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Autotutela: la revoca parziale dell’atto impositivo non è impugnabile

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L’autoannullamento parziale da parte dell’Ufficio impositore, a seguito del parziale accoglimento di osservazioni documentate dal contribuente, non comporta la sostituzione dell’atto impositivo originariamente opposto dal contribuente, bensì la sua mera riduzione quantitativa, con conseguente effetto sui termini processuali di impugnazione.

La Suprema Corte di Cassazione, con l’ordinanza n.2246/18, depositata il 30 gennaio 2018, si è espressa nuovamente sugli effetti dell’intervenuto atto di autotutela emanato dall’Ufficio in pendenza di giudizio, tale situazione, assai frequente nella pratica, se non ben chiarita, genera rilevanti errori processuali.

Si tratta di un’ordinanza di accoglimento del ricorso principale che cassa la sentenza di secondo grado, rinviando alla CTR in nuova composizione, nella quale i giudici -  dopo aver ribadito il principio di merito secondo cui è illegittimo l’atto di rettifica del valore di un’area edificabile fondato esclusivamente su parametri valutativi (quali la stima effettuata dall’Ufficio tecnico erariale, i valori stabiliti dal Comune ai fini Ici nonché la sussistenza sul fondo di un’ipoteca), allorquando questi siano smentiti dal contribuente - chiariscono un’importante questione processuale mai affermata con tanta chiarezza dai giudici di nomofilachia.

La vicenda trae origine da una rettifica da parte dell’Ufficio sull’imponibile indicato in un atto notarile ai fini delle imposte di registro, ipotecaria e catastale ove, da un importo di poche migliaia di euro, l’Ufficio aveva attribuito ad un terreno un valore di milioni di euro. Tuttavia, mediante un provvedimento di revoca parziale, l’Agenzia delle Entrate, esercitando il diritto di autotutela,  ha disposto un autoannullamento parziale (autotutela) con cui  ha rideterminato quantitativamente la valutazione effettuata in sede di accertamento, riducendone la pretesa.

Ebbene, al fine di comprendere appieno l’intervento chiarificatore operato dalla Suprema Corte e valutare gli effetti dell’autotutela in sede processuale, si procede ad un breve inquadramento normativo dell’istituto in questione.

L’istituto dell’autotutela consiste nella capacità, riconosciuta alla pubblica amministrazione, di riesaminare, ricorrendo ragioni di interesse pubblico, la propria attività provvedimentale in modo da poter pervenire all’annullamento degli atti viziati da illegittimità.

L’annullamento d’ufficio degli atti dell’Amministrazione Finanziaria ha trovato il suo primo  riconoscimento nell’articolo 97 della Costituzione, norma che sancisce i principi di buon andamento e imparzialità dei pubblici uffici, mentre in ambito tributario, l’autotutela ha trovato fondamento legislativo generale nell’articolo 68, comma 1, del decreto del Presidente della Repubblica 27 marzo 1992, n. 287 (Regolamento degli uffici e del personale del Ministero delle finanze). A questa disposizione hanno fatto seguito l’ articolo 2-quater del D.L. n. 564 del 1994, che detta, fra le altre, regole sull’individuazione degli organi competenti all’autotutela, sulla definizione dei criteri per il suo esercizio (commi 1, 1-bis e 1-ter) e sulle ipotesi di annullamento o revoca parziali (commi 1-sexies, 1-septies e 1-octies) e il D.M. 11 febbraio 1997, n. 37 (Regolamento recante norme relative all’esercizio del potere di autotutela da parte degli organi dell’Amministrazione finanziaria). Inoltre, ulteriori disposizioni concernenti l’autotutela sono dettate dalla legge 27 luglio 2000, n. 212, recante «Disposizioni in materia di statuto dei diritti del contribuente» (c.d. statuto del contribuente), che, all’articolo 7, comma 2, lettera b), prescrive che, negli atti dell’Amministrazione Finanziaria, sia indicata l’autorità presso la quale è possibile promuovere la loro revisione in sede di autotutela e, altresì, all’articolo 13, comma 6, affida al Garante del contribuente il compito di attivare le procedure di autotutela nei confronti degli atti di accertamento e di riscossione notificati al contribuente.

Orbene, l'autotutela si concretizza nella possibilità di porre rimedio ad errori commessi (sia di diritto che di fatto) ed è esercitabile non soltanto nei confronti di atti d’imposizione fiscale per i quali non sia ancora decorso il termine per l'impugnativa ad opera del contribuente, ma anche nei confronti di provvedimenti di imposizione ormai divenuti inoppugnabili e, quindi, non più suscettibili di contestazione ad iniziativa del soggetto interessato.

