eletto presidente della GEC, avendo a fianco come segretario generale Francesco Minisci, PM a Roma, espresso da UNICOST e destinato a subentrargli nella presidenza due anni più tardi.

Nel 2018 si sono tenute infatti le elezioni per il rinnovo del Consiglio superiore della magistratura (di seguito CSM) e Davigo, candidatosi nella categoria dei magistrati di legittimità, ha avuto un successo eclatante, risultando ancora una volta il più votato.

L’effetto trainante di Davigo e la crescente presa di A&I tra i magistrati hanno trovato una nuova conferma nelle elezioni suppletive del 2019, servite a colmare i vuoti lasciati nel CSM dalle numerose dimissioni conseguenti al caso Palamara. Tra i neoeletti spicca infatti il nome di Antonino Di Matteo, candidato indipendente ma supportato da A&I.

È facile prevedere che questa storia di successo continuerà e lascerà il segno sul prossimo appuntamento elettorale per il rinnovo del CDC.

Al di là di quanto già si conosce delle pratiche correntizie nella gestione delle carriere e nelle nomine per gli incarichi direttivi nella magistratura, è palese che ogni messaggio, ogni chat, ogni conversazione telefonica di Palamara porteranno voti a A&I e ne toglieranno alle formazioni concorrenti.

Non passerà giorno senza che questo o quel giornale pubblichino nuove puntate (o ripropongano le vecchie, tutto fa brodo) di questa neverending story.

Si creeranno in tal modo input ai quali tutti gli organismi rappresentativi della magistratura si sentiranno obbligati a rispondere, nella consapevolezza che silenzi ed inerzie sarebbero interpretati come segnali di connivenza.

Lo stesso varrà per il CSM, non fosse altro perché è l’organo cui spetta il giudizio disciplinare sui magistrati e il loro ricollocamento in ruolo dopo il rientro da postazioni extragiudiziarie e tali funzioni dovrà esercitare piuttosto spesso a giudicare dalla quantità di episodi sconcertanti rivelati dalle indagini su Palamara e dal crescente numero di magistrati costretti ad abbandonare i prestigiosi incarichi assunti nel dicastero della Giustizia.

Lo stesso varrà per il ministro della Giustizia cui compete non solo l’azione disciplinare ma anche la promozione delle modifiche normative più idonee a debellare le cause della crisi.

Lo stesso varrà per la Procura generale presso la Corte di cassazione, anch’essa titolare dell’azione disciplinare ma al tempo stesso più che lambita dallo scandalo al punto che il suo ex capo è stato costretto a dimettersi a causa dei suoi rapporti con Palamara, è appena rientrato nei suoi ranghi per la stessa ragione l’ex capo di gabinetto del ministro Bonafede e altri sostituti procuratori generali risultano avere avuto contatti col magistrato divenuto “pietra dello scandalo”.

Ne verrà fuori un incendio di proporzioni mai viste che distruggerà molto.

Non tutto però.

A differenza delle altre correnti, A&I non brucerà poiché assente dai traffici di basso cabotaggio che stanno indignando la pubblica opinione ed anzi nata dichiaratamente per combatterli e indurre una rigenerazione della magistratura e dei suoi organismi di rappresentanza e di governo.

A&I guarderà bruciare gli altri e vedrà nel fuoco la conferma della sua ragion d’essere e l’inizio della terra promessa.

Avrà un ruolo determinante nella costruzione dei percorsi della magistratura così rigenerata.

Bisogna allora capire quali saranno questi percorsi e si proverà a farlo comparando le due più importanti espressioni identitarie di qualsiasi organizzazione umana: ciò che dice e ciò che fa.

 

4. Il manifesto di A&I e la sua pratica declinazione: alcuni esempi

Si inizierà dall’atto costitutivo della corrente, sottoscritto dai soci fondatori a Roma il 28 febbraio 2015, disponibile come tutti gli altri atti che saranno citati di seguito nel sito web di A&I.

Si legge nell’articolo 1 che l’associazione si impegna ad “assicurare e promuovere il rispetto integrale delle disposizioni della vigente Costituzione della Repubblica italiana, nonché delle Convenzioni internazionali che garantiscono la tutela dei diritti umani e l’eguaglianza tra le persone, attraverso l’autonomia ed indipendenza della Magistratura”.

