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Banche e clausole abusive: potere del giudice dell’esecuzione di esaminare d’ufficio l’eventuale carattere abusivo di una clausola

contratti bancari
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Banche e clausole abusive: potere del giudice dell’esecuzione di esaminare d’ufficio l’eventuale carattere abusivo di una clausola

 

Il giudice dell’esecuzione può verificare l’abusività delle clausole per rendere effettiva la tutela dei consumatori, il principio espresso dalla Corte Europea.

La Corte di Giustizia Europea con la sentenza della Grande sezione numero C-693/19 e C-831/19 del 17 maggio 2022 ha stabilito che: L’articolo 6, paragrafo 1, e l’articolo 7, paragrafo 1, della direttiva 93/13/Cee del Consiglio, del 5 aprile 1993, concernente le clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori, devono essere interpretati nel senso che ostano a una normativa nazionale la quale prevede che, qualora un decreto ingiuntivo emesso da un giudice su domanda di un creditore non sia stato oggetto di opposizione proposta dal debitore, il giudice dell’esecuzione non possa - per il motivo che l’autorità di cosa giudicata di tale decreto ingiuntivo copre implicitamente la validità delle clausole del contratto che ne è alla base, escludendo qualsiasi esame della loro validità - successivamente controllare l’eventuale carattere abusivo di tali clausole.

La circostanza che, alla data in cui il decreto ingiuntivo è divenuto definitivo, il debitore ignorava di poter essere qualificato come «consumatore» ai sensi di tale direttiva è irrilevante a tale riguardo.

Secondo la Grande Corte al consumatore va garantita una «tutela effettiva», mentre risulta euroincompatibile la normativa italiana laddove preclude al giudice dell’esecuzione di pronunciarsi perché l’ingiunzione è passata in giudicato.
 

Fatto:

Trova ingresso la questione pregiudiziale sollevata da due ordinanze del tribunale di Milano depositate dal giudice Giuseppe Fiengo: le banche agiscono contro i consumatori in procedimenti di espropriazione forzata sulla base di titoli esecutivi divenuti definitivi.

In una delle due liti, in particolare, l’istituto di credito punta a pignorare gli immobili dei privati che hanno prestato fideiussioni per garantire i debiti di una società. Ed è in base alle garanzie prestate che i creditori ottengono ingiunzioni divenute definitive. I giudici italiani, tuttavia, si interrogano sul carattere abusivo della penale prevista, della clausola che prevede un interesse moratorio sui contratti di finanziamento e di altre contenute nei contratti di fideiussione.

A questo punto entrano in gioco i principi processuali nazionali: l’autorità di cosa giudicata assunta dall’ingiunzione non opposta copre in modo implicito la validità della clausole contenute nel contratto che è alla base del provvedimento monitorio. E dunque ha finora impedito al giudice dell’esecuzione di procedere a un esame d’ufficio sull’eventuale natura abusiva delle clausole, benché il collega che in precedenza ha emesso il decreto non abbia compiuto in modo esplicito un controllo in tal senso. Né il giudice dell’esecuzione ha la facoltà di verificare nel merito il provvedimento monitorio.


Principio espresso dalla Corte Ue:

Ora la Grande sezione della Corte Ue spiega che la direttiva Ue sulle clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori va interpretata nel senso che è l’esigenza di offrire un’effettiva tutela giurisdizionale al contraente debole a imporre che il giudice dell’esecuzione valuti l’eventuale carattere abusivo, nonostante il giudicato. E non conta che il debitore ignori di poter essere qualificato come consumatore in base alla direttiva 93/13/Cee alla data in cui il decreto ingiuntivo diventa definitivo. Gli Stati Ue, infatti, hanno l’obbligo di garantire l’effettività dei diritti che spettano ai singoli in forza del diritto eurounitario.

È la prima volta, fra l’altro, che i giudici del Lussemburgo fanno specifico riferimento in materia all’ordinamento italiano. 
 

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