Ciò detto, gli atti sui quali gli uffici possono esercitare il potere di autotutela, sono in linea di massima, quelli espressamente elencati dall’articolo 19, c. 1, del Dlgs 31.12.1992, n. 546, cioè gli atti accertativi, quelli esecutivi, i dinieghi o i mancati rimborsi contro i quali sarebbe stato ammissibile il ricorso del contribuente in Commissione Tributaria. Altresì, per quel che concerne le ipotesi in cui è possibile attivare l’autotutela, bisogna riferirsi a quanto espresso dall’articolo 2, c. 1 del D.M. 11.2.1997, n. 37:

- errore di persona;

- evidente errore logico o di calcolo;

- errore sul presupposto dell’imposta;

- doppia imposizione;

- mancata considerazione di pagamenti d’imposta, regolarmente eseguiti;

- mancanza di documentazione successivamente sanata, non oltre i termini di decadenza;

- sussistenza di requisiti per usufruire di deduzioni o regimi agevolativi, precedentemente negati;

- errore materiale del contribuente facilmente riconoscibile dall’amministrazione.

Tuttavia, come chiarito dalla Circolare dell’Agenzia delle Entrate n. 51/E del 19 febbraio 2002,  non è suscettibile di annullamento o rinuncia all’imposizione l’atto sul quale sia intervenuta una sentenza passata in giudicato a favore dell’amministrazione e per i motivi addotti dal giudice adito; diversamente, per le sentenze dal contenuto meramente processuale (ad esempio, la sentenza passata in giudicato che abbia dichiarato l’ inammissibilità del ricorso), le quali evidentemente non contengono nessuna statuizione sulla legittimità della pretesa impositiva e, pertanto, non escludono l’esercizio del potere di autotutela.

L’annullamento dell’atto può essere totale (portando così alla radicale rimozione dei suoi effetti) ovvero parziale. In quest’ultimo caso l’atto conserva, per la parte non annullata, piena validità ed efficacia.

Tale specificazione è stata oggetto di valutazione da parte della Suprema Corte con la sentenza in commento, laddove è stato chiarito che l’autoannullamento di un atto (e, dunque, l’esercizio dell’autotutela da parte dell’Ufficio) può comportare:

- la sostituzione dell’atto impositivo originariamente opposto dal contribuente (è il caso dell’autotutela sostitutiva);

- una mera riduzione quantitativa.

Ebbene, la prima ipotesi ricorre allorquando l'Amministrazione, riscontrando vizi di legittimità dell'atto emanato ovvero l’illegittimità di quest’ultimo derivante da illegittimità del procedimento o di suoi precedenti atti, lo annulla con efficacia ex tunc; mentre, la seconda ipotesi ricorre allorquando l'Amministrazione, fermo restando i presupposti costitutivi del rapporto tributario, procede ad una mera autoriduzione quantitativa della originaria pretesa impositiva.

Certamente, l’apprezzamento discrezionale operato in sede di autotutela tributaria presenta tratti particolari per la forza che assume, in quanto comporta diversi effetti a seconda che l’atto sia stato integramente annullato ovvero sia intervenuta una rettificazione in riduzione della pretesa erariale. E invero, nel primo caso, l’annullamento totale dell’atto impositivo, rappresentando un’autotutela sostituiva, fa venire meno i termini di impugnazione e, pertanto, la pretesa basata su un nuovo atto impositivo - in luogo di quello precedente – comporta la decorrenza di nuovi termini d’impugnazione. Viceversa, la revoca parziale, rappresentando una mera rettificazione in riduzione della pretesa iniziale – e non di una maggiore pretesa basata su un nuovo atto impositivo – non fa venir meno l’atto originario, e, dunque, il computo dei termini di impugnazione si calcolano dalla notifica dell’atto stesso.

La Suprema Corte, sul punto ha ribadito il principio di diritto secondo cui <<in tema di accertamento delle imposte, la modificazione in diminuzione dell’originario avviso non esprime una nuova pretesa tributaria, limitandosi a ridurre quella originaria, per cui non costituisce atto nuovo, ma solo revoca parziale per quello precedente>>.

Ne discende, dunque, che, se l’Amministrazione si limita a ridurre l’accertamento originario con un provvedimento di rettifica in autotutela, non si è in presenza di un nuovo atto impositivo, ma di una revoca parziale di quello precedente. La revoca parziale dell’accertamento tributario non determina affatto la cessazione della materia del contendere, né travolge del tutto l’atto impugnato; pertanto, non trattandosi di un nuovo accertamento tributario, il provvedimento di rettifica non è autonomamente impugnabile.

In conclusione, in caso di un atto di autotutela emanato dall’Ufficio, rilevanti saranno i risvolti  processuali laddove, il solo parziale accoglimento delle osservazioni mosse dal contribuente non determinerà la cessazione della materia del contendere e, dunque, continueranno ad applicarsi i termini processuali decorrenti dalla data di notifica dell’atto originario (seppur ridotto); al contrario, nel caso di autotutela sostitutiva, l’emissione di un nuovo atto impositivo (in luogo di quello originariamente opposto), in quanto autonomamente impugnabile, comporterà l’applicazione di nuovi termini processuali.