Fa bene al cuore leggere un impegno così alto e solenne.

Ma qualche dubbio rimane.

Nel 2016 Davigo e Gherardo Colombo scrissero insieme, per i tipi dell’editore Longanesi, La tua giustizia non è la mia.

L’eloquenza del titolo spiega da sola quanto sia differente il significato che i due autori attribuiscono alla parola giustizia.

Davigo e Colombo parteciparono a vari incontri di presentazione dell’opera.

Se ne segnala uno solo, avvenuto l’11 ottobre 2016 nella cornice della trasmissione Di Martedì condotta da Giovanni Floris e poi rilanciato dall’ANM nel suo sito web[2].

Si invitano i lettori ad ascoltare con attenzione tutti i venti minuti del faccia a faccia.

Quelli di loro che non hanno tutto questo tempo potranno direttamente spostarsi al minuto 11 (per sapere quale considerazione abbia Davigo del bene vita, specificamente di quella persa dai detenuti suicidi) e al minuto 17 (per sapere come lo stesso Davigo guardi agli esseri umani nel loro rapporto con la legge penale, allo scopo ultimo di questa, alle conseguenze che ne derivano e molto altro ancora).

Chi lo farà potrà verificare da se stesso e senza alcun filtro quello che si potrebbe definire “il senso di Davigo per la pena” e quale importanza egli dia all’articolo 27 Costituzione.

Si legge ancora nell’articolo 2 dell’atto costitutivo che A&I si impegna ad “assicurare e promuovere l’autonomia e l’indipendenza della Magistratura da qualsiasi ingerenza da parte di ogni altra forma di centri di potere di fatto quali, ad esempio, quelli politici, economici o finanziari”.

L’effettività di questo impegno è rafforzata dal successivo articolo 5 in cui si prevede che “Per garantire l’integrale e credibile applicazione dei principi che precedono i Magistrati che aderiscono ad A&I si impegnano espressamente e per iscritto a non accettare alcuna carica o incarico politico, sia a livello nazionale che locale. L’accettazione di qualsiasi incarico politico, sia in organi istituzioni legislativi o esecutivi, o in partiti o movimenti politici è incompatibile con gli scopi di A&I e comporta l’immediata decadenza di diritto dalla partecipazione ad A&I. I Magistrati che aderiscono ad A&I si impegnano espressamente e per iscritto ad evitare trattative, anche se riservate, finalizzate a farsi conferire o ad accettare incarichi politici. L’esistenza di trattative per assumere qualsiasi incarico politico, sia in organi istituzionali legislativi o esecutivi, o in partiti o movimenti politici, è incompatibile con gli scopi di A&I e, una volta accertata nelle forme previste dallo Statuto, comporta la decadenza immediata dalla partecipazione ad A&I”.

Lo stress test della tenuta di un simile rigore è stavolta offerto da un episodio che ha recentemente cannibalizzato le pagine di ogni periodico, quello dei contatti tra il dr. Antonino Di Matteo e il ministro della Giustizia on. Alfonso Bonafede finalizzati all’assegnazione al primo di un incarico apicale nella struttura amministrativa della Giustizia.

Cosa si siano detti è parzialmente controverso[3] proprio nel racconto dei due protagonisti. Un fatto è comunque certo: il ministro Bonafede propose al magistrato di assumere un incarico extragiudiziario e quest’ultimo, essendogli stata messa a disposizione l’alternativa tra due postazioni, decise di optare per la direzione del dipartimento dell’amministrazione penitenziaria ma il suo desiderio non si realizzò.

Non si indugia sulla querelle.

Ci si limita invece a evidenziare che il comportamento del dr. Di Matteo, pur costituendo la risposta ad una proposta altrui, pare in contrasto con la previsione del citato articolo 5 che stigmatizza qualsiasi condotta che si risolva in trattative volte all’ottenimento di incarichi politici.

Si potrebbe obiettare che Di Matteo non è iscritto a nessuna delle correnti dell’associazionismo giudiziario, quindi neanche a A&I, sicché non è tenuto ad osservare le regole di un organismo di cui non fa parte e, a maggior ragione, non può essere sanzionato per averle infrante.

L’obiezione sarebbe impeccabile sul piano formale ma non risolutiva su quello sostanziale.

L’elezione del dr. Di Matteo al CSM lo ha visto sì come candidato indipendente ma è stata comunque agevolata da A&I, che ha evidentemente ritenuto congruo ai suoi valori il profilo del magistrato siciliano[4].

Eppure l’interlocuzione del dr. Di Matteo con il ministro era già avvenuta da almeno un anno e mezzo, se si considera che la nomina del dr. Francesco Basentini a capo del DAP che implicò il sacrificio del primo fu deliberata il 27 giugno 2018.

Si potrebbe ancora una volta obiettare che Di Matteo abbia tenuto per sé la notizia della sua interlocuzione col ministro sicché A&I ne era all’oscuro.

Giusto anche questo ma dai primi di maggio di quest’anno tutta l’Italia l’ha conosciuta e ha anche saputo direttamente da Di Matteo che «Era un lunedì sera. Mi disse [il riferimento è al ministro Bonafede - NDR] solo che avrebbe preferito avermi al Dap e di decidere presto perché dopo due giorni ci sarebbe stato un plenum del Csm, ancora nella vecchia formazione (era la consiliatura 2014-18 con la vicepresidenza Legnini, ndr), e se avessi scelto il Dap, avrebbero potuto deliberare in giornata di mettermi fuori ruolo»[5].

Non risulta che a partire da allora Davigo o chiunque altro abbiano contestato a Di Matteo la sua partecipazione a questo colloquio o siano insorti per la singolarità del riferimento al CSM che, mentre ci mette mesi o anni a decidere nomine cruciali per la giurisdizione, sarebbe stato pronto a deliberare a vista pur di assecondare la richiesta del ministro.

Si chiude accennando al programma con cui A&I si propose ai magistrati elettori nella tornata del 2016, ancora disponibile sul sito della corrente.

L’intero paragrafo 3.2 illustra l’attività sindacale che A&I si vanta di avere già compiuto nell’interesse della categoria. Se ne riportano le frasi evidenziate in neretto nel documento:

  • Abbiamo proposto – e centinaia di colleghi vi hanno aderito – il ricorso collettivo avverso il DPCM (già allora, a quanto pare, imperversava questo funesto strumento – NDR) c.d. taglia stipendi
  • Abbiamo sollevato l’allarme pensioni
  • Abbiamo segnalato i benefici economici collegati al cd. concorso di secondo grado
  • Abbiamo sottolineato l’importanza delle nuove norme in materia di congedo parentale
  • Abbiamo diffuso un approfondito vademecum sulle assenze
  • Abbiamo approfondito la questione collegata alla decurtazione delle indennità per chi fruisce di permessi ex l. 104/92 (cioè la legge per l’assistenza, l’integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate – NDR)
  • Abbiamo avviato un’attività di monitoraggio delle ricadute applicative della l. 18/2015 (cioè la legge che ha riformato la disciplina della responsabilità civile dei magistrati – NDR).

Dunque, una corrente che pone in primo piano la questione morale ma non dimentica quella retributiva e si offre di tutelare anche i magistrati (fin qui davvero pochi, in verità) che hanno avuto la disavventura di essere dichiarati responsabili di violazioni funzionali così gravi da avere esposto lo Stato al risarcimento dei danni che ne sono conseguiti.

Una corrente – si direbbe – di lotta e di governo, in grado di soddisfare con la stessa accuratezza tensioni ideali e bisogni concreti di ogni singolo magistrato.

Questo è il nuovo è ognuno stabilirà da sé se gli piace.

 

[1] Per una riassunzione della vicenda, si rinvia a V. Giglio, Il Consiglio superiore della magistratura e la difficilissima stagione dell’autogoverno della magistratura, in questa rivista.

[2] Il video è reperibile a cliccando questo link.

[3]  Ci si può collegare a questo link per la versione del dr. Di Matteo e a questo secondo link per la versione del ministro. 

[4] Per saperne di più ci si colleghi a questo link  e cliccando qui.

[5] La frase virgolettata è tratta dall’articolo de La Stampa del 6 maggio 2020 citato nella nota n. 3.